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(03.04.15) Il bitto storico guarda già oltre Expo. E si prefigge ambizioni traguardi

Expo, Cheese 2015, il rilancio della Mostra di Morbegno con il gran ritorno del bitto storico. Eventi importanti che coronano l'accordo tra il bitto storico e le istituzioni. Da una parte si sta mettendo in pratica - a favore della Valtellina - il ruolo di trascinamento su altri prodotti agroalimentari e sul turismo di una produzione di grande prestigio, dall'altra viene non solo riconosciuto ma persino consacrato quel metodo di produzione e quei principi che determinano l'identita del bitto storico e ne determinano la sua differenza. In questo contesto il Bitto storico può guardare anche oltre. Esso intende riprendere tutti quei progetti originari di sviluppo locale autosostenibile, di iniziativa territoriale, di esperienze pilota, che ci si prefiggeva di realizzare già vent'anni orsono.leggi tutto

 

(04.02.15) Costituite le associazioni della capra Orobica e della Bruna alpina originale

Siglati l'altro ieri a Cortenova in Valsassina gli atti costitutivi di due nuove associazioni di allevatori (e produttori caseari). Due associazioni alleate che nascono all'insegna dell'unione delle "Orobie delle Tre Signorie" (le valli e la dorsali orobiche che confluiscono nel Pizzo dei Tre Signori). Due nuove associazioni di allevatori che intendono fare delle due razze simbolo della montagna lombarda un volano di sviluppo nel rispetto della biodiversità e della ricchezza di tradizioni e culture del territorio 

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(12.11.14) Gli Avogadri a Parre di Anna Carissoni

Continua in val Seriana il nostro viaggio alla riscoperta delle radici cancellate dalla cultura borghese e statonazionalista, ovvero di qull'identità profonda della Lombardia che si rispecchia nell'epopea dei bergamini, nel loro spirito di indipendenza, autonomia, mobilità, insofferenza alla burocrazia, alle gerarchie. Nel loro spirito di innovazione e di impresa nel rispetto dei valori tradizionali. E' la rivendicazione dell'orgoglio montanaro, dell'orgoglio contadino di fronte ad una cultura dominante continua a far credere che contadini e montanari siano stati nella storia solo bestie da soma e carne da cannone (come un secolo fa). 

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(10.11.14) Siglata oggi a Gerola la Pace del Bitto

Con l'accordo siglato oggi a Gerola alta presso il Centro del Bitto tra il Conzorzio per la salvaguardia del Bitto storico, Gerola e ilConsorzio di Tutela formaggi Valtellina Casera e Bitto si pone termine ad un conflitto che data al 1994. La specificità del metodi di produzione storico non solo viene riconosciuta e rispettata ma diventa ufficialmente un traino per la complessiva produzione casearia valtellinese. Ora si tratta di dare sostanza ai principi sul terreno della collaborazione. Il Bitto storico si attende ora che viene riconosciuto "avamposto della tradizione e della qualità caseauia" quel supporto dalle istituzioni che sinora è mancato.leggi tutto

 

(25.01.15) Torna la Bruna alpina. Rivincita della montagna contro la tecnocrazia

L'assessore regionale Fava è tornato in Val Brembana pre riprendere il confronto con gli allevatori saltando gli apparati burocratici. E ha assunto impegni importanti, in materia di promozione, di differenziazione del sostegno alla vera zootecnia di montagna, di razze simbolo della montagna lombarda. In particolare ha annunciato un premio speciale per la Bruna alpina originale e un grande evento Expo per questa razza legatissima alla storia della zootecnia lombarda che fu distrutta dai tecnoburocrati  leggi tutto

 

(21.01.15) Capra Orobica: più formaggio, meno estetismo. La via del rilancio della razza

In vista della Fiera delle capre di Ardesio (e in un contesto effervescente di iniziative in tema di Bitto storico e Formaggi Principi delle Orobie) ci è parso giusto sollevare il problema del futuro della capra Orobica, tassello prezioso di una strategia di valorizzazione e marketing territoriale. Va rilanciata la funzione produttiva del'Orobica di Valgerola quale robusta capra da latte per evitarne il declino. Bisogna però smetterla di ragionare a compartimenti stagni lasciando l'iniziativa ai produttori. leggi tutto

 

(26.09.14) Viaggio nelle sedi ancestrali dei bergamì. Parte dalla Valzurio lontana dai modelli luna park

La Valzurio, in alta val Seriana è una valle di bergamì per eccellenza (ma anche di pastori). Amata da chi ama la montagna autentica, non le rappresentazioni turistiche e alla National Park. le sue contrade sono autere e rivelano antica ricchezza e splendore. Volevo girarla tutta in una giornata con l'amico Andrea Messa di Nasolino ma siano riusciti a vederne meno di metà. Perché di elementi interessanti storici, ambientali ce ne sono paerecchi  leggi tutto

 

(30.09.14) Dalle Alpi alle Canarie  storie simili: l'Europa, la burocrazia i politici vogliono distruggere l'agricoltura famigliare

José Casatejada era un uomo che nella vita non aveva bisogno di fare il piccolo contadino per vivere: formato in Biologia, aveva un lavoro sicuro come tecnico di un parco nazionale. Decise di allevare, quasi per diletto della capre autoctone, sull’Isola di La Palma nelle Canarie.Poi, ametà degli anni ’80, si diede all’allevamento bovino: latte, formaggio fresco e stagionato.Il latte lo vendeva alla Centrale. Che però fu chiusa «sotto la pressione delle grandi lobby».I produttori di La Palma allora decisero di autogestire, assieme, il loro prodotto. Ma un’altra volta furono bloccati. «Dalla legge e da chi la applica» Intervista di Laura Zanetti e Mario Cecconi.leggi tutto

 

 

(18.08.14) In stampa il libro sulla civiltà degli stracchini e della transumanza bovina lombarda

La redazione del volume mi ha occupato negli ultimi mesi. Mesi in cui Ruralpini ha taciuto. Ma anni di studio dovevano essere messi a frutto con un volume che rendesse onore ai nostri, ai miei antenati malghesi o bergamini. 460 pagine che 'aprono' un capitolo sorprendentemente ignorato dalla cultura ufficiale pianocentrica e urbanocenbtrica. Perché i bergamini erano (sono) personaggi scomodi per la cultura della modernità, per la borghesia, per il progressismo coatto.

E' la rivincita della montagna, dei pastori che fanno conoscere la loro storia. Una storia che raccontra come hanno scalzato gli agricoltori imborghesiti dalla conduzione di molte aziende della pianura lombarda, di una mobilità sociale straordinaria, di uno spirito d'impresa controcorrente, ma anche di vera solidarietà di gruppo edi valori solidi, senza le ipocrisie della 'società stanziale'. (uscita a metà settembre - poi acquisto su Internet sul sito Centro Studi Valle Imagna) leggi tutto

 

(03.01.11) Tra montagna e città, tra storia e presente: i bergamini e i legami esemplari tra il cuore di Milano e le valli orobiche

L'idea, imposta dalla cultura cittadina, che lo sviluppo proceda solo dalla città e che le campagne e la montagna siano recettori passivi può cominciare ad essere messo in discussione.

Rileggere la storia può essere molto utile. Così come ai mezzadri è stato ricosciuto un ruolo decisivo nella nascita dei distretti industriali così è venuto il momento di riconoscere l'apporto degli allevatori e casari transumanti provenienti dalle montagne lombarde alla costruzione del moderno sistema zoocaseario. Un apporto basato non solo sull'integrazione nelle strutture agricole della pianura ma anche sulla frequentazione delle città e dei grossi centri commerciali dove la traccia dei montanari è ancora visibile. 

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(30.12.10) Tradizioni casearie alpino-padane

La valorizzazione delle tradizioni casearie legate al territorio  presuppone la ricostruzione e la conoscenza dell'evoluzione storica delle produzioni. Altrimenti si resta impantanati in situazioni in cui la ridda di denominazioni legate a località più o meno ristrette non riflette una reale variabilità mentre produzioni storicamente importanti ed originali restano 'oscurate' dietro denominazioni generiche. Il caso della famiglia lombarda degli 'stracchini' e di quella (lombarda e piemontese) delle 'robiole' (o rebbiole' è fortemenmte emblematico. Prodotti diversi indicati con lo stesso nome, prodotti uguali con nomi diversi. Gran parte delle confusioni derivano dal fatto che le stesse tecnologie sono state applicate a latti originariamente ovicaprini poi misti vaccini e caprini e quindi solo vaccini e, di recente, solo caprini. L'industria poi ha prodotto parecchi danni ... leggi tutto

 

(08.06.11) Bitto: formaggio orobico

La sottolineatura dell'origine e identità orobica del Bitto non sono una provocazione. Il Bitto storico rilancia i legami con la Val Brembana e con la bergamasca  non solo e non tanto in polemica con una Valtellina che ha voluto inventare un 'nuovo Bitto', ma per fedeltà alla sua storia. In vista della prossima edizione di Cheese (Bra, 16-19 settembre), che celebrerà l'unione dei formaggi 'principi delle Orobie', pubblichiamo alcuni materiali che testimoniano la realtà secolare di un Bitto che ha per molto tempo gravitato sul versante bergamasco prima dell'affermazione del ruolo di Morbegno come 'capitale del Bitto'. Un ruolo che, tra una Dop che ha snaturato il Bitto, e un Mostra del Bitto fallimentare, non ha saputo conservare.  leggi tutto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(08.04.15) È da oltre un secolo che i tecnocrati hanno ingaggiato la loro battaglia di esproprio dei saperi rurali e di imposizione della standardizzazione al formaggio bitto. Oggi abbiamo capito che l'igiene, il "progresso" non c'entrano. C'entra il controllo industriale totalizzante sulle filiere produttive

 

Da oltre un secolo "rompono" con i

fermenti e la standardizzazione

 

Oggi, quando il bitto storico ha almeno parzialmente vinto la sua battaglia per evitare l'omologazione di metodi produttivi secolari ad una "modernizzazione" coatta, possiamo guardare al passato con più serenità e ricostruire una vicenda lunga un secolo. Una storia che ha visto i tecnocrati e le istituzioni, prima qualificare come inadeguata una produzione che si era fatta una grande reputazione da secoli, poi cercare di uniformare il prodotto alle tecnologie "razionali" del caseificio industriale. Un modo per arrivare a produrre durante tutto l'anno, in grossi caseifici, un formaggio leggendario che deve le sue caratteritiche peculiari all'alpeggio

 

 

Come forse i nostri lettori sapranno il formaggio Branzi, sino ai primi decenni del Novecento era  era così chiamato perché nella località di Branzi in alta val Brembana  "[...] ricorre ogni anno una famosa fiera di formaggi, dove sono messi in vendita i prodotti di tutte le Alpi della Valle Brembana, e di gran parte della Valle Seriana e della Valtellina" (Atti del consiglio provinciale di Bergamo, 1874). Si trattava di formaggio grasso d'alpe prodotto anche sugli alpeggi della val Tartano e della stessa valle del Bitto che, in base alle descrizioni dei tecnici di inizio Novecento era molto simile all'attuale Bitto. Il "Branzi" era, infatti un formaggio duro a pasta cotta destinato alla stagionatura.

Nonostante la fama del Branzi/Bitto i tecnocrati dell'epoca avevano da ridire. Forte era il loro pregiudiziono contro i bergamini (malghesi) produttori del Bitto/Branzi. Essi erano allevatori-casari transumanti che continuavano a fare la spola tra la pianura e la montagna e non andavano a genio alle "Istituzioni agrarie". Tanto che con giudizi tanto faziosi quanto ingenerosi li consideravano inadeguati, sia come allevatori che come casari (peccato che il loro bestiame e il loro formaggio - come dovevano riconoscere i tecnocrati a denti stretti - era ben commerciabile).

 

un casaro d'alpeggio del XV secolo: si sono secolo e millenni d'esperienza dietro le tecniche dei "casari ignoranti" disprezzati dai tecnocrati

 

 

"Non sanno né allevare né caseificare"

 

Il "nomadismo" era vissuto com un "disordine" dagli enti agricoli del tempo ovvero le Cattedre ambulanti (espressione istituzionale anche se non ancora ministeriale come divenne in seguito a partire dagli anni Venti). Essi, come del resto gli "scrittori" di cose agrarie (tutti di estrazione aristocratica o borghese) ne auspicavano già dalla metà dell'Ottocento (con Stefano Jacini) la "fissazione".

Lo Scalcini, direttore della Cattadra ambulante di agricoltura delle Valli bergamasche, nella relazione sull'attività della Cattedra stessa nel periodo 1906-1913 (Bergamo,1913)non nascondeva la sua poca simpatia per i bergamini che qualifica: "allevatori quanto mai primitivi" e vedeva nell'azione illuministica di "innalzamento intellettuale" della Cattedra un mezzo per facilitare la loro sedentarizzazione o al piano o in montagna (purché si fissassero...).

 

[...] noi abbiamo creduto che a facilitare questa trasformazione del mandriano in un allevatore a dimora stabile avrebbero potuto contribuire anche le nostre istituzioni agrarie, cercando di elevare la sua istruzione tecnica e, per conseguenza diretta, anche le sue condizioni economiche; di che per noi è pacifico che se i mandriani si assoggettano ancora alla loro attuale, dura vita, gli è per la semplice ragione che non hanno i mezzi di fare altrimenti

Ovviamente non era vero niente. I bergamini incarnavano una cultura "altra" da quella borghese e delle classi rurali "umili e sottomesse". Vestivano alla montanara perché preferivano investire nel bestiame e tesaurizzare. Erano tanto "pezzenti" che sono riusciti ad acquistare i fondi in pianura.  Oggi ci rendiamo che era lo spirito indipendente dei bergamini a risultare antipatico ai tecnocrati. Questi ultimi cercavano in ogni modo di favorire i "casalini" (i piccoli contadini-allevatori stanziali) promuovendo associazioni e consorzi di alpeggio e suscitando la concorrenza di queste aggregazioni a danno dei transumanti affittuari degli alpeggi. I "casalini" impersonavano il contadino sottomesso, senza orgoglio, che si vergogna di essere tale ed è più facilmente manipolabile dalle classi elevate e dai loro rappresentanti intellettuali, tecnici, burocratici.

Il formaggio deve essere "migliorato" (come il bestiame)

 

La preoccupazione dei tecnocrati consisteva nellauspicio di  un "miglioramento" zootecnico caseario che coincidesse con le loro vedute preconcette. A loro (ieri come oggi) importava più che altro che fossero le loro scelte e il loro controllo a determinare gli indirizzi tecnici. Oggi sappiamo che in campo zootecnico gli errori dei tecnici furono clamorosi. L'imposizione autoritaria dei tori svizzeri (con la carota dei premi e il bastone della negazione dell'autorizzazione alla monta dei tori da parte dalle commissioni) era motivata più da preconcetti formalisti che da precisi indirizzi funzionali di miglioramento e, tra le due guerre, si impose un tipo di Bruna di diretta derivazione svizzera eccessivamente pesante e con eccessiva attitudine alla carne (carattere desiderato dagli svizzeri per assicurarsi, in vista dei venti di guerra del tempo, una buona autosufficienza).

 

Serina (Bg). Fiera del bestiane, anni Quaranta. Molta carne

 

Ma nel 1928 fu una vacca dei bergamini (di nome "Regina"), di tipo decisamente diverso da quello svizzero a battere sul filo di lana , vaticinio dei nomi, dopo aver vinto per tre anni consecutivi nelle mostre casalinghe alla Fiera-esposizione di Milano, con la produzione di 67 litri di latte in due giorni, conquistò il titolo di «Regina del latte» battendo, sia pure sul filo del rasoio, una Pezzata nera olandese. Era la prima volta che una Bruna Alpina montanara otteneva una simile affermazione. Poi proseguì l'ortodossia svizzerofila che comportò anche inconvenienti non da poco quando venivano vendute (o per meglio dire rifilate) in dumping (con il sussidio federale) bovine da "risanamento".

 

La Regina dei bergamini. Molto latte ma animale di forme raccolte e sviluppo moderato compatibile con la montagna

 

Distrutto il ceppo di Bruna dei "primitivi e ignoranti" bergamini la razza si consegnò senza colpo ferire all'incrocio di sostituzione con la Brown Swiss, decisamente più lattifera. Siamo ormai in anni a noi vicini (fine anni Sessanta-inizio anni Settanta).  Questa volta i tecnocrati imposero qualcosa che era all'estremo opposto delle loro scelte precedenti e che non mancò di rivelarsi un errore clamoroso. Hanno guadagnato i commercianti di seme congelato, di mangimi, di farmaci.

Il montanaro trovandosi con vitelli di valore nullo si è dovuto arrangiare con l'incrocio industriale (usando seme di tori da carne); poi ha inizato a incrociare le vacche e l'attuale babele di razze e incroci in totale o parziale sostituzione di una Brow Swiss che non è adatta alla montagna è una Caporetto zootecnica. Tutto grazie ai tecnici. Che hanno sempre dimostrato di non avere per finalità il "progresso zootecnico e caseario" ma gli interessi dell'industria, di un sistema economico che voleva fare a meno di contadini indipendenti, che voleva materie prime a vile prezzo (latte, carne) e rendere completamente dipendenti dal mercato (sia dal punto di vista dell'acquisto degli input, che della cessione degli output) i produttori.

Il mercato capitalistico premia la specializzazione e aborriva dai bergamini autosufficienti che erano allevatori, casari, commercianti.  Ai tecnici piace la specializzazione e la quantità perché il produttore agricolo è poi costretto a cedere il suo unico prodotto (di cui non sa cosa fare altrimenti) accettando "con le mani dietro la schiena" un vile prezzo.

 

Un modello che reléga l'allevatore a dipendente del sistema industriale

 

In nome dell'igiene e della standardizzazione l'economia industriale ha puntato a concentrare l'attività di trasformazione agricola in poche unità di produzione.

Nei formaggi un passo decisivo per la standardizzazione è l'impiego di "innesti selezionati", ovvero di disciplinati, uniformati e prevedibili batteri lattici. Che si sostituiscono alla variegata, così intollerabilmente biodiversa, microflora spontanea con i suoi ceppi "selvaggi", i lieviti, gli eterofermentanti.

Con una microflora disciplinata si possono applicare schemi di produzione relativamente costanti (tanto caglio,tanto tempo, tanta temperatura). Le lavorazioni diventano riproducibili, non c'è più bisogno delle competenze dei "mastri casari". Il sapere viene trasferito nei macchinari, nel capitale e viene sottratto alle persone. Alla fine il casaro diventa un supervisore che schiaccia i bottoni. Un secolo fa questi sviluppi erano embrionali in pianura mentre in montagna si era anni luce distanti da questo modello "razionalizzato".

Il già citato Scalcini, però, nella Relazione sull'attività della Cattedra ci informa che:

 

...sempre per i miglioramento del branzi la cattedra ha coadiuvato il chiarissimo professor Gorrini della regia scuola superiore di agricoltura di Milano in una sua esperienza di semina di fermenti selezionati, eseguita, nel 1909, sull'Alpe Ponteranica in comune di Mezzoldo. l'esito di queste prove è stato soddisfacente, in quanto che ne formaggi fabbricati con i fermenti si riscontrò una perfetta conservazione della pasta e un sapore delicato ed ottimo; mentre le forme di confronto, lavorati nelle stesse condizioni, ma senza fermenti, presentavano varie pecche. Pur riconoscendo la necessità di altre prove su più larga scala, si è però già incoraggiati a sperare che si possa trovare nell'uso dei fermenti selezionati un mezzo molto efficace di miglioramento, specialmente per arrivare alla uniformità del tipo.

 

Un entusiasmo che pare eccessivo considerando che le prove di utilizzo di innesti selezionati nella lavorazione del Bitto (nel frattempo il Branzi non era più prodotto in alpeggio ma in caseificio) furono riprese dopo ottant'anni (Cavallotto G., Giangiacomo R., Carini S. Il formaggio Bitto: tecnologia, composizione e caratteristiche reologiche e di colore in il Latte, 13 -1988 -726-733). La finalità era sempre quella della "uniformazione" del prodotto.

In quei tempi non si nascondeva l'idea di seguire la strada di altri prodotti e di produrre un Bitto "migliore", lontano dagli alpeggi, in moderni e razionali "caseifici moderni". Uniformare era sempre l'ossessione dei tecnoburocrati.

Questo programma, era stato enunciato in un articolo su "Il formaggio bitto" apparso sulla rivista dell'Ispettorato agrario provinciale di Sondio (G.Delforno, A. Fondrini in   Rezia agricola e zootecnica n. 5 maggio 1976). Gli autori, dopo aver auspicato che "si provvedesse ad apportare alcune modifiche nei tradizionali, e talvolta irrazionali, metodi di lavorazione, nonché e a curare maggiormente l'aspetto esteriore e la confezione del prodotto finito" indicavano questa soluzione:

 

tutto ciò si potrebbe ottenere, ad esempio, con la costituzione di alcuni moderni caseifici nella zona, che- disponendo di maggiori quantitativi di latte da lavorare ed adottando più razionali procedimenti di fabbricazione- potrebbero non solo produrre reddito tutto l'anno, ma anche conseguire quei miglioramenti produttivi e merceologici, che sono compatibili con i recenti progressi raggiunti in ogni campo dall'industria lattiero casearia del nostro paese

 

Generazioni di studiosi di caseificio erano arrivate alla conclusione che la qualità di un prodotto artigianale poteva migliorare solo con l'adeguamento ai progressi della tecnologia industriale.

Ancora una volta un abbaglio colossale, smentito anche dalle successive generazioni di tecnici e ricercatori che hanno dovuto ammettere - sia pure solo di recente - che è superiore il prodotto artigianale, realizzato da mani esperte e con una materia prima ben diversa da quella di cui può disporre l'industria (latte anestetizzato e pastorizzato di vacche pompate di mangimi e integratori).

 

 

Una rivincita per i bergamini e per quelle "teste dure" refrattarie alla manipolazione dei tecnici e dei politici come Paolo Ciapparelli che ha saputo far rivivere una cultura di "autonomia rurale e contadina" pur essendo un "venditore di piastrelle" (in realtà proprio grazie a questo e alla possibilità di sfuggire ai condizionamenti, manipolazioni, piccoli e grandi ricatti che gli "agricoli" hanno troppo spesso accettato di subire).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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