Ruralpini  patrimonio/Casere storiche di Pasturo

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(02.04.15) Dalle grotte (casere di stagionatura) di Rompeda, sopra Pasturo, è passata la storia del caseificio lombardo ed italiano. Un patrimonio abbandonato al degrado che potrebbe divenire la chiave per lanciare un nuovo ciclo. Dall'artigianato all'industria e ...ritorno puntando su stracchini a latte crudo delle "lanche"

 

Le storiche casere di Pasturo

attendono il recupero

 

A partire dal 1877 sorsero a Rompeda, località un tempo in territorio di Bajedo (dagli anni Venti fuso con Pasturo), una serie di casere che sfruttavano le correnti d'aria fredda (le "lanche") provenienti dalla roccia calcarea. Oggi rimangono solo ruderi e due imponenti fabbricati semi diroccati. Sono lontani i tempi in cui i primi industriali caseari salivano sin qui dalla Bassa per acquistare le casere o terreni per realizzarle e in cui le carovane dei muli scendevano fino alla strada carrozzabile per Lecco per trasbordare gli stracchini sui carri e trasportarli sino alla stazione della città manzoniana. Ma un rilancio è possibile.


Le casere di Rompeda a Pasturo nei pressi delle sorgenti del Grinzone alle pendici della Grigna settentrionale (Grignone) sono oggi ridotte a fantasmi. Oltre a dei ruderi di casere più piccole vi sono due grandi edifici fatiscienti, non ancora crollati perché costruiti a regola d'arte con buoni materiali. Uno, è parzialmentescoperchiato. Una densa vegetazione assedia i fabbricati in qualche modo proteggendoli anche se, quello che si poteva portare via è già stato asportato. Le casere di Rompeda sono disposte lungo una vallecola che era nota per la presenza di correnti fredde legate a fenomeni di carsismo. La presenza di questo fenomeno (in forma verosimilmente più accentuata che altrove) spiega perché le casere sono state realizzate qui, in un sito che ora è connesso all'abitato (in forza della solita invasiva e banale โ€œedilizia turisticaโ€ che ha cementificato i prati sottostanti) ma che, in passato, era isolato dai paesi di Pasturo e Bajedo e raggiungibile solo con i muli.

Nelle carte Igm il sito è indicato con il toponimo "Casere" e alle stesse  è intitolata la via da dal centro di Pasturo conduce quasi prossimità dei ruderi dove inizia una pista forestale.

Le casere storiche di Pasturo rappresentano non solo un pezzo significativo di storia della Valsassina ma โ€“ anche se si fa fatica a crederlo osservandole oggi โ€“ della nascita dell'industria casearia in Lombardia e in Italia.

Peccato che il "Distretto culturale" non se ne sia accorto.

La "rivoluzione" delle casere

Dopoil 1880 in Valsassina per tutta una serie di fattori (realizzazione di ferrovie, ampliamento del mercato dei formaggi, crisi del comparto siderurgico, crisi di alcuni settori portanti dell'agricoltura delle colline e della pianura quali la gelsibachicoltura e la vitivinicoltura) si assistette all'afflusso di capitali finalizzato alla realizzazione di nuove casere di stagionatura. Queste nuove casere (a differenza di quelle che furono realizzate a cavallo tra Ottocento e Novecento con ascensori, frigoriferi, facili accessi ai mezzi di trasporto) erano impostate sulla tipologia tradizionale ma erano molto più ampie di quelle โ€˜casupoleโ€™ citate da Cesare Cantù ancora alla metà dell'Ottocento (โ€œPer sentiero romito si ascende alle rustiche casupole di Maggio che tributa eccellenti stracchini e robiole al commercio di Leccoโ€)(1).


Questa prima generazione di casere erano realizzate sempre sulla base dello stesso principio, ovvero addossate ai fianchi della montagna, abbarbicate ai fianchi possenti del Grignone, per sfruttare le correnti di aria fredda provenienti dagli spiragli della roccia calcarea. Tutto l'ambiente addossato alla montagna riceveva attraverso la muratura queste correnti fredde che consentivano di mantenere una temperatura quasi costante di 7-8°C per tutto l'anno.
Da un resoconto di un osservatore francese , che le descrisse su โ€œLe cultivateur Aveyronnaisโ€ nel 1887 (stabilendo un parellelo con le grotte del Roquefort) apprendiamo che:

La temperatura delle grotte è di circa 10° che per questa calda giornata dโ€™agosto è particolarmente fresca. Avvicinandosi agli spiragli fatti nel muro e che comunicano con le correnti dโ€™aria sotterranee il fresco è ancora più sensibile e la fiamma della lampada che tiene il โ€œgrottistaโ€ nostra guida ne evidenzia abbastanza la forza (2)

Tra le ditte che promossero la realizzazione delle nuove casere alcune provenivano dalla pianura, dai consolidati centri del commercio caseario di Codogno e di Milano, altre erano lecchesi, altre ancora di matrice locale. Tra queste ultime ve ne erano alcune che fecero moltissima strada come la Polenghi Lombardo (distrutta in tempi recenti dal crack della Federconsorzi). La Polenghi rappresenta il caso per eccellenza di precoce modernizzazione del caseificio lombardo che si intreccia strettamente con gli sviluppi del caseificio in Valsassina. La Polenghi oltre al burro produceva anche stracchini grazie alla consolidata esperienza dei casari di estrazione bergamina. La produzione, e questa era la novità rispetto alle consolidate attività di โ€˜raccoltaโ€™ e di stagionatura, era realizzata direttamente a San Fiorano, presso Codogno, dove si produceva stracchino di Gorgonzola (in autunno) e crescenza (in inverno)(3). I Polenghi e Antonio Zazzera (altro importante โ€˜pioniere casearioโ€™ che, per un breve periodo - dal 1875 al 1879 - era stato socio dei Polenghi), nel fatidico 1881, si insediarono in Valsassina, a Bajedo, dove realizzarono nel giro di qualche anno sei casere moderne (4).

Qualche anno fa non ce nโ€™era che una sola, quella del battistrada di questa nuova attività. Ma la concorrenza è in agguato. I felici risultati che il signor Antonio Zazzera ottenne nelle nuove grotte furono ben presto noti ed attualmente una mezza dozzina o più di aziende concorrenti si sono stabilite nelle immediate vicinanze della grotta Zazzera. I terreni migliori hanno decuplicato il valore in poco tempo e nuove gallerie più o meno fruttuose sono state scavate nei fianchi delle montagne vicine (5).

La corsa alla Valsassina e alle sue "lanche"

In quegli anni โ€˜ruggentiโ€™ per la storia del caseificio lombardo pareva che tutto il gotha del commercio e dellโ€™industria caseria convergesse sulla Valsassina. Non solo i codognesi (Polenghi e Zazzera) ma anche i più importanti tra i commercianti milanesi acquistavano o realizzavano ex novo casere in località Rompeda di Pasturo.

 

resti di una cisterna di uno dei due fabbricati rimasti

Oltre alle ditte milanesi, codognesi e piemontesi tra quelle che realizzarono o gestirono casere in Valsassina negli anni Ottanta e Novanta vanno ricordate quelle lecchesi. Tra queste ultime quelle dei Bodega e dei Corti. Si trattava spesso di ditte di una certa importanza. Non solo i Locatelli, ma anche i Bodega, Corsi, Corti, Invernizzi (di Novara) avevano sedi a Londra(6). I Corsi, oltre alle casere aperte nel 1887 a Bajedo, realizzarono stalle e magazzini a Lecco, si inserirono anche nel ciclo pastorale affittando pascoli comunali e stabilendo, verosimilmente, contratti di produzione con i bergamini cui subaffittavano o concedevano lโ€™utilizzo dei pascoli. Lo stesso fecero i Locatelli (destinati a guidare una delle più grandi imprese del settore agroalimentare) e, probabilmente, anche altri imprenditori caseari (7).

 

Le scalere prive delle assi appaiono come scheletri spolpati. Pur nello squallore dell'abbandono l'ambiente con le sue volte di mattoni mantiene un suo fascino. Con la fantasia non è difficile immaginarlo stipato di migliaia di stracchini. Il cui aroma, per quanto intenso, per quanto abbia penetrato chissà per quanto questi locali è svanito da lungo tempo. Ci piace pensare, però, che queste stanze potranno essere riempite ancora con gli stracchini artigianali che una tradizione radicata continua a realizzare anche a Pasturo

Questi aspetti sono indicativi del permanere di una stretta integrazione tra bergamini e aziende casearie. Esse si garantivano una determinata quantità di prodotto ma, probabilmente, anche una determinata qualità attraverso la consegna del prodotto fresco da parte di bergamini di loro fiducia. Al movimento di realizzazione di nuove casere non parteciparono solo elementi esterni ma anche famiglie locali. Oltre ai nomi che divennero celebri (abbiamo già citato i Locatelli) si segnalano a Pasturo e Bajedo, impegnati nella realizzazione di casère durante gli anni Ottanta del secolo scorso i Ticozzi, i Ticozzelli, i Merlo. Nei primi anni del secolo scorso troviamo ancora, tra i promotori della realizzazione di nuove casere, i Ticozzi, i Ticozzelli, i Selva, gli Arrigoni (8).

Il livello superiore dell'edificio più a monte. Nel pavimento si osserva una botola per il passaggio di materiali con il livello sottostante. Una vecchia bilancia rappresenta uno dei pochi testimoni dell'attrezzatura di un tempo. Notare il bel pavimento in cotto lombardo

Tutte queste iniziative non potevano essere giustificate solo con la presenza in Valsassina di condizioni geologiche particolari che favorivano la disponibilità di grotte naturali ove, grazie a condizioni ideali di temperatura e di umidità, gli stracchini potevano essere affinati tutto lโ€™anno (svincolandone la produzione dal periodo autunnale-invernale). Pur di non dover in qualche modo riconoscere un ruolo a quei โ€˜rozzi e ignorantiโ€™ bergamini valsassinesi (e valtaleggini) fornitori di una quota ancora importante dei prodotti che le ditte casearie raccoglievano e stagionavano (e dalle cui fila provenivano i casari che operavano alle dipendenze delle ditte stesse), si è voluto ricondurre il ruolo della Valsassina ad un mero determinismo geologico e geografico. È prò curioso che si invochi un ruolo della Valsassina sulle rotte dei โ€œtraffici commercialiโ€ decenni dopo che lโ€™apertura della strada litoranea Lecco-Colico e lโ€™unificazione politica napoleonica (mantenuta con la costituzione del Regno Lombardo Veneto) avevano trasformato in un ricordo quel ruolo mentre continuavano a contare le rotte... della transumanza.

Il sottotetto. Questo edificio è stato sottoposto a inteventi in tempi recenti. Si notano infatti dei pilastri in blocchi di calcestruzzo a sostituzione o rafforzo di quelli originali in mattoni pieni

In Valsassina i commercianti dellapianura non cercavano solo โ€œun ambiente geologico adattoโ€ (9) ma anche capitale umano, competenze, know how. Risalire la Valsassina da Lecco era molto oneroso. Alla stazione di Lecco pervenivano carri ferroviari stipati di stracchini che partivano da Vercelli, Novara, Pavia, Mortara, Vigevano(10). Scaricata da questi carri la merce, accuratamente imballata in ceste, risaliva con i carri trainati da cavalli o da buoi, per la ripida salita che conduce a Laorca e da qui a Ballabio con un lento viaggio che, per arrivare a destinazioni a Pasturo, Baiedo, Maggio ecc. impiegava parecchie ore (11). Le casere di Rompeda erano più disagevole di altre (Ballabio, Cremeno) accessibili con i carri. Osserva in proposito alla limitata capacità di trasporto dei muli l'osservatore francese:

 Pasturo è un villaggio pittorescamente abbarbicato alle pendici della Grigna, montagna imponente nella quale si trovano le grotte ghiacciate. Un sentiero vi ci conduce, sentiero che fino ad oggi non è praticabile che con i muli o a piedi. Sul percorso ci incrociamo con le carovane di muli che scendono dalle grotte. Ogni animale porta due panieri contenenti una dozzina di formaggi. Sono formaggi fatti, maturi, pronti per essere spediti. A Pasturo sono caricati sulla vettura che li porta alla stazione di Lecco

È interessante osservare che, prima della creazione in Valsassina di nuove casere a partire dallโ€™inizio degli anni Ottanta del XIX secolo, i negozianti del Milanese e del Lodigiano avevano già cercato di realizzare in loco dei magazzini refrigerati per stagionarvi lo stracchino di Gorgonzola durante i mesi più caldi. Se lโ€™esperimento non ebbe successo, e se nei successivi 30 anni si continuarono ad aumentare e ad ingrandire le casere della Valsassina, significa che non era (o almeno non era ancora) così vero, come asseriva il direttore della Regia stazione di caseificio di Lodi, che: โ€œ[...] il gorgonzola si può fabbricare tutto lโ€™anno quando e dove si sappia fare artificialmente il caldo, il fresco, il secco e lโ€™umidoโ€ (12). I primi magazzini refrigerati, a dimostrazione che non fosse in gioco solo la tecnologia e che i fattori causali in gioco appaiono ribaltati rispetto alla visione tecnocratica, sorsero proprio in Valsassina.

Il Cornalba nei primi anni del secolo scorso descriveva così le nuove casere โ€˜tecnologicheโ€™.[โ€ฆ] costituite da vastissimi edifici, a due o tre piani, a pareti spesse, dove successivamente passano i formaggi scendendo dal più alto al più basso, e cioè al più fresco. Esse sono munite di tutti i perfezionamenti possibili, impianti frigoriferi azionati da motori elettrici, illuminazione elettrica, ascensore per il trasporto delle forme, ecc. Ve ne sono di quelle capaci di 50.000, 60.000 e più forme (13).

 

La volta del livello superiore vista attraverso la botola che mette in comunicazione i due livelli del fabbricato

Questi sviluppi industriali, che coincisero con il periodo 1880-1910, potevano contare sui presupposti che si erano formati nei decenni precedenti nellโ€™ambito dei circuiti dellโ€™alpeggio, della transumanza e delle attività tradizionali di stagionatura e commercializzazione, sia in Valsassina che nel contesto di un ambito territoriale che comprendeva le tradizionali aree di svernamento dei bergamini. Una volta consolidadosi in Valsassina le attività casearie industriali, sulla spinta delle esigenze โ€˜logisticheโ€™ si spostarono in parte a Maggianico (località a Sud di Lecco), e, infine, a Melzo e nella Martesana e nelle altre aree (la Gera dโ€™Adda, il Cremasco, il Magentino-abbiatense, il Pavese) dove la presenza dei bergamini aveva creato un capitale sociale, fatto di relazioni e competenze sedimentate. La nascita dellโ€™industria casearia non si spiega solo con la presenza di aree dove si produceva molto latte, di capitali, di innovatori e protocapitani dโ€™industria (aspetti tutti enfatizzati dalla letteratura) e nemmeno solo in forza della presenza di un โ€˜distrettoโ€™ come quello della Valsassina ma con il reticolo di relazioni, le esperienze e le competenze accumulate nel ciclo della transumanza che metteva in contatto aree geografiche e figure professionali disparate: Fu proprio grazie allโ€™esperienza accumulata da questi operatori, e ai collegamenti che si è tempo avevano stabilito con diverse aree della pianura lombardo-piemontese, che potevano germogliare, nel mutato contesto degli anni Ottanta del XIX sec., nuove esperienze imprenditoriali (14). Lโ€™arrivo dei โ€œsignori della Bassa milaneseโ€ non avvenne tanto per i consigli del Besana (il direttore della Regia stazione di caseificio di Lodi) e per imitazione del Roquefort ma perché, come osservò il Borghi: โ€œ[...] molte ditte sono realizzate da signori della Bassa milanese, allevatori e commercianti che forse già affidavano parzialmente gli armenti o il latte a bergamini valsassinesi e che quindi avevano motivi per la scoperta casearia della valleโ€ (15).


Il livello inferiore del fabbricato

Un recupero è possibile?

In larga misura le strutture di questi edifici non sono ancora state offese dalle ingiurie. Nonostante il declino subito giù dagli anni Venti del secolo scorso (a causa delle difficoltà di accesso e dell'impossibilità di trasformazione in strutture in grado di usufruire delle nuove tecnologie) esse rimasero in esercizio ancora a lungo e sono anche state oggetto di parziali interventi.

Il rifacimento delle coperture ed opportuni consolidamenti potrebbero riconsegnare al territorio valsassinese un patrimonio prezioso. Qui potrebbe venir affinata la produzione artigianale a latte crudo di strachì quadro (16) di una dozzina di ditte artigianali che tengono alta l'immagine casearia della valle. Qui potrebbe sorgere un "santuario dello stracchino". Potrebbe rinascere qualla "cultura dello stracchino" che faceva del "quadro" (oltre che del tondo erborinato "alla moda di Gorgonzola") un prodotto anche di lunghe stagionature. C'è un mondo da riscoprire

Note

  1. C. Cantù โ€œProvincia di Comoโ€, in C. Cantù et al., Grande illustrazione del Lombardo-Veneto, ossia Storia delle città, dei borghi, comuni, castelli, ecc. fino ai tempi moderni, Vol. III, Milano, 1858, p.987.

  2. A. Oriani, F. Oriani, โ€œLe casere di pasturo celebrate in Franciaโ€ in Il Grinzone n 35 (2011)

  3. C. Besana Tra agricoltura e industria il settore caseario nella Lombardia dellโ€™Ottocento, Milano, 2012, p. 197.

  4. I paesi della Grigna p. 384.

  5. A. Oriani, F. Oriani, โ€œLe casere di pasturo...โ€

  6. A. Borghi, I paesi della Grigna : episodi dello sviluppo di Pasturo, Pasturo (Lc), 1995 p. 384.

  7. Id., pp.384-385.

  8. Ibidem.

  9. F. Mandressi, โ€œLa nascita del caseificio industriale in Lombardiaโ€, in Annali di storia dellโ€™impresa, 10 (1999):565-592 (p. 582).

  10. C. Besana, Tra agricoltura e industria..., p. 236.

  11. G. Cornalba, โ€œIl caseificio della Valsassinaโ€, in Società agraria di Lombardia I pascoli alpini della provincia di Como Atti della commissione dโ€™inchiesta sui pascoli alpini, Vol III, Premiata Tipografia Agraria, Milano, 1912, pp. 349-370 (p. 365).

  12. C. Besana, โ€œFormaggi - Carni salate - Legumi - Frutti in conserveโ€, in Comitato esecutivo Esposizione Industriale italiana, Relazioni dei giurati, Milano, 1883.

  13. G. Cornalba Il caseificio della Valsassina..., p. 366.

  14. C. Besana, โ€œTra monte e piano...โ€, p. 66.

  15. A. Borghi โ€œI paesi della Grigna...โ€, p. 385.

  16. Strachìn quàder secondo la pronuncia milanesizzata dei bergamini (che svernavano alla Bassa) e, ovviamente, per i commercianti milanesi proprietari di casere.


 

 

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