Ruralpini               storia/Navigli vie di latte

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(08.01.16) La sistemazione della Darsena e la bella mostra Milano Città d'acque (Palazzo Morando, Via Sant'Andrea  sino 14-02-2016) rappresentano occasioni perché Milano riscopra anche i legami che le vie d'acqua hanno storicamente stabilito con i territori vicini ma anche con lontane valli alpine. Sono legami che riguardano anche l'agricoltura, la zootecnia, gli alpeggi e il caseificio. Vediamo come.

 

Milano città d'acque (e di latte)

 

 

di Michele Corti

 

 

La mostra Milano città d'acque è fortemente centrata sul rapporto tra Milano e le sue acque (*), rapporto che significa navigli ma anche Olona (il fiume di Milano (oggi intubato) Vettabia, Ticinello. Certo che oggi nel panorama urbano si fa fatica a riconoscere una "citta d'acque".

 

La Milano dell'era industriale le sue acque le ha ulteriormente canalizzate e le ha poi seppellite. La canalizzazione in realtà era  iniziata in età romana. Opera necessaria per governare un territorio attraversato da 7-8 fiumi e fiumiciattoli e disporre di un vero e proprio porto fluviale  (di cui poi la città non disporrà mai più dato che il "Porto di mare" ha rappresentato la pietra tombale sulle aspirazioni "marinare" meneghine ). A cavallo dell'ultima guerra, però, Milano non si è limitata a canalizzare ma ha perseguito con accanimento l'opera di "seppellimento" e intubazione dei fiumi e dei navigli. Il traffico privato e l'inquinamento (che aveva sostituito nuovi tipi di olezzi chimici a quelli dlel'epoca prefognaria) spinsero in quella direzione che ha banalizzato quello che era un volto caratteristico. Ma oggi la città è completamente trasformata e le industrie non esistono più. Il traffico grazie alle linee della metropolitana, ai parcheggi di coincidenza, alle limitazioni non è più quel mostro sacro che reclama sacrifici umani, alle cui esigenze si devono sacrificare salute, valori estetici e le possibilità di disporre di una città piacevole per turisti e residenti. Così da tempo sono pronti progetti del tutto realistici per scoperchiare la "Fossa interna" dei navigli, quella che per i milanesi, acqua o non acqua, rimane la "Cerchia dei navigli". E stanno avanzando anche i progetti di navigabilità tra Venezia e Locarno (per ora si va in barchetta e la decantata "crociera" di Expo prevedeva due trasbordi). Milano come tappa di un percorso fluviale tra Venezia e Locarno. Un bel sogno.

 

Intanto concentriamoci sul sogno dello "scoperchiamento" della "Fossa interna" che potrà restituire alla città quello che è stata la sua anima per molti secoli. Non parliamo (solo) di estetica ma di flussi di merci e materiali che hanno letteralmente costruito la città che conosciamo (anche i palazzoni del boom economico sono stati tirati su con la sabbia del Ticino portata dai barconi sino in Darsena). Nonostante Milano non abbia avuto un porto fluviale le antiche Conche, il Tombone e la Darsena sono stati importanti scali commerciali (non solo marmi, graniti e sabbia quindi) che hanno influenzato le possibilità del commercio e del consumo cittadino  (e per certi periodi anche le manifatture) .

Pochi sanno però (la Mostra vi fa solo un fuggevole accenno citando il Burgh di furmagiatt) che Corsico e Milano sono stati importantissimi centri di stagionatura dei formaggi (grana e gorgonzola, o meglio i loro precursori). Ma è intressante ricordare come, tramite il naviglio Grande e la Martesana, non arrivavano in città solo gli stracchini dell'area tra Ticino e Adda ma, attraverso vie fluviale che si prolungavano fino al Verbano e al Lario, anche i formaggi di lontani alpeggi dell'Ossola ma anche del Bernese e del Voralberg.

 

 

Quanto al rapporto tra la città e quel territorio di copiosa produzione di latte che iniziava già appena oltre le mura cittadine (a Sud, a Ovest e a Est) va ricordato come esso fosse un rapporto strettissimo: un rapporto economico ma anche un rapporto ecologico. Prima di reti fognarie e depuratori, ancora nel Novecento, erano le marcite (i prati marcitoi) (**) a svolgere opera di depurazione (e al tempo stesso di concimazione). Grazie alle acque "grasse" della Vettabia la fascia a Sud di Milano fu a lungo terra ambita dai bergamini, gli allevatori transumanti delle Orobie. L'acqua dei fontanili (in inverno a temperatura molto superiore a quella atmosferica) e la concentrazione di elementi nutritivi di quella reflua dalla città consentiva di effettuare sino ad una dozzina di tagli all'anno dei prati marcitoi. L'erba di marcita non era quella più nutritiva ma anche in inverno consentiva di mantenere elevata (rispetto ai livelli del tempo) la produzione di latte. Di qui una copiosa produzione di latte, burro, stracchini, mascherpe, mascarponi crema di latte (Foscolo, pensando di disprezzarla, chiamava Milano "Paneropoli", da mil. pànera). In qualche modo la città si vedeva restituito quello che navigli, rogge e scolatori asportavano. Ma anche l'acqua pulita, quella del Naviglio grande che arriva dal Ticino e quella della Martesana che deriva dall'Adda era, ancor di più, alla base di flussi vitali. L'irrigazione, introdotta in modo sistematico con la fine del medioevo, combinata con le capacità allevatoriali dei montanari ha creato un sistema altamente produttivo. Il limo, trasportato in sospensione dalle acque di irrigazione, e il letame hanno creato il terreno fertile che grazie all'acqua, anche dove non vi erano marcite, poteva produrre numerosi tagli di fieno. Il latte, trasformato in latticini (tranne che nelle cascine più vicine alla città che fornivano il prodotto fresco), trasportati in larga misura via navigli, veniva venduto agli stagionatori che lo mantenevano a Corsico e a Porta Ticinese. Con il ricavato i bergamini (e i "lattai", che non praticavano più la transumanza ma non rinunciavano a mantenere anch'essi un po' di bovine) pagavano i "fittavoli" che davamo loro alloggi, materiali e, nel caso dei bergamini, il fieno. I "fittavoli" pagavano i proprietari (grossi enti di beneficienza o patrizi) che risedevano in città. Un circuito molto denso in cui i navigli giocavano un ruolo chiave.

Una storia densa e significativa che contribuisce, se raccontata, a conferire un'anima (fatta di storia vissuta e con tanbti legami con il presente) ai programmi pro navigli. E speriamo che un giorno non lontano si possa raccontarla ai nuovi milanesi e ai turisti che degusteranno magari in un cheese bar a sbalzo sulle acque della "Fossa interna" (dove si spera che la presenza dell'acqua non si traduca in una forma solo un po' più chic chic di movida) quelle specialità casearie che i navigli hanno contribuito ad affermare.

 

 

* Da tempo le varie associazioni milanesi che operano per la valorizzazione dei navigli ma anche organizzazioni "generaliste" organizzano inziative che coinvolgono anche le località che si affacciano sulle rive. Il legame tra latte e navigli è stato messo in evidenza, con l'iniziativa ricorrente "Stelle e stalle lungo la Martesana" ell'ambito di un'iniziativa del FAI  denominata "La via lattea" che attraverso itinerari ciclo-pedonali punta a far conoscere ai milanesi la "sconosciuta" campagna lombarda

* * Oggetto del famoso trattato dell. avv. Domenico Berra (Milano, Silvestri, 1811)

 

 

I navigli milanesi: vie d'acqua e di latte (o, per meglio dire,  di caci e stracchini)

 

di Michele Corti

Comunicazione presentata al Convegno “Latte&Linguaggio” Biblioteca Cascina Chiesa rossa, Milano 15-17 maggio 2015 (in corso di stampa)

I navigli milanesi: vie d'acqua e di latte(o, per meglio dire, di caci e stracchini) (PDF statico)

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1. Introduzione

 

La sistemazione della Darsena nel 2015 ha parzialmente rilanciato l'immagine di Milano città d'acque. Purtroppo sono state disattese le promesse relative alla riapertura di tratti della rete cittadina dei navigli e l'acqua non è tornata neppure nella conca dell'Incoronata. Nonostante questo l'interesse dei milanesi per il sistema dei navigli, dopo tanti decenni di oblio, resta comunque alto e si susseguono iniziative (1).  Tale sistema oltre alla Cerchia, alla  Darsena, alle conche, ai porti del Laghetto e del Tumbun di Sant'March comprende va la rete di canali che collegavano la città al Ticino e all'Adda: il naviglio Grande, quello Pavese, della Martesana ma anche il naviglio di Paderno che consente di superare le rapide dell'Adda.

I navigli  sono parte importante di Milano e la città dimenticandoli, tombinandoli (a partire dal 1929) e abbandonando all'incuria, come è stato fatto nel recente passato, manufatti idraulici di grande valore storico ha compromesso il senso di continuità e riconoscibilità della sua immagine urbana già indebolito dalle conseguenze del “piccone risanatore” prebellico e dei bombardamenti aerei.

I navigli hanno influenzato non solo l'assetto urbano di Milano con il sistema dei canali, dei ponti delle conche (le prime realizzate al mondo) ma  anche l'aspetto architettonico e l'arredo urbano influenzati dal  relativamente facile trasporto di marmi e graniti dalle lontane cave del Verbano e del Lario ma, fatto meno noto e su cui verte il nostro contributo, hanno anche condizionato l'organizzazione dei commerci di molti generi e quindi le abitudini e le preferenze di consumo, parte fondamentale del costume.

Mettere in evidenza tutto ciò, riportare alla memoria il ruolo per esercitato per tanti secoli dai navigli quale via di trasporto di merci di ogni tipo, può contribuire a mantenere viva l'attenzione sul  progetto di riapertura della “Fossa interna” finalizzato a riconoscere a Milano un volto che le è stato a lungo proprio, cancellato dall'epoca dell'industrializzazione e della motorizzazione trionfanti ma che forse oggi, in epoca di indispensabile ripensamento dei sistemi di mobilità pubblica e privata, può consentire di superare le obiezioni che hanno sinora bloccato i progetti tutt'altro che nostalgici di “scoperchiamento”.

 

Fig. 1 - Conca del Naviglio. Realizzata dopo l'erezione delle Mura spagnole a metà del XVI secolo. Sostituì la precedente conca del Quattrocento realizzata dagli architetti della Fabbrica del Duomo. La prima al mondo.

 

2. Vie d'acqua e formaggi


A Milano attraverso i navigli giungevano derrate alimentari fresche (frutta, verdure, bestiame da macello, formaggi), foraggi e paglia, vino, granaglie, materiali da costruzione (legname, pietra, marmo, laterizi, calce, sabbia), carbone manufatti vari. Dalla città partivano filati e stoffe e i manufatti delle numerosissime botteghe artigiane di ogni genere.  Grazie alle vie d'acqua che collegavano la metropoli lombarda con i grandi laghi prealpini era relativamente facile l'approvvigionamento di formaggi pregiati prodotti in estate sui pascoli alpini. Il Verbano e il naviglio grande rappresentavano l'ultimo tratto di un lungo percorso che collegava gli alpeggi bernesi (regione di Brienz), attraverso la Sbrinz route con la valle del Toce. Il tracciato superava i passi di Grimsel e Gries attraversando il Vallese. Dall'alta Formazza scendeva anche il Bettelmatt, un formaggio grasso d'alpe solo recentemente rivalutato ma che era ben conosciuto a Milano nel XVIII e XIX secolo. Attraverso la via del Lago di Como, dell'Adda e del naviglio di Paderno e  della Martesana giungevano a Milano formaggi non solo della Valtellina (2) e dalla Valsassina ma anche, attraverso i Grigioni e lo Spluga,  quelli del Voralberg austriaco (3).

 

 

Fig. 2 - Sistema dei navigli dell'Insubria

 


 

Fig. 3 – Il sistema dei navigli milanesi nel 1860 a N il Tombone di San Marco. La Vettabia scaricava all'altezza dell'attuale via De Amicis.

 

Prima del boom della produzione e del commercio caseario, verificatosi a partire dal 1880, dalla Valsassina, attraverso la mediazione di operatori brianzoli che si rifornivano al mercato di Lecco, arrivavano a Milano  i “caprini”. Gli stracchini (4), invece - a differenza dei formaggi d'alpeggio, dei caprini e di altre specialità della montagna - erano prodotti in quantità entro un breve raggio dalla città e affluivano sui mercati cittadini in larga misura attraverso i navigli. Il vantaggio della via d'acqua consentiva non solo nella sua economicità ma anche nella possibilità di evitare gli inconvenienti del trasporto su carri che potevano danneggiare i formaggi molli.  Rispetto ai formaggi più costosi la produzione e il commercio degli stracchini crebbe considerevolmente nel corso del XIX secolo in seguito all'aumento del consumo presso gli strati popolari urbani (5).

Il decollo del grande commercio distracchini, ovvero dello stracchino tondo ad uso di Gorgonzola e dei “quartiroli” o “stracchini quadri” (6) tra la Valsassina e Milano è  però successivo alla realizzazione della rete ferroviaria (la Monza-Lecco è del 1873) e delle nuove e grandi casere di stagionatura che vide come protagonisti, dopo il 1880, anche diversi grossi “negozianti” (stagionatori-commercianti) milanesi (7). Con la maggiore facilità dei trasporti consentita dallo sviluppo della rete ferroviaria e dal miglioramento di quella stradale vennero superati i limiti che

per secoli avevano condizionato la produzione e il commercio caseario. Nel XX secolo, grazie all'autotrasporto su gomma e ai sistemi di refrigerazione, non solo i latticini finiti e semilavorati vengono trasportati a lunghe distanze ma anche il raggio di raccolta del latte tende ad ampliarsi sempre di più modificando profondamente la geografia casearia. Il ruolo dei Navigli diventa marginale per poi scomparire. Risulta però impossibile comprendere l'evoluzione dell'industria casearia lombarda e quelli che sono ancor oggi alcuni suoi tratti caratteristici se ci si dimentica di una geografia di produzione e commercializzazione che è stata per secoli condizionata dalle vie d'acqua, dai navigli. Questa considerazione emerge in tutta evidenza esaminando il ruolo assunto nell'ambito dei commerci caseari da località quali Gorgonzola, Corsico,  Abbiategrasso, i Corpi santi di Porta Ticinese (Borgo di San Gottardo o di furmagiatt). È quello che faremo di seguito.

 

Fig. 4 – Comballi sul lago di Como

 

 

 

Fig. 5 – Il Tumbun de San March in un olio di Giuseppe Canella (1834)

 

 

3. Navigli e stracchini: i centri del commercio

 

3.1 Il Borgo di San Gottardo (El Burgh di furmagiatt)

 

Faceva parte del comune “a corona” dei Corpi santi,  istituito nel 1781 e riaccorpato a Milano, dopo quasi due secoli, nel 1873. La fortuna del Borgo di San Gottardo è legata alla presenza dei navigli e della Darsena ma anche delle strade regie che correvano ai lati delle alzaie e conducevano verso il Piemonte e Pavia. Un ruolo decisivo nel determinare lo sviluppo del Borgo lo svolse però la normativa fiscale. I Corpi santi erano esenti da dazio, quindi era possibile il magazzinaggio di merce deperibile destinata sia alla città (dove entrava solo quanto necessario al consumo cittadino) che ad altre destinazioni interne o estere. Questa favorevole condizione si instaurò però solo dopo il 1828. Sino a quella data, al fine di rendere meno agevole l'ingresso a Milano di merci di contrabbando,  era vietata qualsiasi attività di deposito anche nei Corpi santi.

Dopo il 1828 lo sviluppo edilizio del Borgo, legato alla realizzazione di magazzini per il deposito-stagionatura dei formaggi (grana e stracchini),  fu rapido tanto che -  a metà degli anni Cinquanta  del XIX secolo - essi raggiunsero ben presto il numero di 105 (8). L'evoluzione urbanistica del Burgh, che emerge dalle mappe urbane del XIX secolo, mette in evidenza come alle originarie costruzioni - edificate intorno ad una corte acciottolata affacciantesi sul Corso - se ne siano progressivamente aggiunte altre che andavano definendo un sistema “labirintico” di corti comunicanti. La presenza di numerosi magazzini grandi e piccoli faceva di questi ambienti anche il “deposito” dei contrabbandieri e della ligéra (la piccola malavita). 

 


Fig. 6 – Corso San Gottardo ai primi del Novecento

 

Le “casere” per la stagionatura del formaggio (grana, gorgonzola ma anche formaggi importati) erano costruzioni seminterrate allungate dove la stagionatura avveniva sia nelle cantine che al piano terra (piuttosto alto). Mano a mano che il prodotto stagionava esso veniva spostato dal livello interrato a quello superiore e dalla zona più lontana a quella più vicina al Corso inondandolo quindi di effluvi. Va tenuto presente che le stagionature di un tempo erano molto più lunghe di quelle odierne: il gorgonzola poteva arrivare facilmente ad un anno di stagionatura, il grana a diversi anni. Ciò determinava necessità di spazi, di manodopera e un forte immobilizzo di capitali che faceva del  neguziaant il dominus della filiera. La merce entrava e usciva da uno o più ampi portoni selciati che si aprivano sul Corso e consentivano la manovra dei carri. All'interno delle corti vi erano ampi spazi per lo stoccaggio del fieno e per il ricovero dei cavalli. Con l'aumento della popolazione alla funzione produttiva si andò sovrapponendo quella abitativa, con la realizzazione di case di ringhiera a più piani. L'importanza del Burgh quale fulcro del commercio caseario si confermò durante la Grande Guerra quando viene istituito (giugno 1917) il Consorzio obbligatorio per la disciplina del commercio del burro prodotto in Lombardia, Piemonte ed Emilia  ai fini della gestione della requisizione del prodotto. Il Consorzio ebbe sede al n. 3 del Corso.

Il Burgh di furmagiatt mantenne una grande importanza nel commercio caseario sino agli anni Trenta quando la stagionatura del Gorgonzola venne trasferita a Novara. Per un certo periodo, mentre la funzione di magazzinaggio ormai declinava, le ditte mantennero ancora le sedi commerciali nel Borgo (9).

 

Fig. 7 – Particolare della mappa urbana di Milano del 1865 con il Borgo San Gottardo, sviluppatisi inizialmente lungo l'asse del Corso.

 

A Milano le attività di stagionatura dei formaggi non rimasero esclusive del Burgh di furmagiatt. Verso la fine dell'Ottocento si affermarono attività di stagionatura anche nella zona a N-E della città. Le storie di bergamini originari della val Taleggio ci consegnano notizie di stagionature tra Porta Tenaglia ( oggi Porta Volta) e Porta Venezia. Non sappiamo se e in quale misura queste attività (sicuramente di rilievo molto inferiore a quelle di Porta Ticinese) si rifornissero attraverso il vicino  porto del Tumbun de San March.  Per una strana coincidenza le due testimonianze riguardano due originari della contrada Grasso di Taleggio: uno, Pietro Bellaviti, nato nel 1828, si trasferì a Milano nel 1850 avviando un'attività di stagionatura a Porta Orientale (attuale Porta Venezia), di certo in connessione con i numerosi bergamini di origine taleggina della zona dell'Est milanese. Il pronipote racconta come il bisnonno realizzasse nel 1880 due edifici in Via Spallanzani dove prima esisteva l'osteria Tri basèi (10) .  Erano case di ringhiera con portoni d'ingresso molto ampi per consentire l'ingresso dei carri, nel cortile interno lastricato a rissada e con i curidùr (trottatoie) in granito per l'accesso agli spazi interni. Nel cortile Pietro Bellaviti aveva realizzato una spaziosa costruzione parzialmente interrata per la stagionatura dei formaggi e, a fianco, un'ampio ricovero per i cavalli con i vani a livello terra ad altezza maggiorata e, al di sopra gli spazi per il deposito dell'avena e del fieno(11). Un modello che ricalca quello già visto al Burgh di furmagiatt.  Giacomo Danelli, nato negli stessi anni di Pietro Bellaviti nel racconto di una pronipote (che ne conserva una fotografia di fine XIX secolo) esercitò per tutta la vita l'attività di bergamino svernando solitamente nei Corpi santi (divenuti poi parte di Milano). Come tutti i bergamini frequentava il mercato di Piazza Fontana e vendeva gli stracchini che produceva ad un nipote “negoziante” (commerciante-stagionatore) che risiedeva in Via Paolo Sarpi (dove il processo di urbanizzazione si sviluppò negli anni Ottanta) (12).

 

3.2 Corsico

 

Sul Naviglio Grande, confinante con  Milano, si trova Corsico uno dei centri che in passato hanno rappresentato il fulcro del commercio caseario regionale a lungo raggio. Così si esprimeva in proposito l'autore locale delle risposte ai quesiti dell'Inchiesta di Karl Czoernig, condotta dal Governo Lombardo Veneto negli anni Trenta (13):

 

In questo capoluogo di distretto vi sono n. 82 casare ossiano magazzini di formaggio posseduti da n. 61 negozianti domiciliati in Milano. Questi magazzini contengono complessivamente circa n.80/m. Forme di formaggio. Tale numero d'ordinario si verifica agli ultimi sei mesi dell'anno, epoca in cui i proprietarj dei magazzini suddetti fanno la provvista dalle fabbriche del basso Milanese, del Lodigiano e del Pavese. Le vistose spedizioni per l'estero e il rilevante consumo all'interno del Regno di queste derrate formano uno de' principali rami di commercio che offrir possa il suolo lombardo (14) 

 

La fortuna di Corsico era legata al Naviglio, alla vicinanza della città e, al tempo stesso, al comprensorio di produzione di latticini, da parte dei fittavoli, dei bergamini  e dei laté (15), tutti  particolarmente numerosi nelle località a Sud del Naviglio stesso, specie verso il Ticino. Corsico emerse come centro caseario nel XVIII secolo incrinando il ruolo quasi monopolistico di Codogno (che si avvantaggiava dalla posizione al centro del comprensorio di produzione del formaggio Grana e della vicinanza ai confini dello stato). La presenza a Corsico di numerose casère indusse le autorità a stabilirvi un Postaro del sale (16) “per togliere tutti li possibili pregiudizi, che causar si possono alla detta Impresa degli Empori, o Magazzini de’ formaggi che si fanno nel Luogo di Corsico di questo Ducato di Milano, nelle Casare, o siano Conserve ivi destinate” (17). Giuseppe II promosse  ulteriormente lo sviluppo di Corsico istituendo una ricevitoria di finanza.

All’inizio dell’Ottocento si raddrizza il percorso del Naviglio creando uno spazio più ampio corrispondente all’attuale piazza del ponte, dove scaricare e caricare le barche con le merci da e per Milano(18).

 


Fig. 8 – Piazza del ponte e imbocco di Via Cavour a Corsico

 

Dopo l'abolizione del divieto di deposito di merci nei Corpi santi Corsico, nonostante l'affermazione del nuovo “polo” mantenne comunque un ruolo importante nel commercio caseario. Mantenne qui la sua sede la ditta Gallone, uno dei più grandi commercianti di formaggi milanesi, il più importante tra quelli presenti a Corsico.  Nel 1834 Corsico fu funestata da un grande incendio. L'impressione nei contemporanei e il duraturo ricordo dell'evento testimoniano indirettamente dell'importanza del centro caseario sul Naviglio grande. Nella  “Grande illustrazione del LombardoVeneto” (1857) si riferisce che:

 

[…] non sono molti anni Corsico fu preda di terribile incendio che recò il danno di mezzo milione, e che conservò rinomanza popolare in novelle e rappresentazioni sceniche. Qui è l’emporio dei formaggi di grana o lodigiani che si manipolano nel Milanese, come Codogno lo è per quelli del Lodigiano (19).

 

Circostanziate notizie circa le casere di Corsico sono fornite  dall’ingegner Angelo Fraschini che nel 1854 redisse un resoconto della visita preliminare ai fini della compilazione del registro fabbricati del Catasto lombardo Veneto (20).  Gli edifici erano costituiti da: “magazzini per il deposito di formaggio i quali sono di una costruzione speciale e diversa dagli altri fabbricati, per essere alti dai 5 ai 6 metri e molto lunghi e a suolo di vivo, e difficilmente potrebbero servire per altri usi”. I depositi erano di dimensione assai diversa; si andava da piccole casere “di metri superficiali 30 circa, dell’altezza di 5 metri, contenenti dalle forme di formaggio da 350 a 400”, a magazzini “della lunghezza di metri 43, larghezza di metri 12, altezza 5,80 che danno metri quadrati 515”, capaci di contenere anche 7.000 forme di grana. L'ingegnere notava che i magazzini di formaggio ubicati in questo borgo erano 89, i proprietari degli edifici erano una quindicina ed i depositi potevano garantire lo stoccaggio e la stagionatura di oltre 88.200 forme. Cinquantaquattro casere erano gestite direttamente dai proprietari, mentre le altre 35, in cui potevano essere conservate 35.000 forme, erano affittate. Inizialmente le casere di Corsico furono edificate lungo attuale via Cavour che costituì il primo nucleo urbano e, solo successivamente su strade parallele (attuali Via Garibaldi, e Via Leopardi). Come per il Borgo di San Gottardo Corsico conobbe il declino del suo ruolo nell'ambito del commercio caseario nel periodo tra le due guerre.

 

 

 

Fig 9 – Mappa di Corsico del 1865. Lo sviluppo urbano era limitato all'attuale Via Cavour e alla piazza del ponte

 

3.3 Gorgonzola

 

Anche Gorgonzola fu un importante centro commerciale caseario con la differenza che rispetto a quelli già citati il suo ruolo assunse anche un carattere produttivo legato alla produzione di stracchini nelle cascine del circondario ma anche in piccoli laboratori artigianali che si trasformeranno nel XX secolo in vere e proprie industrie (non così importanti, però, come quelle sorte e prosperate nella vicina Melzo). Gorgonzola rappresenta una cerniera tra la montagna e l'alta pianura e bassa pianura, è collocata all’incrocio di diverse direttrici di transumanza e, pochi chilometri a Sud, si estende un ricco comprensorio di produzione foraggera grazie alla presenza delle “linea delle risorgive”. Durante la sosta autunnale nei grandi prati di proprietà della famiglia Serbelloni (feudatari di Gorgonzola dal 1689) le carovane di bergamini in transumanza producevano cagliata fresca  In un lasso di tempo relativamente ristretto (tra settembre e ottobre) si poteva disporre del prodotto di numerose mandrie che sostavano nei dintorni del centro della Martesana  prima di concludere il loro tragitto verso le cascine di destinazione. Il latte era quello di vacche a fine lattazione alimentate sul pascolo, circostanze che influiva positivamente sia sul titolo lipidico che sulla qualità del grasso. L’autunno era l'unico periodo dell'anno che consentiva la fabbricazione del Gorgonzola non solo perché in primavera le mandrie transumanti non sostavano a lungo (era in atto il taglio del fieno maggengo e i prati non potevano essere pascolati) ma anche perché era l'unico periodo dell'anno, quando non erano ancora disponibili i magazzini refrigerati né le casere “industriali” della Valsassina, in cui era possibile la lavorazione. La temperatura a fine settembre-ottobre era in calo, ma non ancora così bassa come in novembre, quando diveniva problematico lo spurgo del siero compromettendo la qualità e la conservabilità delle ‘gorgonzole’. Il borgo, grazie alla fama acquisita con il suo stracchino divenne centro di una rete di commerci caseari che vi faceva affluire per  la stagionatura il prodotto fresco di un'ampia area del cremasco,  Lodigiano, Gera d'Adda.  Riferendosi a quest'ultima il relatore per il Cremasco dell'Inchiesta agraria Jacini osservava: [...] le partite di Gorgonzola si vendono anche per il consumo locale, ma principalmente sono portate per i mercati di Casalplusterlengo, in quel di Lodi, di Treviglio, di Rivolta d’Adda, da dove poi passano nei grandi depositi di Gorgonzola e dintorni”(21).

A Gorgonzola si osserva nel XIX secolo anche la nascita di un’attività di produzione in piccoli laboratori locali che ritiravano il latte dai bergamini transumanti e dalle cascine della zona. Questa attività segna una precoce “esternalizzazione” della trasformazione casearia dall'ambito agricolo, ma rimase confinata in una dimensione modesta. Sappiamo che nell’indagine sui ‘caselli’ del 1840 per la provincia di Milano (22) venivano segnalate, come chiaramente distinte dai ‘casoni’ o ‘caselli’, un certo numero di ‘fabbriche del formaggio’. Di queste ben 13 si trovavano proprio a Gorgonzola, mentre la maggior parte delle altre erano localizzate nella zona immediatamente ad Est di Milano.   Di queste ben 13 si trovavano proprio a Gorgonzola, mentre la maggior parte delle altre erano localizzate nella zona immediatamente ad Est di Milano dove era possibile ricevere il latte dai numerosi bergamini che operavano nell’area. Così ne sono indicate quattro a Lambrate (oggi comune di Milano), tre a Limito, tre a Linate (oggi comune di Segrate, confinante con Milano) una a Trucazzano (che invece si trova sulla strada ‘Rivoltana’ a breve distanza dall’Adda). Nell’elenco dei principali operatori caseari della provincia di Milano dei primi anni Ottanta figura, con sede a Gorgonzola, solo Vergani Angelo come “negoziante per il solo Gorgonzola” (23)  dal momento che gli altri operatori continuavano ad operare in una dimensione prettamente artigianale. Il Vergani fu personaggio di spicco, antesignano delle grandi ditte lattiero-casearie; dal 1885 al 1891 fu anche sindaco di Gorgonzola.  Vergani nel 1879-80 commercializzò oltre 13 mila ‘gorgonzole’ di cui 4.400 a Londra (24).  In anni successivi erano attive a Gorgonzola le ditte Lantieri-Dawon (che esportava in Inghilterra) la Clavenzani, la Figli di A. Ripamonti, la Devizzi, la E. Locatelli, la Manzoni ealtre minori.

La E. Invernizzi continuò ad essere un’azienda importante ancoranel periodo tra le due guerre mondiali quando anche la Cademartori (1938) aprì uno stabilimento. La Devizzi, che ha iniziato ad operare nel 1889 è stata l'ultima ditta casaria di Gorgonzola a chiudere i battenti nel1981.

 

Fig. 10 - Confezioni di "Vero gorgonzola di Gorgonzola" della Devizzi

 

In anni recenti Gorgonzola ha cercato di riappropriarsi del patrimoniostorico legato alle origini del Gorgonzola. La De.co. (denominazione comunale) “Stracchino di Gorgonzola” con la quale la cittadina della Martesana intendeva rilanciare su basi artigianali la tradizione del “suo” stracchino è stata però impugnata dal Consorzio del formaggio Gorgonzola Dop (con sede a Novara) e nel 2013 il Tribunale di Milano ha condannato il Comune di Gorgonzola per “contraffazione di denominazione di origine protetta”. Sentenza ribadita in appello nel settembre 2015. Nel frattempo, però, a Gorgonzola sono cresciute le iniziative fieristiche, culturali ed editoriali sul tema della produzione casearia, dei bergamini, della transumanza in ricordo di quello che, i libri di storia  continuano a indicare come  lo “stracchino di Gorgonzola” (25).

 


Fig. 11 – La “transumanza dei bergamini” tra Inzago  e Gorgonzola del

13 settembre 2015

 


Fig. 12 – La lavorazione del Gorgonzola agli inizi del Novecento

 

3.4 Abbiategrasso e Magenta

 

 Al comprensorio degli ‘stracchini’ dell’Est milanese (Martesana), con il ruolo primario di Gorgonzola e le sue connessioni con il Lodigiano, il Cremasco, la ‘Gera d’Adda’, faceva riscontro ad Ovest di Milano il comprensorio ‘Ticinese’ fortemente legato alla storica presenza dei bergamini nella valle del Ticino prevenienti per lo più dalla Valsassina. Ad Abbiategrasso era attivo sin dai primi anni del XX secolo il burrificio Gianelli e Maino mentre grandi ditte come Cademartori, Mauri, Galbani hanno realizzato tra le due guerre  depositi e stabilimenti sia ad Abbiategrasso che a Magenta facendo del comprensorio un importante “polo” anch'esso destinato al declino con l'accentramento a Novara della produzione del Gorgonzola ma anche con lo spostamento nell'area della bassa pianura bergamasca e bresciana della produzione del Quartirolo. Nell'Inchiesta di Karl Czoernig i latticini erano considerati: “Prodotto assai considerevole del nostro distretto [di Abbiatgrasso]” aggiungendo che mentre il burro trovava sbocco nell'area a N-O di Milano:  “I formaggi e specialmente gli stracchini vengono trasportati e venduti a Milano” (26) . Una testimonianza della destinazione milanese – via naviglio - degli stracchini della valle del Ticino. L'importanza della produzione di stracchini ad Abbiategrasso e dintorni, maggiormente “quartirolo”, ma anche “tondo”, è confermata da testimonianze che non solo riconoscono che una consistente produzione di “stracchino di Gorgonzola” era prodotto ad Abbiategrasso (27) ma che identificano anche il “tondo” come “stracchino di Gorgonzola o di Abbiategrasso” (28). L'importanza di Abbiategrasso è confermata alla fine del XIX secolo sia come piazza di commercio (29) che come comprensorio produttivo in rivalità con il lodigiano (30).  Il Consorzio del Quartirolo lombardo dop aveva sede in origine (negli anni Novanta) ad Abbiategrasso riconosciuta quale “culla d'origine” del prodotto ma con lo spostamento ad Est del baricentro della produzione lattiero-casearia  è stata trasferita ad Orzinuovi (Bs). Lontano dai navigli.


Fig. 13– Il Naviglio grande a Castelletto di Abbiategrasso

 

 

5. Conclusioni

 

Nella ricostruzione, ancora in gran parte da compiersi, della storia delcaseificio lombardo tra Ottocento e Novecento, caratterizzata dalla progressiva emancipazione dalla matrice agricola ma anche da nuove geografie del commercio, la via di trasporto dei navigli ha rappresentato, tra XVIII e XIX secolo, un elemento importante della strutturazione di un sistema di “poli” intorno alla capitale lombarda. Sono lontani i tempi in cui l'intenso odore di “gorgonzole” ben marüud e forme di “granone” stavecchie si mescolavano con la nebbia che regnava sulle alzaie e sin dentro il Burgh di furmagiatt. Oggi, però, Milano cerca di recuperare una qualche identità e un volto urbano in grado di renderla distinguibile in qualcosa che non sia la skyline dei grattacieli (esibita in modo anche più sfolgorante da 100 città dei “Brics”). Nel frattempo assistiamo al capolinea di un sistema caseario dominato da multinazionali e Gdo che ha trascinato al ribasso non solo il valore del latte ma anche il livello qualitativo di gran parte della produzione “tipica” che, al di là del sistema delle denominazioni Dop, rischia di  perdere il legame con l'identità storica (e organolettica) di quegli antichi stracchini di quegli antichi “granoni”. Può pertanto essere utile una qualche riflessione sulla possibilità/necessità di un recupero di un ruolo alimentare, nella fattispecie caseario, di “Paneropoli” (così il Foscolo identificava la città ambrosiana) nel quadro di quei sistemi che la nozione di “km 0” banalizza ma che assumono piena rilevanza dentro un movimento di dimensioni mondiali di agricoltura e produzione alimentare “riterritorializzate”, sganciate dal food global system e ancorata a dimensioni di artigianalità e forte integrazione con le dinamiche comunitarie e l'azione locale.  Un movimento in grado di affermarsi sia nelle aree montane “marginali” che nei contesti  metropolitani (31).  Milano (e il circondario) come città d' acque, di marcite, di cascine, di stracchini non è solo una cartolina sbiadita, un titolo per una conferenza storica, può essere una visione per i prossimi anni. La dimostrazione che non si tratta di è la concreta realizzazione del parco agricolo urbano del Ticinello con il passaggio, avvenuto a fine dicembre 2015, delle ex “aree d'oro” della speculazione edilizia alla proprietà comunale (31). 

 

 

Note 

(1)     Vedi la mostra “Milano Città d'acque”, Palazzo Morando, Via Sant'Andea 12.11.2015-14-02-2016 (Catalogo ed. Spirale d'idee) e l'incessante attività delle associazioni che promuovono la valorizzazione dei navigli e, in particolare, la riapertura della “Fossa interna” di cui si fa alfiere l'associazione  Riaprire i navigli (www.riaprireinavigli.it).

(2)     Va precisato, però, che il più famoso dei formaggi valtellinesi, il Bitto, era trasportato via Lario, sino a Como per la stagionatura e proseguiva verso Milano sui carri lungo la Comasina. L'attività di stagionatura a Morbegno era infatti  molto limitata prima del XX secolo in ragione della confluenza della maggior parte della produzione al mercato di Branzi in alta valle Brembana da dove, lungo la Via Priula scendeva a Bergamo per la stagionatura.

(3)     “A questo commercio [la produzione casearia interna  aggiungono importanza i formaggi svizzeri e massime i tirolesi di cui grossi depositi trovansi nei sobborghi di Milano pel consumo della città e del regno  Nel 1845 entrarono dal confine del monte Spluga 4849 quintali di formaggi provenienti dal Vorarlberg”. L. Litta Modignani, C. Bassi, A. Re (a cura di) Milano e il suo territorio, tomo II , Milano, Pirola, 1844, p.100.

(4)     Sino a tutto il XIX secolo la voce “formaggio” indicava solo prodotti caseari a pasta cotta. Una distinzione ben presente ai viaggiatori colti già nel  XVIII sec.“Le plus usité [il formaggio] est celui de vache il se divise en deux espèces formaggio & stracchino. [...] Ces fromages [gli stracchini] qui se font aux environs de Milan & surtout dans la Valzasina & dans toutes les parties les plus orientales du Milanez se vendent en grande quantité dans toute l’Italie & dans l’Allemagne. (J. J. De Lalande, Voyage en Italie: contenant l’histoire & les anecdotes les plus singulières, Geneve, 1790 , p. 420).

(5)     “Anche di stracchini crescono sì il consumo sì le spedizioni. Son piccoli formaggi di fabbricazione incompleta col latte naturale quagliato appena munto nè spogliato della parte butirrosa Se ne fa di due qualità i quadri si mangiano o freschi o non eccedenti i sei mesi circa i rotondi e grossi detti di Gorgonzola dalla terra ove si fecero i primi e migliori si mangiano stagionati da circa 3 a 12 mesi Il processo di fabbricazione di questi varia in parte per produrre nella loro pasta quelle macchie verdi che chiamiamo erborine e che sono una mucedinea Penicillium glaucum la quale ne aumenta il pregio e si ottiene col mischiar del latte coagulato un giorno con quello coagulato nel precedente Benchè di natura dolci gli stracchini invecchiando prendono del piccante. Dapprincipio faceansi col latte delle giovenche quando nel tragitto autunnale dagli alpi come chiamiamo i pascoli montuosi ai pascoli vernini della pianura giungevano stracche onde si dissero stracchini Allargatone il consumo se ne fabbricano anche col latte delle mandre stanziate nella pianura”. Enciclopedia del negoziante. Ossia Gran dizionario del commercio, del banco e delle manifatture, Venezia, Giuseppe Antonelli, 1843, s.v. “Milano”. Per l'aumento più consistente nella seconda metà del secolo vedi  C. Besana : “Note sulla produzione e il commercio dei prodotti lattiero- caseari”, in P. Battilani, G. Bigatti, Oro bianco. Il settore lattiero caseario in Val Padana tra Ottocento e Novecento,  Lodi, Giona, 2003 pp. 99-134.

(6)     La denominazione “Taleggio” si afferma solo all'inizio del XX secolo (vedi M. Corti, La civiltà dei bergamini Un’eredità misconosciuta. La tribù lombarda dei malghesi tra la montagna e la pianura  dal quattordicesimo al ventesimo secolo, Sant'Omobono terme, Centro Studi valle Imagna, 2014, p. 266.

(7)     Tra le ditte milanesi che realizzarono casere in Valsassina vi erano quelle di Modesto Gallone, Gerolamo Perversi, fratelli Corsi, Lorenzo Garancini (indagini in corso da parte dell'autore).

(8)     C. Besana, op. cit., p. 130.

(9)     M. Corti, op. cit., p. 272.

(10) A. Carminati (a cura di) Bergamini, vacche e stracchini. Ventiquattro racconti di malghesi, lattai e fittavoli dalla Valle Taleggio alle cascine di Gorgonzola e dintorni. Centro studi valle Imagna, Sant'Omobono Terme, 2015, p.68.

(11) Ibidem.

(12) Intervistata dall'autore alla pronipote il 3 ottobre 2015 presso la sua abitazione in contrada Grasso di Taleggio.

(13) Il barone Karl Czoernig (1804-1889) fu uno statistico, storico e geografo, fondatore della statistica amministrativa nell'impero austroungarico. L'inchiesta che prende il suo nome rappresenta una fonte fondamentale per la storia dell'agricoltura lombarda della prima metà del XIX secolo.

(14) Regione  Lombardia, settore cultura e informazione. servizio biblioteche e beni librari e  documentari. Agricoltura e condizioni di vita dei lavoratori agricoli lombardi: 1835-1839. Inchiesta di Karl Czoernig, Milano, 1986, p. 450.              

(15) I bergamini erano gli allevatori (in gran parte transumanti)  provenienti dalle Orobie che  durante il periodo invernale di permanenza in pianura  si installavano nelle cascine acquistando fieno e acquisendo il diritto all'uso di ricoveri per la mandria e la famiglia nonché dei locali per la lavorazione del latte. I bergamini producevano  prevalentemente stracchini. I latè erano piccoli imprenditori autonomi di caseificio che operavano anch'essi presso le cascine “affittando” il latte da fittavoli e bergamini e operando a proprio rischio e profitto la lavorazione e la vendita. Tutte queste figure esitavano il prodotto fresco. Alla stagionatura (e spesso anche alla stessa salatura) provvedevano i neguziant, i commercianti-stagionatori. Per approfondire questi aspetti vedi M. Corti, op. cit.

(16) Nell'organizzazione della ferma del sale (monopolio) i postari costituivano delle rivendite autorizzate anche alla vendita del sale all'ingrosso.

(17) “Aumentandosi questo prodotto ed estendendosene il commercio i Milanesi presero animo ad occuparsene in competenza coi negozianti di Codogno ai quali era si può dire riservato. Le leggi di finanza non permettendo questi ammassi nei Corpi santi la combinazione e la vicinanza fecer da un primo preferire Corsico casale a quattro miglia dalla porta Ticinese altri l’imitarono sicchè quasi tutti ivi erano i depositi milanesi volgarmente chiamati casere dove si custodiscono con gran cura e si lasciano invecchiare i formaggi per provvederne poi la città le provincie ed i paesi esteri ma che vi si conservassero meglio è un pregiudizio. Giuseppe II vide quei magazzini e incoraggiò tale commercio non solo con lusinghiere parole ma collo stabilire in Corsico una ricevitoria di finanza pel dazio degli uscenti senza che bisognasse il materiale trasporto delle merci in dogana a Milano ove dovevano essere scaricati riconosciuti daziati quindi ricaricati. Cessato il divieto nè Corpi santi nuovi regolamenti di dogana facilitarono le operazioni commerciali coi daziati per notificazione e lasciarono ai Milanesi tenere più vicini i loro depositi onde venne inutile quella ricevitoria allora si introdussero caciaie nei sobborghi massime di San Gottardo anzi si resero superiori a quelle di Corsico senza che queste sieno state abbandonate nè diminuite. Tra in questo e ne sobborghi trovasi una quantità di formaggi pari a quella riunita di Codogno Lodi e Pavia potendo valutarsene 20 milioni annui non contando i burri e i cosidetti stracchini”. Enciclopedia del negoziante ossia gran dizionario del commercio delle manifatture, Tomo VI, Giuseppe Antonelli, Venezia, 1843 s.v. “Milano”.  La ricevitoria di finanza fu stabilita in Corsico con Editto del 15 aprile 1749 (C. Besana op. cit. p. 130).

(18)   L. Covelli Le attività casearie tra sette e ottocento nella bassa Lombardia: le casere di Corsico. Tesi di laurea Università cattolica del Sacro Cuore, Milano, a.a.?????

(19)  C. Cantù, “Storia di Milano” in: C.Cantù e ‎L. Gualtieri di Brenna , Grande illustrazione del LombardoVeneto , Milano, Tranquillo Ronchi, 1857, p. 464.

(20)  Cit. da L. Covelli (n.17) e F. Pirola Il commercio all’ingrosso dei prodotti caseari a Corsico tra ‘800 e ‘900: la Ditta Modesto Gallone  Le attività casearie tra sette e ottocento nella bassa Lombardia: le casere di Corsico Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, a.a.

(21) Giunta per la Inchiesta agraria, “Il Circondario di Crema, Commissione presieduta dall’On. Comm. P. Donati”, Atti , Vol. VI tomo II, fasc. III. Roma, 1883, p. 555.

(22)  ASMi, Commercio, p.m., b. 15.

(23) C. Besana, Tra agricoltura e industria: il settore caseario nella Lombardia dell’Ottocento, Milano, Vita e pensiero, 2012, p. 267.

(24) Id., p. 192.

(25) Vedi il volume citato a n. 9, l'evento rievocativo “Transumanza dei bergamini” tra Inzago e Gorgonzola del 13 settembre 2015 e diverse altre iniziative promosse dal Comune, dalla Pro Loco e dall'associazione culturale Concordiola.

(26) Regione  Lombardia, settore cultura e informazione. servizio biblioteche e beni librari e  documentari, op. cit. p.255.

(27)  “È opinione del Cattaneo che lo stracchino il quale si fabbrica anche lungi da Gorgonzola abbia lo stesso pregio di quello confezionato in Gorgonzola. Noi recisamente respingiamo questo asserto e per onore del vero ed anche per l’interesse dei Gorgonzolesi non esitiamo  a dire che lo stracchino di Gorgonzola e de suoi dintorni cioè Melzo Vignate Cernusco Bellinzago ed Inzago dove esistono anche i più ricercati foraggi del basso Milanese è ancora una specialità che non teme alcuna concorrenza. Che nel commercio si spaccino sotto il nome di Gorgonzola stracchini fabbricati in tutt’altri siti che per soddisfare alle ricerche sempre crescenti di questo latticini se ne fabbrichi con discreta riuscita ad Abbiategrasso nel Novarese ecc. conveniamo ma chiunque sa apprezzare questo formaggio non potrà togliere a Gorgonzola il vanto dell’eccellenza de suoi stracchini”. D. Muoni Melzo e Gorgonzola Studio storico con documenti e note, Milano, F. Gareffi, 1866, p. 229.

(28) “Alla libertà delle acque e non solo alla loro copia ed alla costanza del loro deflusso nelle due stagioni estiva e iemale è dovuta in conseguenza l'attuale estensione della coltura irrigua del Milanese che giunge a creare non meno di circa 1000 casoni ossiano fabbriche di formaggio detto di grana o parmigiano e di circa altre 500 fabbriche del così detto stracchino di Gorgonzola o stracchino di Abbiategrasso coll'appendice numerosa di tutti gli altri nostri più squisiti latticini formanti nel complesso uno dei principali redditi annui del suddetto Basso Milanese”. G.Buschetti “Sulla libertà delle acque in Italia” in  Raccolta delle opere idrauliche e tecnologiche di Giuseppe Buschetti Torino, Tipografia degli eredi Motta 1864, p. 537.

(29) “Avvi molto spaccio di burro formaggi e si tengono tre fiere all'anno per tessuti stracci e bestiame nelle 29 giugno 9 agosto ed il lunedi dopo la domenica di ottobre Si fa pure mercato tutti martedì e venerdì d ogni settimana per generi granaglie latticini polleria tessuti stoffe di feltro e suini”  L.Ticozzi, Guida generale di Milano ed intera provincia,  Tipografia della Guida Generale d'Italia 1873 Milano, p.279.

(30) “Fra le principali industrie della provincia dovrebbe annoverarsi anche - specialmente per il circondario di Lodi ed Abbiategrasso - la produzione di burro e formaggio.  Però questa produzione ha carattere prettamente agricolo:  quasi ogni fondo ha la sua cascina, dove si porta dalla stalla appena munto il latte che serve alla fabbricazione del formaggio e del burro”. L. Sabbatini Notizie sulle condizioni industriali della provincia di Milano, Milano, Camera di Commercio di Milano e della Direzione Generale di Statistica, 1898. p.231.

(31) Per questi temi, le analogie tra il recupero di pratiche di produzione agroalimentari artigianali in contesti urbani e, all'opposto, di montagna “svantaggiata” vedi M. Corti, S. Delapierre, S. Agostini Cibo e identità locale. Sei esperienze Sistemi agroalimentari e rigenerazione di comunità. Sei esperienze lombarde a confronto, Sant'Omobono terme, Centro studi valle Imagna, 2015.

(32)  Il Ticinello è il cavo che prende origine dalla Darsena e il cui tratto iniziale è stato scoperchiato in occasione della riqualificazione della stessa Darsena. Costituito da 88 ettari oggi passati interamente alla proprietà comunale dopo una decennale battaglia di valore simbolico e non solo. Al suo interno la Cascine Campazzo con 130 vacche da latte e le ultime marcite milanesi che verrà integrata di aree sottratte da speculazione e infrastrutturazione. Parte della ree comunali, però, saranno affidate con appositi bandi a giovani agricoltori.

 

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