Ruralpini                   Inforegioni/Adialpi

 

 

 

Giorgio Alifredi, presidente dell'Associazione Alte terre. Nel suo intervento a commento della Carta dell'associazione ha sottolineato come essa si basi su tre cardini: Uomo, Agricoltura, Giovani. Giorgio ha chiarito che non è possibile alcuna alleanza con l'ambientalismo urbano, con chi intende salvaguardare la 'natura' a danno degli altri, con chi intende eliminare la presenza dell'uomo in montagna con chi non riconosce che nelle Terre alte l'agricoltura è il cardine di ogni progetto di futuro e che non c'è obiettivo più importante del favorire l'indsediamento e la permanenza dei giovani.

 

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Materiali

Atti integrali del seminario di Milano del 10 dicembre 2011

 

Interventi di Robi Ronza, Dario Benetti, Michele Corti, Giancarlo Maculotti, Mariano Allocco, Enrico Dioli, Fausto Gusmeroli, Carlo Caffi, Massimo Moretti

 Vai alla pagina di introduzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Le montagne si parlano

 

e... si organizzano

 

 

Il percorso che sta portando con gradualità a costituire un Forum delle Terre alte ha già conosciuto diverse tappe. A settembre ci saranno nuovi appuntamenti aperti a nuovi soggetti che intendono portare un contributo costruttivo alla definizione di un programma che risponda alle esigenze strategiche ma cercando di fornire anche indicazioni sulla fase convulsa che stanno vivendo gli assetti politici e amministrativi

 

 

 

Sommario

 

Le montagne si parlano e si organizzano. di Mariano Allocco

 

Intervento di Luciano Caveri (eurodeputato valdostano)

 

Intervento di Robi Ronza (moderatore incontri di Milano e Sondrio)

 

Carta Associazione Alte Terre

 

Documento di Valtellina nel Futuro del 13.07.2012 (l'ora della chiarezza e dell'impegno)


 

Le montagne si parlano e si organizzano

 

di Mariano Allocco

 

 

La tavola rotonda di giovedì 19 luglio “le montagne si parlano” (tutti gli interventi sono scaricabili da http://centrogiolittidronero.it/Le_montagne_si_parlano_video.html ) è una delle tappe di un percorso iniziato da Pradleves a maggio dell’anno scorso in un incontro organizzato dai sindaci dei comuni di Pradleves, Monterosso Grana, Castelmagno e Valgrana dove c’erano amministratori e gente del monte, ma anche Confindustria Piemonte, università, associazioni di categoria ed intellettuali.

In quella occasione è stato anche presentato dal prof. Andrea Dematteis del CERIGEFAS di Sampeyre il progetto pilota della Val Varaita, progetto innovativo, anzi rivoluzionario, esemplare per l’arco alpino.

Bei contributi in allora di Annibale Salsa e Werner Batzing, anche il mondo della cultura si sta mobilitando (gli atti sono a disposizione) e lì si era deciso di estendere alle altre regioni il dibattito sulla “questione montana”, innescando una bella reazione a catena che ha contagiato l’arco alpino.

Il 10 dicembre scorso al Pirellone di Milano il seminario “la montagna di fronte alla crisi” organizzato dai  Quaderni Valtellinesi (Dario Benetti) e Ruralpini (Michele Corti) e preparato in un incontro precedente con Robi Ronza (giornalista e scrittore, direttore della rivista Confronti della Regione Lombardia), Giancarlo Maculotti (sindaco di Cerveno, Sondrio, presidente ass.ne Incontri TraMontani) e da me, in rappresentanza del Patto per le Alpi piemontesi.

Lì abbiamo deciso di far sentire la voce delle Alte Terre con l’obiettivo di vivere il monte e di contribuire a pensare un avvenire possibile parlandoci in modo trasversale alle Alte Terre tutte.

“Le montagne si parlano”, appunto!

Poi a Sondrio, dove c’erano stati altri incontri a livello locale, abbiamo preparato un primo “manifesto” (allegato 1 - http://www.valtellinanelfuturo.it/ ) sul quale ora lavoreremo.

Poi a Barcellonette l’incontro con allevatori e pastori dell’Ubaye organizzato dagli Indignes de L’Ubaye e Eleveurs e Montagne, anche loro presenti a San Damiano. Là si è parlato del lupo e del danno che è arrivato col lui e un allevatore ha giustamente detto che una cosa buona il lupo l’ha comunque fatta, facendoci unire le forze e le idee per continuare a vivere il monte senza guardare confini, parti e geografia.

Intanto in provincia di Cuneo le cose sono andate avanti, si è discusso di lupi, ma si è discusso anche delle difficoltà di vivere il monte e si è dato seguito a quanto affermato nel Patto delle Alpi che aveva creato una aggregazione interessante, trasversale alle parti e alla geografia ed è nata l’associazione Alte Terre, di cui allego la “carta degli intenti” (allegato 2).

Le montagne da un po’ di tempo si parlano, non è né semplice ne usuale che questo capiti, l’essere montanaro porta a un individualismo evidente, ma che da sempre si è accompagnato ad un approccio comunitario, indispensabile per vivere il monte, una approccio che ora dobbiamo riscoprire e mettere a denominatore comune del nostro agire.

Da Sondrio Enrico Dioli (già presidente della Provincia) ha illustrato il bellissimo documento che allego (allegato 3) e che da l’idea del taglio del “pensiero alpino” e sempre da Sondrio la simpatica poesia di Giancarlo Maculotti, sindaco di Cerveno (allegato 4) chiosa sul significato del “parlarsi”.

Noi montanari maggioranza non lo saremo mai, ma possiamo, questo sì, confrontarci sul piano delle idee, delle proposte, dell’esercizio intellettuale, tutte cose che seguono altre strade e non rispondono alle regole del maggioritario e su questo piano il confronto deve essere tra pari.

La crisi che stiamo vivendo non è una crisi contingente, non è come le due  degli anni ’20 del secolo scorso, questa è la prima crisi strutturale della modernità, non sappiamo dove ci condurrà, ma dobbiamo essere coscienti che saranno messi in discussione dei fondamentali della attuale civiltà e qui le Alte Terre possono dare un loro contributo.

 

Quella di San Damiano è stata una riunione di lavoro, una occasione per conoscersi di persona, perché fortunatamente ora si lavora per vie telematiche, ma è indispensabile trovarsi di persona e guardarsi nella palla dell’occhio ogni tanto per capire se le lunghezze d’onda del pensiero collimano.

Le Alte Terre possono diventare un laboratorio di pensiero che può attingere a un passato che qualcosa ha insegnato sul fronte delle capacità organizzative e strumentali per gestire situazioni difficili.

E’ uno sforzo collettivo quello che va fatto, non possono farcela da soli né la politica, né l’accademia, ne le organizzazioni sindacali, qui nessuno si salva da solo e bisogna innescare dei cortocircuiti attraverso strati della società che devono imparare a confrontarsi e a collaborare.

Le AlteTerre ci stanno pensando, unendo le energie della montagna ricca, di quella povera e di quella poverissima e cercando una collaborazione nuova con la pianura.

Ha ragione la dott.ssa Anna Giorgi, della sezione di Edolo dell’università di Milano a dire nel suo intervento che:

 

il futuro delle aree montane deve passare e può passare solo attraverso le teste e le mani di chi in montagna ci vive, che deve recuperare il senso del proprio ruolo fondamentale, abbandonando la logica assistenzialista a cui siamo stati assoggettati da politiche “urbano- centriche”, che peraltro, stanno mostrando fragilità impensabili anche solo una decina di anni fa. Il momento è propizio proprio per questo, dobbiamo cambiare e le fasi di cambiamento possono favorire le proposte alternative, a patto che siano ben pianificate, credibili,  sostenibili e ben rappresentate. L’idea di organizzare una “forza” endogena alpina è strategica davvero, siamo in pochi in ogni singola valle, ma se uniamo tutte le valli siamo in tanti e, che piaccia o no, “occupiamo” un territorio ricco, luogo di confine, punto di passaggio, ricco di risorse, acqua, prodotti tradizionali, qualità della vita ecc., ricchezze che possono rendere se ben gestite, ma è necessario che la pianificazione sia “alpino-centrica”.

 

Anche le Regioni Autonome possono recitare una parte sostanziale e l’On.le Luciano Caveri, presente come  Capo della Delegazione italiana al Comitato delle Regioni e di cui allego un contributo, nel suo intervento è stato chiaro al riguardo.

Ora parlarsi non basta più, qui occorre organizzarsi, ci stiamo pensando, le idee ci sono e lavoreremo a un passo organizzativo più strutturato per dare potenza alle nostre proposte, anche se questo non è semplice. 

A San Damiano Macra si è deciso di continuare su questa strada e di organizzare in autunno un evento a livello di arco alpino tutto per presentare le proposte delle Alte Terre e se fino a San Damiano si poteva dire “le montagne si parlano”, ora invece “le montagne si parlano e si organizzano”!


Intervento

 

dell' on. Luciano Caveri

Non ho mai costruito una mappa dei miei spostamentiper incontri o convegni lungo tutte le Alpi. Certo è che, proprio dell'autonomia autonomia speciale valdostana mai come oggi minacciata, ho pensato più volte quanto sia illuminante la comparazione fra la nostra situazione e quella delle vallate che si trovano nelle Regioni a Statuto ordinario. Per gli scettici di casa nostra andrebbero organizzate delle belle gite in pullman per constatare di persona le differenze e non bisognerebbe andare troppo distante, perché basta e avanza la situazione piemontese.

Ci pensavo ieri risalendo la Val Maira in Provincia di Cuneo, in quella parte occitana che tanto mi è cara per rapporti di amicizia cementati dalla politica, specie quella legge di tutela delle minoranze linguistiche storiche ma anche per le iniziative in favore di una politica per la montagna. La mia destinazione era San Damiano Macra per un convegno sul tema "Le montagne si parlano", inserito nel ciclo delle conferenze estive del Centro Giolitti (lo statista torinese è nato nella vicina Dronero), organizzato da Mariano Allocco, uno degli ideatori di una nuova associazione "Alte Terre", che intende riflettere sul futuro delle Alpi.

Io son salito per due ragioni: portare la mia testimonianza sulle prospettive europee della macroregione alpina e per incontrare alcuni dei fondatori dell'associazione per capire come poter condividere certe idee.

Il primo punto è complesso ma facilmente riassumibile, partendo dalla fine. Oggi l'Unione europea ha avviato in due zone del proprio territorio - il mar Baltico e il fiume Danubio - delle strategie macroregionali. Il termine "macroregione" non ha nulla a che fare con la bislacca idea leghista delle tre macroregioni con cui dividere l'Italia, ma si tratta di una modalità per far cadere confini e barriere fra territori storicamente e economicamente omogenei. Una logica europeista condivisibile che sposa il livello regionale con quello europeo, rompendo gli schemi degli Stati nazionali, la cui logica giacobina ha impoverito le nostre vallate, concepite come improduttivo luogo estremo di frontiera. Noi, invece, siamo dei ponti fra culture e facciamo parte di un sistema alpino che va dal sud della Francia alla Slovenia con un'identità comune forte fatta di particolarismi e identità. Sinora ci sono stati due tentativi di aggregazione: la prima risale agli anni Novanta e si tratta della Convenzione Alpina, fallita perché nata per volontà degli Stati e imposta alle popolazioni alpine senza discussioni e pure senza soldi. La seconda e stata una collaborazione "tecnica" nata attorno al fondo strutturale noto come "Spazio Alpino", che ha avuto il pregio di dare unitarietà alle Alpi di fronte all'Unione europea, una premessa alla strettoia macroregionale su cui lavorano ormai le Regioni alpine, ritrovatesi più volte per far avanzare nei meandri di Bruxelles questo progetto. Faccio notare che una sponda positiva viene dai Trattati europei e da quell'articolo 174 che, finalmente e dopo una lunga battaglia, afferma la particolarità delle zone di montagna in Europa nel quadro della nuova politica definita "coesione territoriale".

Si tratta di una fiammella di speranza, mentre in Italia la logica dei tagli e delle razionalizzazioni sta colpendo al cuore quel poco di politica della montagna che era stata costruita negli ultimi decenni fra mille difficoltà. E, nello stesso modo, la nascita dell'associazione "Terre Alte" mi conforta per l profondità culturale dell'idea e per i programmi assieme realistici e ambiziosi. Come non evocare  i profetici passaggi della Dichiarazione di Chivasso del 1943  sulle popolazioni alpine: senza forme di autogoverno e di sviluppo autocentrato la montagna muore, "svuotata" dalla vicina pianura e dalla crisi irreversibile dei modelli tradizionali. Un processo che potrebbe essere irreversibile se non si lavora tutti assieme e per questo io ci sarò nelle future battaglie comuni.


Intervento per il Convegno di San Damiano Macra, 19 luglio 2012

di Robi Ronza

Egregi signori, cari amici,

molto dispiaciuto di non poter partecipare al Convegno di quest’oggi, vi contribuisco con questo intervento scritto, che mi auguro possa essere utile.

Il Convegno di oggi è una tappa, cui sono certo ne seguiranno altre, di una ripresa di attenzione per le terre alte, intese finalmente non come problema bensì come risorsa, che per quanto ci riguarda è ebbe il suo segnale di inizio con un seminario ristretto a inviti convocato a Milano nell’ottobre 2011. Alcuni tra gli esiti più interessanti di tale seminario – dovuti a Damiano Allocco, Michele Corti e Giancarlo Maculotti -- vennero poi pubblicati  sul n.3/2011 di Confronti, la rivista di cultura politica della Regione Lombardia da me diretta. Confronti è anche integralmente accessibile via Internet sul sito www.eupolislombardia.it.  dove quindi tali interventi possono venire agevolmente raggiunti.

Detto seminario era preparatorio di un convegno, che ebbe poi luogo a Milano il successivo 10 dicembre, sul tema “La montagna di fronte alla crisi”, per iniziativa di ruralpini.it, il “blog” di Michele Corti, e della rivista Quaderni Valtellinesi diretta da Dario Benetti.

La terza tappa di questo itinerario è stato il recente convegno “La  montagna di fronte alla crisi: dall’assistenzialismo all’autogoverno”, svoltosi a Sondrio il 16 giugno scorso e promosso, oltre che dai già citati ruralpini.it e Quaderni Valtellinesi, anche da Incontri Tra-montani e da “Valtellina nel futuro”. Frutto degli incontri e delle elaborazioni sia di questo convegno che dei simili incontri che l’avevano preceduto sono i “Cinque punti di Sondrio”, un documento programmatico di grande interesse e attualità che riprendo qui di seguito:

Cinque punti per la riscoperta delle terre alte come risorsa per se stesse e per tutto il Paese

1. In Italia il 72 per cento del territorio è montagna o collina. Le terre alte  sono dunque la regola, non l’eccezione. Pertanto riscoprirle come risorsa è conditio sine qua non per la ripresa generale dell’economia e della società del nostro Paese.

2. Per rinascere le terre alte hanno bisogno non di assistenza bensì di ricuperare il diritto alla gestione autonoma delle proprie risorse.

3. Le prime risorse sono l’identità culturale come patrimonio che ogni generazione deve riconquistare e aggiornare; sono la lingua, la memoria storica; sono l’eredità di esperienze e di valori ricevuti che ogni generazione deve conoscere per poter verificare e accogliere. Pertanto le terre alte hanno più che mai bisogno di autonomia scolastica e di libertà di insegnamento e di educazione.

4. Le terre alte hanno grandi risorse: dall’acqua e quindi alla produzione di energia pulita, al legno, al verde fertile, al paesaggio, alla possibilità di produrre alimenti di alto valore, alla qualità della vita come risorsa innanzitutto per chi vi risiede ma poi anche come servizio ai turisti. Per valorizzarle devono ricuperare la responsabilità e quindi il controllo di tali risorse, che è stato loro progressivamente sottratto.

5 .Per tutto questo le terre alte non hanno bisogno di una legislazione speciale, ovvero di eccezione rispetto a una legislazione “normale” che sarebbe quella ispirata alle “normali” esigenze della pianura e delle aree metropolitane. Hanno piuttosto diritto a una legislazione specifica in ogni campo: da quello delle istituzioni a quello dell’economia e dei servizi. Questo implica in primo luogo una verifica minuta della normativa volta a rilevare tutte quelle prescrizioni tanto legislative quanto amministrative che si risolvono in svantaggi ingiustificati per chi vive e lavora nelle terre alte.

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Con questo nuovo ciclo di riflessioni e di incontri siamo alla terza fase di un processo (ahimè sin qui troppo lento e troppo lungo) le cui fasi precedenti ebbero i loro punti culminanti nella Carta di Chiasso (1943) e nella Carta di Sondrio (1986), di cui io stesso fui uno degli estensori, poi ripresa nel 2007, a vent’anni dalla sua sigla, in un convegno  svoltosi nella medesima città ove era stata sottoscritta.

Sin dalle origini tale processo fu l’esito dell’intreccio di varie e diverse matrici culturali e politiche. Sovviene al riguardo l’immagine dei “fornali”, come si dice da noi, o “combe” come se non erro si dice invece nella Provenza alpina, con i loro ruscelli che scendono da vari versanti e con diversi itinerari fino a convergere verso un punto da cui il torrente procede più compatto e più forte.

Nel recente Confronti 1/2012  ho pubblicato un bello studio sul tema “Mario Alberto Rollier: dalla Carta di Chivasso alla fondazione del Movimento Federalista Europeo” da cui emergono tra l’altro delle interessanti prossimità fra il Partito d’Azione, seppur nella declinazione non anti-cristiana che da valdese gli dava Rollier, e le tesi espresse nella Carta di Chivasso. Ebbene, per parte mia devo dire che sono lontanissimo dalla cultura e dal progetto politico del Partito d’Azione, benché tra i suoi iniziatori a Torino vi fosse anche il mio caro zio Carlo Ronza, l’immediato successore (poi ignorato dalla storiografia ufficiale) di Duccio Galimberti alla guida della Resistenza in Piemonte. E  devo aggiungere che stimo i valdesi, ma non ho alcuna nostalgia per la Riforma e sono ben lieto e soddisfatto  di vivere la mia fede cristiana nella Chiesa cattolica. Ciononostante mi ritrovo nella Carta di Chivasso. Mi sono permesso questa digressione personale per sottolineare che convergiamo partendo da punti d’origine e da visioni del mondo differenti. E non dobbiamo prescindere né dall’una cosa né dall’altra.

Vengo ora ai Cinque Punti di Sondrio appena ricordati. E’ evidente che segnano una svolta importante. Una svolta che merita di venire ben compresa. Direi in estrema sintesi che in tale documento si stabilisce il nuovo primato di due criteri – chiave:

1) le terre alte sono non un problema bensì una risorsa per tutto il Paese da cui può venire un contributo molto importante all’uscita dalla crisi generale in atto;

2)  le terre alte non chiedono più assistenza bensì la restituzione del loro diritto di autogoverno delle risorse di cui dispongono, e che se responsabilmente gestite bastano a garantire la loro vitalità socio-economica e quindi pure la loro capacità non solo di frenare lo spopolamento ma anzi di attrarre nuovi abitanti.

Con questo si  va tra l’altro anche oltre l’art. 44 comma 2 della Costituzione, ancora legato all’idea della montagna come area svantaggiata da assistere con leggi speciali. Tra l’altro l’esperienza conferma che lo spopolamento non si estingue concentrando gli sforzi sull’assistenza della popolazione sempre più anziana che ancora abita in montagna bensì  rendendo innanzitutto le terre alte attrattive per nuovi abitanti, per giovani non necessariamente discendenti da famiglie originarie delle valli. E questo significa investire nella produzione di energia idroelettrica a basso costo in primo luogo  per uso produttivo sul posto; per la tutela dell’agricoltura e dell’allevamento artigiani e quindi dei prodotti agro-alimentari di qualità a valenza identitaria; per la difesa del pascolo e dell’alpeggio sia dal ritorno del bosco che dal ritorno del lupo e dell’orso; per il ripristino nelle valli e nei villaggi di scuole e di attività formative di alto livello; per lo sviluppo di reti e di altri servizi telematici che rendano da questo punto di vista indifferente abitare e lavorare nelle terre alte o in pianura, nei villaggi o nelle aree metropolitane.

I Cinque Punti - dico infine - delineano anche la funzione e per così dire il perimetro di quel Forum o Congresso delle Terre Alte alla cui fondazione l’odierno convegno potrebbe dare un contributo decisivo. E’ chiaro che abbiamo idee o comunque priorità diverse riguardo ai modi con cui puntare alla loro attuazione; e che inoltre i nostri rispettivi orientamenti politici generali sono differenti. Se dunque pretendessimo di trasformare questo incontro nell’assemblea costituente di un movimento politico l’esito molto probabile, se  non certo, sarebbe una discordia irrimediabile e quindi il fallimento dell’iniziativa.

A mio avviso questo Forum deve diventare invece un luogo di confronto in vista della definizione di una piattaforma di grandi traguardi (e non dei modi per raggiungerli) nonché della loro comunicazione al Paese; poi di periodica verifica del loro grado di attuazione; infine di eventuali aggiustamenti in itinere.  Non ha senso in questa sede mettere a tema progetti politici, ovvero discutere sull’efficacia o meno dei progetti politici altrui.

Questo non significa beninteso svalutare il momento dell’azione politica, che è ovviamente fondamentale. Significa soltanto dire che non ne è questa la sede. E’ necessario parlarne, ma occorre parlarne altrove.Per quanto mi riguarda osservo per inciso che soltanto a tali condizioni sono disponibile ad occuparmene.

Parlando, seppur da lontano, a un incontro che ha luogo nella Provenza alpina,  non posso concludere senza salutare e rendere onore a Sergio Arneodo, fondatore di Coumboscuro. L’incontro con lui, con sua moglie e con la sua famiglia, inizio di un’amicizia che dura ormai da decenni, è stato per me illuminante e indimenticabile.

Cari saluti e buon lavoro a tutti

Robi Ronza


L’ORA DELLA CHIAREZZA E DELL’IMPEGNO

di Valtellina nel futuro

 

Le azioni sinora messe in atto per affrontare la crisi si stanno rivelando assolutamente inefficaci. La ragione prima è che non vi è in chi governa la percezione del delicatissimo momento che sta attraversando oggi la società. Non si tratta, infatti, di una delle solite crisi (seppure,forse, la più drammatica) che, fisiologicamente, accompagnano il processo di crescita capitalista. Si è di fronte, piuttosto, al collasso di un sistemache,in quanto tale, ne mette in discussione i principi fondanti e ne coinvolge tutte le componenti, senza eccezioni: la finanza, l’economia, la politica, l’etica, l’ambiente, l’immaginario collettivo.

 

Da una crisi di sistema si esce solo con un cambiamento di paradigma, ma questo esige la piena comprensione delle cause di un fallimento e, soprattutto, una visione di futuro. Purtroppo è proprio quello che sembra mancare ai vertici istituzionali, altrimenti, la sola spiegazione che si può dare a scelte incongruenti,implicherebbe derive antidemocratiche e oscuri scenari disumanizzanti.

 

In questo contesto, Valtellina nel futuro, proseguendo nello sforzo di dare compimento ai propri scopi statutari e riprendendo precedenti pronunciamenti e proposte, intende aprire, con questo breve comunicato,qualche squarcio di verità e trasparenza nell’ingannevole e confuso agire e dibattere nazionale e locale. Le persone hanno il diritto di sapere, per quanto possibile, la verità.

 

1. Rigore e crescita non possono essere le soluzioni alla crisi. Il rigore potrebbe essere efficace laddove andasse davvero a colpire privilegi e sprechi, ma si sa che in questo sistema non è così. Normalmente va a scaricarsi sui più deboli e onesti, innalzando il livello di ingiustizia ed esasperando un clima sociale già teso a causa della disoccupazione e del venire meno delle protezioni sociali. La crescita non è sopportabile dal pianeta, se è vero che l’impronta ecologica dell’umanità è già ora nettamente oltre il consentito, con, oltretutto, una popolazione in vertiginoso aumento.

 

2. Il superamento della crisi sta nel passaggio ad un nuova societàsobria e solidale, non più asservita ai dogmi consumistici e competitivi. Una società, del resto, che scaturiràdalla sostituzione dei combustibili fossili con le energie rinnovabili e che sancirà l’abbandono dell’armamentario di arroganza, presunzione e dominio che ha caratterizzato l’epocafossile, introducendo ad una nuova era in cui le relazioni tra gli uomini e con la natura saranno improntate al rispetto e all’armonia.

 

3. Essendo energie diffuse, non concentrate, le rinnovabili restituiranno centralità ai territori. Le comunità locali potranno riappropriarsi dell’autonomia e responsabilità sottratteloro dai processi di concentrazione del potere e delle ricchezza determinati dal mercato globale. La partecipazione, le identità e specificità torneranno ad essere valori, come lo erano nelle società tradizionali.

 

4. La scelta governativa, ratificata dal Parlamento, di imporre dall’alto in nome dell’austerità una riforma istituzionale che aggrega Comuni e Province, trasformando queste ultime in organismi di secondo livello, pur se condivisa dalle forze politiche, è poco democratica e in stridente contrasto con la visione di futuro sopra descritta. Ugualmente anacronistiche sono le difese dello status quo. Un cambiamento di sistema comportanuovi equilibri istituzionali che solo una rivisitazionegenerale e profonda di tutta l’architettura, dagli enti più periferici a quelli centrali, può assicurare.

 

5. La proposta della provincia alpina lombarda avanzata da Valtellina nel futuro, come del resto, ad un livello superiore,quella della macro-regione alpina europea, si basa su un criterio di carattere eco-storico, oggettivo e solido. Essa, pertanto, appare fondata e perfettamente in linea con le esigenze di autogoverno e le assunzione di responsabilità implicite nella società delle rinnovabili. Essenziale è che le province rimangano enti elettivi, a garanzia della lorodemocraticità, autorevolezza ed efficacia.

 

6. Altrettanto importante è la difesa delle piccole municipalità quali ambiti di identità e democrazia, ma dentro un rinnovamento delle regole che vedano l’affrancamento dagli schemi rappresentativi maggioranza/minoranza in favore di forme dirette e plebiscitarie. In tal modo diviene anche possibile demercificare molti servizi (la cui sopravvivenza è fortemente minacciata dalla crisi), riportandoli a comunità civili rinvigorite da un nuovo spirito identitario e orgoglio di appartenenza.

 

7. Condizione imprescindibile per qualsiasi autonomia dei territori è la disponibilità di risorse. Per la montagna, la principale risorsa è senza dubbio il patrimonio naturale, quello idrico in particolare. Occorre, alla stregua di altri territori alpini, rivendicare con forza la sua titolarità, denunciando il sopruso della Regione Lombardia e il diverso trattamento riservato ad altri territori alpini.

 

L’Associazione Valtellina nel futuro si appella a tutte le istituzioni pubbliche e private del territorio affinché attorno alla proposta della provincia alpina lombarda e della titolarità del demanio idrico possa nascere una mobilitazione generale, premessa indispensabile per un’interlocuzione efficace con le istituzioni superiori. Intende inoltre lanciare l’iniziativa Montagna Impatto Zero, una sfida culturale per la Valtellina finalizzata alla definizione di un modello di svilupporealmente sostenibile per il proprio territorio.

 

Sondrio, 13 luglio 2012


 

Carta della Associazione “Alte Terre”

 

1.’Associazione promuove la vita dell’uomo sul Monte in tutti i suoi aspetti economici, sociali e culturali. Si guarda alla storia secolare che ci ha preceduto per ispirarsi a forme esemplari di integrazione ecologica tra uomo e ambiente (ad esempio l’architettura, i pascoli alti, gli usi comunitari, alcuni statuti e forme di autonomia locale, etc.), ma l’Associazione nasce nel XXI secolo e dunque pensa le Alte Terre come luogo per sperimentare attività economiche ecosostenibili e forme di convivenza sociale solidali che cerchino di rispondere positivamente all’attuale crisi del modello di sviluppo urbano.

 

2.L’Associazione individua nel settore primario il cardine della vita dell’uomo sulle Alte Terre e conseguentemente si adopera per sostenere e promuovere le attività agro-silvo pastorali ecosostenibili, condotte da aziende agricole con sede in territorio montano. A tal fine si adopera per studiare e rimuovere gli impedimenti di vario genere che oggi ostacolano il fiorire del settore primario in montagna, nonché per favorire quelle produzioni agricole ad alto valore aggiunto (in primo luogo la pastorizia finalizzata alla caseificazione e alla produzione di carne all’erba);

 

3. L’Associazione considera i giovani e le loro famiglie i destinatari privilegiati delle politiche sociali destinate al Monte. Negli ultimi decenni sono  le famiglie con figli ad aver subito i maggiori costi della mancanza di politiche di sostegno all’istruzione, ai trasporti, vedendo in molti casi persino minacciata la loro stessa possibilità di permanenza  nel contado d’origine, a volte trasformandosi anch’essi in silenziosi migranti forzati. Politiche mirate potranno invertire il processo e favorire l’insediamento di “una famiglia per ogni borgata”;

 

4. Sul piano culturale l’Associazione propone una visione dell’ambiente alpino che tenga in conto la presenza dell’uomo e della sua attività, in contrasto con l’ambientalismo conservazionista diffuso tra quei cittadini che cercano altrove, rispetto al luogo in cui vivono, l’ambiente da salvaguardare, espropriando le persone e le comunità delle Alte  Terre del diritto naturale ad un ruolo attivo sulla propria terra, quasi fossero turisti di passaggio non graditi. La “salvaguardia della montagna” non si può  fare a danno di chi sul Monte ci vive.;

 

5. Sul piano politico, nell’attuale fase storica nella quale i piccoli Comuni montani e in particolare le Comunità Montane rischiano la chiusura con la scusa della crisi economica, l’Associazione promuove e difende forme innovative di autogestione locale, guardando con favore a semplificazioni amministrative come le prospettate Unione dei Comuni, purché ciò non si traduca in espropriazione del potere municipale delle Alte Terre. 


 

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