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Inforegioni/Mettiamo alla prova i 'nuovi' politici

 

  

 

 

 

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Questione boschi: tra tragedia e commedia

 

Nella montagna lombarda i boschi (compresi i castagneti) coprivano 260 mila ettari nel 1935 (259.992 per l'esattezza, dati Catasto agrario del Regno d'Italia). Oggi, dopo 65 anni sono estesi a 500.000 ettari (492.135 nel 2008 dati DUSAF, modello di utilizzo reale del suolo su base fotointerpretazione di ortofoto digitali). Significa che ogni anno sono avanzati di 3.692 ettari. In realtà molto di più negli ultimi decenni considerate le distruzioni della guerra. Con la legge forestale del 2004 (vedi articolo su Ruralpini) è stato introdotto un meccanismo di trasformazione autorizzata dei boschi (paventata come 'deforestazione' da un ambientalismo mediatico che ha perso ogni contatto con la realtà). Ma esso ha riguardato riguarda solo qualche decina di ettari all'anno (per edificazione, opere pubbliche viabilità)*. E non c'è traccia per ora di una reale tendenza ad utilizzare lo strumento 'trasformativo' per recuperare un po' di prati all'agricoltura di montagna.

Viene da ridere a vedere come nella relazione annuale sulle 'trasformazioni' che come abbiamo visto sono minime i competenti uffici regionali si affannino a precisare che 'possiamo continuare ad affermare che il problema “deforestazione” in Lombardia non esiste'*. sarebbe meglio che i burocrati regionali pensassero un po' meno alle preoccupazioni 'ambientaliste' e di più a quelle dei montanari che rischiano i verbali se tagliano 'di sfroso' piante che invadono i pascoli o 'assediano' le abitazioni.

 

*Fonte: Monitoraggio delle autorizzazioni alla trasformazione del bosco e interventi compensativi in Lombardia Anno 2006, Anno 2007. (d.lgs. 277/2001, art. 4; l.r. 27/2004 art. 4; d.g.r. 675/2005) Unità Organizzativa: Sviluppo e Tutela del Territorio Rurale e Montano Struttura: Sviluppo dei Sistemi Agricoli di Montagna e delle Filiere Silvo Pastorali)

 

Mentre il bosco avanza a colpi di migliaia di ettari all'anno ricoprendo la montagna di un deserto verde, per poter 'recuperare' briciole di territorio al bosco ci vogliono ... montagne di carte.

Vi è da aggiungere poi che, a fronte di una norma già di per sé molto timida e farragginosa, fa riscontro il crescere dell'inerzia e del conformismo forestalista mano a mano che dal livello regionale si scende verso il basso della gerarchia amministrativa.

Dove provincie e comunità montane e enti gestori di aree protette si guardano bene di adottare una visione un po' più attuale del problema boschivo e si affidano a esperti e professionisti che sono spesso molto più 'conservatori' degli stessi amministratori e funzionari regionali. Ingenieri che di fronte alla possibilità di  autorizzare (nei PIF, piani di indirizzi forestali) il pascolo delle capre paventano l'instabilità dei varsanti come se le capre (quante?) fossero cavallette che distruggono tutto ciò dove passano. Visioni ferme a due secoli fa (basta leggere il trattato anti-capre del Gautieri - capo dell'Ispettorato ai Boschi di Milano) che così descriveva le conseguenze del pascolo delle capre:

 

'Franati i monti, intisichiti pel freddo alle loro falde gli alberi, alzato il letto de’ fiumi e reso incapace a contenere le loro acque che già traboccano e inondano le sottostanti campagne, aumentati ed abbassati i nevali ed i ghiacciaj, fulminati i tuguri degli alpigiani, inaridite alla pianura le messi, mal sicure le case. […]' G. GUATIERI. Dei vantaggi e dei danni derivanti dalle capre in confronto alle pecore, Milano, 1816.

 

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E ora ci sarà una  svolta per la montagna?

Cominciamo da temi concreti

 

di Michele Corti

 

Se non si vuole condannare a morte la montagna bisogna invertire la politica di protezione dei boschi e premiare chi taglia, chi li pascola. Mettere in discussione una tutela della fauna selvatica che mette in crisi chi resiste in quota. Slegare totalmente la politica rurale montana dalle politiche agroindustriali per la pianura. Defiscalizzare e sburocratizzare le piccole attività economiche.

 

Le ultime elezioni regionali hanno visto prevalere nelle tre regioni alpine 'ordinarie' la 'periferia' a scapito della città. E' certo che la 'periferia' non rappresenta un blocco sociale omogeneo. Non lo è nemmeno la città anche se storicamente ha saputo costruire più facilmente delle alleanze che le hanno consentito il dominio sul 'contado'. Il caso piemontese (ne abbiamo parlato subito dopo il voto ( Se avesse vinto la Bresso) si presta bene ad illustrare la situazione: ha perso Torino, o meglio un certo modello politico-industriale. Detto questo nessuno si illude che la vittoria di Cota e l'affermazione della Lega in Veneto, ma anche in Lombardia, rappresentino, ipso facto, una vittoria per la montagna. Come abbiamo avuto modo di rilevare parlando di norme forestali (che fanno parte di quei contenuti reali che ci stanno a cuore) la regione Piemonte, già di centro-sinistra, ha emanato provvedimenti molto più favorevoli agli utilizzatori del territorio silvopastorale e ai boscaioli della Regione Lombardia (vedi su Ruralpini: Sacre piante?). Provvedimenti frutto più di una visione 'aggiornata' degli esperti  che di scelte politiche strategiche ma comunque invisi agli ambientalisti che vorrebbero la 'non gestione' del bosco e che hanno lanciato una dura campagna contro la Bresso.

Nessuna illusione quindi. Il grosso della scelte politiche le fanno le tecnoburocrazie, gli esperti, le lobby e il voto, di per sé, non determina quasi nulla.

Però se guardiamo alla montagna lombarda non si può fare a meno di notare che la Lega è diventata un vero e proprio 'partito di raccolta', quasi alla SVP. Non siamo a Bolzano e la montagna lombarda è divisa in diverse circoscrizioni dove - tranne Sondrio - è sempre minoritaria, però non significa che quel voto non si possa farlo pesare.

Per farlo, però, bisogna sapere cosa si vuole, elaborare obiettivi strategici e aggreganti e mobilitarsi su di essi. Obiettivi in grado di fare percepire a quelle che sono ancora oggi sprezzantemente definite come 'componenti sociali arcaiche, chiuse, tradizionaliste' che possono anch'esse giocare la loro partita di una società complessa, fluida, dove non c'è nulla di scontato dove le alleanze e i blocchi sociali si scombinano e ricombinano.

 

Azione culturale, alleanze

 

Intanto bisogna affermare sempre più chiaramente che la storiella della montagna 'marginale' 'svantaggiata', 'chiusa', 'triste', 'tradizionalista' ecc. è una costruzione ideologica di chi vuole mantenere una struttura di potere che da qualche secolo in qua ha consentito alla pianura, alla città di mettere le mani sulla montagna e di sfruttarla. Lo 'svantaggio' della montagna non è naturale ma è tale solo nei rapporti di potere. Con lo stato nazionale, con la rete delle comunicazioni controllata da centro e 'pensata' per favorire il controllo sulla montagna (legandola al 'centro' e segmentandola per meglio dominarla), la montagna ha subito una condizione di potere a lei sfavorevole. Ma per la maggior parte della storia, fino a tempi molto recenti e - per alcuni versi - ancor oggi, i montanari sono stati più 'aperti' di chi vive nelle pianure. Viaggiavano di più, avevano più contatti. Questo tanto per togliere di mezzo l'equivoco di una condizione 'naturale' di svantaggio. Se l'Europa riprendesse a camminare e si ridesse spazio al progetto delle Euroregioni a cavallo dei confini degli stati nazionali le regioni di montagna di confine si troverebbero di nuovo al centro di un'area politica alpina in grado di svolgere funzioni di collante e di 'motore'.

Come si vede la montagna 'arretrata' ha tutto l'interesse a promuovere processi politici 'avanzati'. Ma non è tutto qui. I modelli di sviluppo territoriale che la montagna propone, che propone per sopravvivere, non sono modelli che guardano al passato ma che si saldano con tendenze 'postmoderne' che possono creare alleanze - su una base di solidarietà e non più di soggezone - con le nuove realtà urbane.

 

La nuova economia della montagna

 

Quando la montagna chiede di tornare a poter utilizzare le sue risorse per rimettere in piedi circuiti economici, sociali, ecologici locali si colloca nel solco di modelli che guardano al futuro e cercano di operare una svolta rispetto a modelli insostenibili. Il vincolismo 'protezionistico', la burocrazia soffocante, la regolamentazione oppressiva delle piccole attività economiche (modellata sui moduli industriali), impediscono di usare energie umane, territoriali che potrebbero essere impiegate in modo sostenibile. Il modello che si vuole riproporre è quello della concentrazione residenziale (conseguenza dell'ulteriore spopolamento); turistica (gestione dello 'svago' in realtà di dimensione 'industriale' quali i centri di sport invernali con impianti di risalita e neve artificiale);   agroalimentare: in poche unità industriali  'trasformatrici' (di mangimi, carne e latte importati, mezzi tecnici); energetica (esportazione dell'energia prodotta in montagna da parte di impianti idroelettrici ed eolici industriali). Il resto della montagna - per evitare costi 'sociali,  far felici gli ambientalisti urbani, consentire lo sfruttamento energetico coloniale della montagna senza 'disturbi' - deve essere lasciato a wilderness.

E' un modello che presuppone grandi flussi di energia e di materiali, problemi di riciclo, rifiuti. Può essere definito sostenibile, rivolto al futuro, post-moderno? E' un modello che, per legittimarsi come sostenibile, almeno in apparenza, punta solo ad alcuni obiettivi del tipo '20% di energie rinnovabili'. Si tratta di obiettivi  che - se attuati in modo unilaterale - rischiano di creare più impatti negativi di quelli che dovrebbero ridurre. Specie se non sono accompagnati da autoproduzione in loco, riciclo, risparmio. Il puntare ad 'estrarre' sempre più energia dalla montagna andrebbe condizionato a severi obiettivi di razionalizzazione e risparmio dell'uso dell'energia. Si parla tanto di 'rinnovabili' di 20-20 (20% di rinnovabili entro il 2020) ma poco della società 2000W, ovvero dell'obiettivo di ridurre i consumi individuali cresciuti  nei paesi avanzati da 2000W degli anni '60 ai 4000-5000 attuali (10.000 negli Usa). Eppure ci sono regioni e città che lo stanno perseguendo!

La nuova economia della montagna significa produzione localizzata di energie e materie rinnovabili sotto forma di utilizzo dei boschi (legname), dei prati dei pascoli, della terra coltivata. Energia sotto forma di cibo oltre che di combustibile. Sulla sostenibilità ecologica di questo modello non ci possono essere dubbi. Sul piano economico si tratta di valorizzare tutto ciò che il prodotto alimentare (ma non solo) della montagna può incorporare: significati, valori, occasioni di socialità, identificazione. La moda quanto valore riesce ad associare ad un pezzo di stoffa? Non ci insegnano che andiamo verso un'economia smaterializzata, verso un consumo 'emozionale', 'espressivo', 'valoriale'?

 

La 'montagna arretrata' si collega a tendenze come Slow Food

 

Sono numerosi i valori immateriali cui può essere associato il prodotto di montagna, tanto da compensare i costi nettamente più elevati rispetto alla produzione industriale. Grazie a questi valori non solo si può conseguire un prezzo di vendita adeguato ma si possono anche costruire intorno al prodotto servizi (eventi e luoghi di fruizione culturale, ristorazione). Bassii flussi materiali ed energetici (in gran parte chiusi) ed elevata produzione di valore economico (oltre che socioculturale) ottenuta attraverso effetti moltiplicativi.

Potremmo continuare ricordando che una 'rivitalizzazione diffusa' della montagna consente di sfruttare tutta una serie di 'economie di scopo' per l'offerta di beni e servizi (mentre i modelli 'pesanti inseguono ancora le 'economie di scala' della società industriale). Pensiamo al patrimonio edilizio tradizionale che, come altre risorse tradizionali, può essere utilizzato in modo multifunzionale. L'albergo diffuso, l'agriturismo, la baita & breakfast mettono a disposizione strutture di accoglienza turistica senza necessità di nuova edificazione, senza concentrare spaziotemporalmente masse turistiche (con tutti gli impatti conseguenti). Ma serve la sburocratizzazione (e anche un po' di superamento di posizioni corporative ...).

Per superare l'ovvio ostacolo degli interessi legati al mattone e alle intermediazioni immobiliari (con peso politico determinante) si tratta di sganciare le componente locali meno speculative dai collegamenti con i grandi interessi del settore (in pianura, i città) e incentivare adeguatamente gli interventi di recupero e ristrutturazione, risparmio energetico, rispetto di canoni estetici ecc.

La proposta di baita & breakfast, avanzata in Regione Lombardia la scorsa legislatura, si era bloccata (articolo su Ruralpini); ora è il caso di farla ripartire e di 'esportarla' nelle altre regioni.  Aggiungiamo, se ce ne fosse bisogno, che questa nuova economia ruralpina autosostenibile è in stretta connessione con movimenti come lo Slow Food e i GAS che rappresentano due aspetti diversi delle tendenze del 'nuovo consumatore urbano'.

Montagna chiusa, arretrata? Non si direbbe.

Se la montagna è minacciata dalla santa alleanza (quella sì 'arretrata' e regressiva) tra ambientalismo urbano da una parte e i signori dell'energia e dell'industria turistico-edilizia 'pesante' dall'altra, essa può opporre a questi forti interessi l'allenza con il consumatore-cittadino-turista-coproduttore interessato a prodotti 'autentici' e  alla fruizione sostenibile di una montagna viva, culturalmente ed economicamente vitale (non ridotta alla wilderness nè al presepio residuale). E' un'allenza di interessi deboli ma diffusi cui la mobilitazione sociale e i 'movimenti' possono dare forza.

Si tratta di un'allenza che riconosce pari dignità alla montagna, finalmente. Niente chiusure e autarchie da parte della montagna quindi, consapevolezza della necessità di 'entrare in rete' di non poter fare solo da sé, ma anche voglia di essere rispettati e non più colonizzati.

 

Cosa mettere nell'agenda?

 

Vi sono delle tematiche che possono valere da 'cartina al tornasole' per testare la disposizione dei nuovi governi regionali verso la montagna. Attendiamo, per esempio, di vedere cosa farà il nuovo assessore regionale all'agricoltura del Piemonte sul tema del lupo. Taricco (l'ex assessore PD) dopo la bocciatura' ministeriale delle richieste di abbattimenti selettivi (articolo su Ruralpini)  era tornato ad insistere sulla 'prevenzione' varando un 'piano lupo' dal sapore elettoralistico (articolo su Ruralpini). Avrà il coraggio  il nuovo assessore nel nuovo clima politico di impugnare il parere negativo ministeriale basato su argomentazioni del tutto pretestuose? E in Lombardia la baita & breakfast riprenderà il suo corso? In Veneto c'è da rifare la legge forestale ma va rifatta anche in Lombardia perché pur essendo del 2004 (ritoccata nel 2008) è anacronistica (vedi colonna a fianco), tutta ancora tesa a 'proteggere' il bosco.

La montagna chiede leggi forestali fatte per premiare chi opera per arrestare l'avanzata del bosco, per proteggere l'uomo dal bosco e non viceversa. Qualcuno obietterà: 'ma ci sono le leggi quadro dello stato centrale! Vero ma secondo voi un blocco di regioni come quello Veneto-Lombardia-Piemonte non può dire la sua?

Vi è poi la questione dei danni dei cervi e dei cinghiali che, specie in alcune aree protette (Parco dello Stelvio, Cansiglio), provocano danni intollerabili all'agricoltura (qui c'è la legge nmazionale in cantiere, si tratta di farsi sentiore). Sono quelle cose che a chi vive in città (tolti i non pochissimi che amano la montagna dell'uomo) paiono sciocchezze ma per chi vive nei villaggi sono prioritarie.

Questo tanto per citare alcuni temi caldi. Sul piano strategico, però, vi sono anche altre questioni: il non procrastinabile 'sganciamento' delle politiche di sviluppo rurale in montagna dalle politiche agroindustriali per la pianura, gli interventi per la ripresa demografica (premi di insediamento, aiuti per le ristrutturazioni di alloggi, politica delle classi e degli istituti scolastici, borse di studio per chi frequenta scuole superiori e università mantenendo la residenza in montagna, defiscalizzaziione e deburocratizzazione delle piccole attività economiche quali negozi polifunzionali ed 'osterie rurali', estensione delle indennità compensative ai produttori rurali senza partita IVA). Tutte cose concrete. In più, sul piano politico-istituzionale va rilanciata la questione della rappresentatività politica, dell'autonomia delle circoscrizioni montane (o pensando ad euroregioni alpine, al di là dei confini, e trasferendo a queste nuove regioni montane competenze di regione e provincie o creando 'superprovincie' montane).

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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