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Milano 13.03.2010 (foto M. Corti)

Una dedica polemica. Le forme di Bitto storico a lunga stagionatura recano la dedica di chi le acquista e le mantiene nella Casera del Bitto storico a Gerola alta. Questa del 2000 (anni 9 e mezzo di stagionatura) reca una dedica ispirata dalle recenti sanzioni contro il Bitto storico per 'usurpazione della Dop' (quando è la Dop che ha usurpato il prodotto storico ...). E così la dedica recita: Cheese proibitto

 

 

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L'Homo selvadego raffigurato nella Camera Picta-Museo a Sacco nella Valle del Bitto di Gerola è il  nume tutelare della montagna e dei pastori. In realtà è la  trasposizione di Dagda, dio buono celtico raffigurato con la clava magica. L'Homo selvadego  avrebbe insegnato in tempi mitici ai pastori a produrre il formaggio svelando i suoi segreti per benevolenza rispetto agli uomini 'domestici' che pure lo dileggiano.

Oggi l'Homo selvadego è ancora lì pronto con la sua clava magica a difendere i suoi pupilli: i riottosi 'produttori della valli del Bitto'. I ribelli alle regole del marketing anni '80, ribelli alla trasformazione degli alpeggi in mungimifici, ribelli alla burocrazia di Sondrio, Milano, Roma, Bruxelles, ribelli all'accettazione della trasformazione delle mucche in macchine da latte, ribelli all'idea che i pascoli non siano beni in prestito da restituire alle generazioni future (e non da sfruttare e distruggere con la scusa delle 'ferree leggi del mercato'). I 'ribelli' sono anch'essi un po' selvadeghi se per 'domestici' si ritengono gli uomini addomesticati dall'industria, dai tecnici,  e dalla burocrazia, che hanno rinunciato a far valere e a difendere i saperi tradizionali. Sono celti insubri discendenti dei pastori-guerrieri che presidiavano le Orobie contro i Reti prima e dopo la romanizzazione.

Anche il formaggio Bitto storico è un po' 'selvadego',  con quel suo rifiuto dei fermenti 'standardizzati': pochi ceppi, sempre gli stessi di microbi 'tranquilli' e prevedibili per garantire un formaggio senza difetti ma banalizzato, domestico.

 L'Homo selvadego/Dagda è buono ma è potente e guai a farlo arrabbiare. Il cartiglio della Camera Picta reca: 'Mi sonto un homo selvadego, a chi me ofende ghe fo pagura'.

Infatti è lì a difendere i calec' con la sua clava. Guai a farlo arrabbiare.

 

 

 

(14.03.10) A 'Fai la cosa giusta', fiera del consumo solidale e sostenibile (dal 12 al 15 marzo a Milano) il Bitto storico è presente, ospitato nello spazio InterGAS Milano. C'è stato anche un confronto tra i 'ribelli' e il Consorzio DOP con un annuncio importante

Quando il consumo etico e solidale sposa l'eccellenza della produzione alimentare

 

Il movimento consumerista incontra le 'avanguardie' della resistenza casearia e alimentare. La solidarietà non è solo l'aiuto al piccolo produttore in difficoltà ma diventa partecipazione a movimenti come i 'ribelli del Bitto'  protagonisti di produzioni ottenute nel rispetto della terra, della biodiversità, del capitale di sapienze accumulato dalle generazioni passate

 

di Michele Corti

 

Acquisto in comune può essere inteso solo come rapporto diretto tra consumatori e produttori rurali per consentire ad entrambi un vantaggio economico grazie all'abolizione di diversi passaggi della filiera agroalimentare. I Gas, gruppi di acquisto solidale, si qualificano per quel 'solidale' che non vuole essere solo un'aggiunta 'cosmetica'. Anzi, la qualificazione 'solidale' implica un concetto molto vicino a quello di 'buono, pulito e giusto' propognato da Carlin Petrini. Implica l'attenzione alle condizioni di equità sociale e di rispetto degli ecosistemi in cui le produzioni sono realizzate, ed implica anche che i prodotti abbiano un buon valore nutritivo, non contengano residui e additivi e, non ultimo, che soddisfino il gusto del consumatore in modo che l'atto di consumo sia gratificante da ogni punto di vista.

La filosofia di Slow Food e quella dei Gas non sono così distanti, anzi. Sbaglia chi si ostina ad associare a Slow Food ispirazioni prevalentemente edonostiche, elitariste. Sbaglia chi ritiene che i Gas ignorino il tema della 'democrazia del gusto' e puntino a un consumo 'popolare' meglio se abbellito dalla ciliegina 'equosolidale'.

La presenza del Bitto storico a 'Fa la cosa giusta' nello spazio 'istituzionale' dell'Inter-GAS dimostra che il consumerismo politico, rappresentato dai Gas, si sta facendo carico di tematiche sempre più complesse. Sostenere il Bitto storico, anche con gli acquisti (e, in prospettiva, il turismo ecologico solidale), non appare una scelta immediata e facile.

 

Stand del Bitto storico a 'Fai la cosa giusta' (Milano 13.03.2010 - foto M. Corti)

 

Prezzi elevati ma etici e giustificati da tanto impegno, fatica, attenzioni

 

I prezzi del Bitto storico sono quelli di un prodotto 'raro'.  Però è un prezzo che può essere ricostruito nel modo più trasparente. Si munge a mano, si ha cura del pascolo, non si usano mangimi, si lavora il latte immediatamente a caldo senza fermenti selezionati (che facilitano ma banalizzano la produzione), si mantiene la capra Orobica di Valgerola il cui latte viene aggiunto nella percentuale del 10-20%(mentre nel Bitto DOP si può usare 100% latte vaccino e le capre possono essere di qualsiasi razza). Tutte prescrizioni che comportano tempi dilatati (lavorare senza fermenti implica una lavorazione di 4 ore, con i fermenti i tempi si riducono quasi della metà)... e grande fatica fisica (trasporti a dorso d'uomo o con i quadrupedi di attrezzature e formaggio per utilizzare al meglio ogni parte del pascolo anche non raggiungibile con mezzi meccanici). Poi vi sono i costi elevati di una lunga stagionatura (l'affitto della casera, le spese del personale che ogni giorno deve 'curare' le forme). Tutto documentabile sino all'ultimo euro nel bilancio della società mista che si occupa sulla base di un protocollo etico di acquistare, stagionare e commercializzare il Bitto storico ( costituita da imprenditori locali solidali, Associazione e singoli produttori).

In tutto questo l'aspetto decisivo è quello del prezzo che viene garantito in anticipo e con certezza al produttore. Tutti i produttori aderenti all'Associazione Produttori Valli del Bitto ricevono 16 € al kg per il prodotto fresco a fine alpeggio. Hanno la certezza sin dall'anno precedente di questo prezzo. I produttori del Bitto del Consorzio, invece, ricevono 8-10 € e persino quelli 'tradizionali'  dentro il Consorzio non riescono ad ottenere più di 12-13 € (si tratta di 5 alpeggi  su 80, in maggioranza già soci della Associazione e quindi indotti da forti, diciamo così,  'pressioni' a 'tradire' il gruppo dei produttori storici.  

 

Prezzi al pubblico del Bitto storico a 'Fai la cosa giusta' (Milano 13.03.2010 - foto M. Corti)

 

 

Consumo 'maturo' e responsabile

 

Il Bitto storico entra nel 'paniere' del consumo solidale non certo in quanto formaggio da portare in tavola tutti i giorni. Giusto per apportare proteine e calcio. Entra perché rappresenta un consumo equo e solidale ma anche educativo. Il consumatore di fronte al Bitto storico impara che la qualità 'etica' ha un costo ma impara anche che ogni prodotto può fornire il massimo delle gratificazioni se è consumato nelle quantità giuste e nelle occasioni giuste. Il costo del Bitto storico di lunga stagionatura (il meglio si raggiunge tra i 3 e i 4 anni di invecchiamento) è un prodotto povero di acqua - primo elemento che il consumatore deve imparare raffrontando i formaggi e i loro prezzi - ma non è tanto la materia secca ad essere concentrata, è il gusto che è potente e concentrato. In 50 grammi di Bitto storico invecchiato c'è una varietà e una quantità di gusto che non si trova in mezzo kg di un formaggio 'normale'. Basta verificare la persistenza gustativa (le sensazioni gustative che rimangono in bocca dopo che il formaggio è già inghiottito). Consumo da meditazione quello del Bitto storico può non far rimpiangere altri cibi costosi e prestigiosi che si utilizzano in occasioni particolari quando desideriamo una particolare soddisfazione. Magari cibi ottenuti compromettendo la biodiversità e con gravi impatti inquinanti. Il Bitto storico, invece è prodotto quasi solo con energie rinnovabili (quella del sole, catturata nel'erba), quella degli uomini e degli animali.

 

Il dibattito e un annuncio importante

 

Abbiamo cercato di chiarire il significato della presenza del Bitto storico a 'Fai la cosa giusta'. Ora un po' di cronaca del dibattito che si è svolto ieri tra il Consorzio (rappresentato da Fabio Sala, vice-presidente e dal tecnico Dott.ssa Selene Irini) e l'Associazione produttori Valli del Bitto (rappresentata dal presidente Paolo Ciapparelli affiancato da chi scrive in qualità di promotore del Comitato di sostegno al Bitto storico). Il dibattito è stato moderato con professionalità e competenza da Alberto Lupini direttore de l'Italia a Tavola.

Il Consorzio ha ribadito per bocca di Fabio Sala che la produzione tradizionale è già riconosciuta attraverso la facoltà per chi segue il metodo tradizionale di imprimere sullo scalzo il nome dell'alpeggio. Pur riconoscendo il 'diritto di primogenitura' delle Valli del Bitto Sala continua a sostenere la posizione del Consorzio: le normative europee sulla DOP non consentono altro tipo di distinzione. Insomma: 'chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato'. Chiaramente di fronte a queste posizioni il dialogo si interrompe subito. I motivi sono chari: 

 

  • il Bitto DOP 'tradizionale' (con il nome dell'alpeggio sulla forma) può essere prodotto in tutta la provincia di Sondrio anche da produttori che non fanno riferimento nè al territorio storico, nè alla Associazione dei produttori storici;
  • il Bitto DOP 'tradizionale' può essere prodotto senza una goccia di latte di capra;
  • il nome dell'alpeggio sullo scalzo oltre che non essere visibile e riconoscibile una volta che la forma è aperta e suddivisa non può consentire a consumatori che non conoscono a menadito la geografia della Valtellina di capire se l'alpeggio è sito in zona storica o meno;
  • il nome dell'alpeggio per i motivi di cui al punto precedente non è un mezzo efficace per 'comunicare' anche la sola differenza di metodo di lavorazione.

 

L'insufficienza del solo nome dell'alpeggio come strumento che consentirebbe al consumatore di distingere tra due produzioni comunque così diverse (a prescindere della questione irrisola del latte dicapra) è stata fatta osservare anche da Lupini, che pure ha svolto il suo guolo con grande imparzialità. La controreplica di Sala ('sta ai rivenditori informare il consumatore') ha lasciato tutti scettici. Da parte sua Ciapparelli ha insistito sul fatto che l'accordo a suo tempo raggiunto sull'utilizzo di un marchietto a fuoco aggiuntivo 'Valli del Bitto' 'saltò' per colpa della mancata comunicazione al Ministero. L'accordo tra Consorzio e produttori storici (precedentemente siglato dalla Comunità Montana di Morbegno oltre che dalle parti) era stato ratificato nel 2003 anche dalla Provincia di Sondrio. Ma mai il COnsorzio cui correva l'obbigo di farlo lo notificò al Ministero. Con la conseguenza che,  nel 2006, di fronte alle proteste dei produttori storici contro il nuovo disciplinare che 'legittimava' mangimi e fermenti selezionai,  diffidò a non usare ulteriormente il marchietto Valli Bitto  in quanto in contrasto con le norme sulle denominazioni di origine (peccato che altri prodotti DOP - il riferimento è al TrentinGrana siano pieni di marchi e marchietti quasi come il cappellino di un pilota di F1 e che la buriocrazia non è nuova a nascondere le sue scelte politiche dietro ai cavilli)

In ogni caso se l'accorso e il relativo uso del marchietto fossero stati comunicati subito sarebbe stato possibile negoziare una soluzione compatibile. Sala, anche su questo difende d'ufficio il Consorzio 'fu un errore, non una malizia' ma non è risultato credibile quando ha ricordato che 'c'eri anche tu Ciapparelli, perché non ti sei preoccupato che l'accordo fosse notificato?'. Ciapparelli allora era un consigliere del Consorzio, ma ancora non abbastanza familiare con i cavilli burocratici. Ma poi le pratiche non le deve sbrigare d'ufficio la burocrazia consortile? C'era un direttore ben pagato. No?

 

Il dibattito e un annuncio importante

 

Il dibattito ha fotografato posizioni che restano distanti. Le novità però ci sono. Intanto Ciapparelli ha annunciato che l'Associazione si trasformerà in un Consorzio produttori Bitto storico. E' un modo di sollecitare la soluzione di una situazione paradossale. Chi ha 'inventato' il Bitto non può chiamarlo con questo nome (vedi in alto a sinistra la foto del formaggio 'proibitto'). Sì perché dal 2006 (dopo il divieto di utilizzo di un marchietto distintivo) l'Associazione è uscita per protesta dal Consorzio e dalla Dop. E nel novembre del 2009 è arrivata la supermulta contro i ribelli che osano chiamare Bitto il vero Bitto.

Costituioendo il Consorzio 'storico' Ciapparelli sostenuto da tutti i produttori riporta la questione all'interno della DOP. Proclama il diritto dei produttori storici ad utilizzare il nome Bitto, ma anche il diritto di distingersi da una produzione che ha assunto connotati molto diversi (mangimi, fermenti selezionati, no latte di capra).

Consapevoli della necessità di trovare una soluzione (che la burocrazia e il Consorzio forse non desiderano davvero) le istituzioni e la politica si sono messe in moto. Diversi e importanti segnali di apertura ai produttori storici sono arrivati (e stanno per arrivare) da rappresentanti politici della Regione Lombardia e dalla stessa Camera di Commercio di Sondrio. Una soluzione è difficile ma non impossibile. Come andiamo affermando da tempo può essere trovata solo se le istituzioni e la politica valtellinesi e lombarde cessano di appiattirsi su interessi legittimi ma parziali - sostenuti dalla burocrazia -  e prendono atto che i 'ribelli del Bitto',  pur così 'irritanti' agli occhi degli interessi costituiti e corporativi, stanno tenendo alta l'immagine della produzione casearia lombarda e stanno promuovendo un'immagine positiva della Valtellina e della Lombardia in Italia e nel mondo (vedi il film della tv svedese visto da 2 milioni di spettatori, un grande 'spot' per la ristorazione e la vitivinicoltura valtellinesi oltre che per il Bitto).

E' quindi ora di smetterla di prenderli a calci nel culo, di sfotterli ('sono 'trogloditi'), di colpirli con le sanzioni pecuniarie. Oltretutto mentre il Consorzio e il Multiconsorzio (che comprende anche la Bresaola IGP e i vini DOC e DOCG) dispongono di grandi risorse per la promozione 'istituzionale' utilizzate - tanto paga il contribuente pantalone - in modo autoreferenziale e con scarse preoccupazione per le reali ricadute.

 

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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