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(07.04.10) Veggieday? Un giorno alla settimana senza carne

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(20.11.09) La dieta consigliata per mantenere la salute? 20 kg di carni (compresi salumi) all'anno. Ne consumiamo un quintale.

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'Consumo consepevole'

 

 

(30.10.10) La crisi dei consumi non porta con sè un consumo più sobrio, più attento alla salute e al portafoglio. La tendenza alla destrutturazione dei pasti e a dedicare poco tempo alla preparazione e al consumo del cibo premia i prodotti più 'trasformati'

 

Il punto sulle tendenze dei consumi alimentari all'inizio del ciclo stagionale della 'Festa del consumo'

   

Calano i consumi di carne ma ancor più quelli di pesce fresco; si consuma meno frutta fresca meno pane, riso, pasta, ma più sostituti del pane e merendine. L'aumento del biologico è inarrestabile anche se ...

 

di Michele Corti

 

In questi giorni di 'passaggio' si mescolano riminiscenze di antiche celebrazioni e nuovi riti. E' la grande festa della fine dell'anno agrario, della vegetazione che muore, della vita e della morte che si intecciano (un tema particolarmente sentito nella festa del capodanno celtico - Samonios - con profondi  riflessi in tanti elementi della cultura rurale lombarda).

Il passaggio all'inverno è però sottolineato per chi vive 'artificialmente' in città, tra casa, ufficio, supermercato, dalla fine dell'ora legale e dall'esplosione delle promozioni di prodotti stagionali nella GDO. Grandi offerte di vini a prezzi scontati a cumuli di cartoni e montagne di carne suina fresca. La chiamano 'Festa del maiale'. E' l'inizio del ciclo di celebrazione del consumismo che alla fine dell'anno calendariale avrà il suo apice. Il tutto ha un'aria piuttosto malinconica perché è la stanca ripetizione di formule che hanno ormai quasi mezzo secolo e sono nate in un contesto di società industriale. Ma senza questi riti il commercio langue.

 

La 'Festa del maiale'

 

Che nesso ha quella che, senza molti pudori, la GDO chiama  'Festa' (ormai semanticamente degradata a 'promozione commerciale' ed applicata a qualsiasi genere merceologico) con i riti del mondo contadino?

L'uccisione del maiale rappresentava in effetti un rito importante. Ciò valeva quasi ovunque ma assumeva particolare rilevanza nell'area padana (quella in senso stretto, di bassa pianura ai lati del Po). Qui il maiale, chiamato semplicemente al nimal (un po' come nella aree dove si viveva di castagne si chiamava il castagno arbur), aveva un ruolo particolarmente rilevante, come rivelano i tanti modi di utilizzarne le parti commestibili, di conservarle, di prepararle, di consumarle.

 

Un rito collettivo: legami di solidarietà e prova di iniziazione

 

Scannare il maiale era operazione complessa che richiedeva la presenza di specialisti itineranti. In loro assenza la qualità e la conservabilità dei prodotti lasciavano spesso a desiderare. L'operazione richiedeva la collaborazione di più famiglie contadine. Non solo nella fase di macellazione ma anche in quella di consumo: le parti più deperibili dovevano essere 'a ruota' cedute gratuitamente ad altre famiglie che avrebbero ricambiato. Va precisato che il maiale di allora pesava due quintali e mezzo.

Così il periodo di fine autunno era un periodo di inconsueta abbondanza di carne fresca, grassi e proteine animali. Le parti più nobili: il lardo che avrebbe dovuto durare per tutto un anno come condimento e le carni destinate alla conservazione costiuivano una preziosa scorta alimentare per i mesi futuri.

La morte del maiale era sul serio una condizione per assicurare la vita (e non solo per soddisfare appetito e golosità); per di più  il suo cadere nel periodo di fine della vegetazione e dell'annata agraria, dei primi freddi (che assicuravano la conservabilità delle carni), delle nebbie accentuavano il senso di un periodo di passaggio in cui la morte e la vita si intrecciano e si incontrano. Per i bambini assistere all'uccisione del maiale rappresentava una sorte di iniziazione. Ma c'era più crudeltà allora o oggi? Il maiale era allevato per due anni e nell'ultimo periodo di vita era oggetto di cure attente ed amorevoli e poteva usufruire di un'ottima razione alimentare. Veniva ucciso perché il suo grasso e le sue carni erano indispensabili per assicurare il fabbisogno nutrizionale dei contadini. Teniamo presente che i fabbisogni energetici dei nostri vecchi erano molto più elevati: si svolgevano lavori manuali pesanti e il riscaldamento era un lusso. Oggi la provvida 'tecnologia', per riempirci di una montagna di apparecchi e apparecchietti elettrici (che poi si rompono e diventano rifiuto), ci solleva dal benché minimo esercizio manuale. Nelle case e negli uffici, specie se pubblici, il giorno dopo lo spegnimento dei condizionatori si accendono i termosifoni e se non ci sono 23-24°C si si lamenta del 'freddo'.

 

Crudeltà celata ma resa meno giustificabile dallo spreco

 

Il nimal viveva in ambienti se non proprio confortevoli sicuramente più quieti di quelli odierni. Il maiale moderno deve subire una convivenza forzata in spazi ristretti con troppi simili. Dasuinetto rischia di essere morsicato dai piccoli ma vivaci compagni di sventura provenienti da diverse nidiate e quindi facili a comportamenti aggressivi con gli 'estranei'. Quando è più grandicello deve partecipare, volente e nolente, alla frenetica corsa al cibo negli orari di distribuzione attraverso i sistemi automatici. Al solo scatto delle valvole che comandano l'apertura dei condotti i decibel della porcilaia schizzano e i suini sono presi dall'agitazione ancor prima che la 'pappa' sgorghi dagli erogatori. Questa vita ha termine a 6-8 mesi di vita. Poi il trasporto alla 'catena di smontaggio'. Lo stordimento con la corrente ad alta tesione evita all'animale l'angoscia dello scannamento e i relativi urli disperati che caratterizzavano il rito della macellazione contadina. Il macello è un luogo accuratamente 'separato' e la carne arriva al consumatore in vaschette sotto plastica che edulcorano alquanto il carattere cruento del consumo di carne. Se poi il consumo avviene sotto forma di piatti pronti, precotti ecc. la coscienza è quasi del tutto sollevata dal pensiero di consumare un pezzo che era parte di un animale intelligente e non tanto diverso da noi (come testimonia l'uso degli organi suini per gli xenotrapianti).

Quello che determina la maggiore crudeltà del consumo delle carni suine oggi rispetto alla 'società rurale' è il fatto che la quota di queste carni che corrisponde ad un reale fabbisogno nutrizionale è minima. Consumiamo proteine e grassi animali in eccesso il che è una causa importante dei problemi sanitari della popolazione delle società 'opulente'. Un sacco di cibo (20-30%?) finisce direttamente nella spazzatura (vedi avanzi sui vassoi delle mense, frigoriferi-anticamera-della-discarica  ecc.). Per smaltire le calorie in eccesso alimentiamo l'industria della fitness, l'industria medica e del farmaco. Si consumano pasticche per ridurre l'assorbimento dei nutrienti e ci si fa tagliare pezzi di intestino. Tutto PIL in più. Ma il bilancio etico di tutto questo chi lo calcola?

E' anche PIL in più quello prodotti dall'industria del 'disinquinamento', quella che prospera grazie alla produzione di fiumi di liquami zootecnici. Gli economisti dicono che va bene così. La bioeconomia, il buon senso e quel che rimane (dopo Cartesio e la modernità) della compassione per gli esseri senzienti dicono che non va bene.

 

Il senso di una ritrovata stagionalità

 

Oggi i maiali si macellano tutto  l'anno e i consumi di carne suina sono elevatissimi. Il consumo procapite nazionale apparente è di 40 kg all'anno, in linea con la media europea, superato solo da gli 'storici' divoratori di carne suina. C'è bisogno di spingerlo? No di certo. L'INRAN (vedi articolo) raccomanda pochi pasti di carni alla settimana e, soprattutto, pochi pasti di salumi - ricchi di nitrati - al mese (non si dovrebbero superare 50 g di insaccati alla settimana per prevenire il cancro al colon). Recentemente il Ministrero dell'istruzione ha diramato delle circolari per raccomandare che tali indicazioni siano tenute in conto nelle mense scolastiche.

Un senso, però, il rito dei piatti a base di carne suina l'avrebbero ancora. Dicevamo che per il consumo fresco si usavano i tagli poveri più deperibili o ricchi di cartilagini  destinando le carni magre  alla conservazione. Emblematici i piatti a base di ceci e fave e maiale in occasione del 2 novembre (scisger e tempia a Milano per esempio) considerato che questi legumi dall'antichità rappresentano un simbolo di legame tra i vivi e i morti associati a riti funebri. In un'industria del maiale, in cui parti della carcassa un tempo pregiate diventano un 'rifiuto', il recupero di tradizioni di valorizzazione di ogni parte del maiale (ma non solo del maiale) diventa un elemento di 'consumo sostenibile'.

E' un fatto importante perché proprio il consumo di carne suina si presta ad illustrare come, nonostante la crisi, il consumatore si orienti sempre più sulle carni trasformate, su prodotti a 'pronto uso' ed ad elevato contenuto di servizio. E' una tendenza che penalizza la produzione zootecnica che diventa sempre più marginale in termini di valore aggiunto e che è costretta a fornire un prodotto sempre più standardizzato, finendo per diventare un ingranaggio dell'industria, per puntare tutto sulla quantità e sull'intensificazione produttiva a tutto danno della qualità e dell'ambiente. Fino a scadere nella condizioni imposte dai contratti di produzione: ti ritiriamo noi tutto (l'industria)  ma devi produrre CIO' che diciamo noi, COME diciamo noi e la  'genetica', i mangimi, i farmaci, i veterinari, il software li devi prendere da noi. L'imprenditore agricolo-zootecnico tanto superiore al contadino-pezzente è degradato a 'operaio di lusso' (gira in Mercedes ma ...)

 

Una ridistribuzione dei consumi che indica come la svolta verso il consumo consapevole sia lontana

 

Ad agosto gli indici dei consumi alimentari (in termini di quantità) dei primi otto mesi dell'anno hanno segnato un +0,4% rispetto al corrispondente periodo del 2009. Ma all'interno di questo modesto aumento ci sono comparti in crescita e comparti in flessione. La carne suina fresca cala dello 0,6% e calano anche (di un più lieve 0,3%) i salumi Dop mentequelli NO Dop (da suini esteri ancora più industrializzati) aumentano dell'1,2%.

Non è solo la tendenza al risparmio indotto dalla crisi che spiega queste tendenza.  E' evidente che la carne fresca è più conveniente ( i tagli 'poveri' poi te li tirano dietro a prezzi stracciati). E' pura demagogia affermare che c'è una larga fascia di popolazione alla fame. E' più realistico sostenere che le fasce più deboli si orientano su prodotti non di marca, sui prodotti No Dop, vanno al discount. Ma ci vanno per acquistare salumi preaffettati in atmosfera modificata che, confrontati alla carne fresca (e agli stessi affettati 'freschi' al banco) sono estremamente più 'lussuosi'. Guardate i prezzi dei tagli 'poveri' di maiale, di pollo, di tacchino e scoprirete che sono irrisori. Il divario tra tagli facili da cucinare (non sempre più interessanti dal punto di vista nutrizionale) e quelli 'difficili' o semplicemente 'lunghi' da cucinare continua ad allargarsi perché è la domanda di servizio che cresce. La domanda di 'risparmio di tempo'. Cresce per motivi strutturali: famiglie sempre più piccole, giovani e anziani (ma anche divorziati, separati, single) che vivono soli che non hanno tempo di cucinare o hanno perso la voglia di farlo. Ma anche che passano ore a telefonare, chattare, su facebook, a guardare la TV (compensazione della solitudine ma anche 'droga' che stacca dalle realtà e fa perdere la voglia di fare, di usare le mani, la creatività).

 

Vediamo altri dati

 

Nel campo dei prodotti animali si conferma il declino della carne bovina (-4,9%) e un modesto incremento di quelle avicole (più economcihe, ma anche più'dietetiche' e facili da preparare).

 

 

Tabella- raffronto dei consumi (in quantità) tra i primi otto mesi del 2010 e i corrispondenti mesi del 2009 (dati ISMEA)

Vini e spumanti

-3,50

Latte e derivati

+0,9

Vino

- 1,8 

Latte fresco

+3,2

Spumanti

-19,6

Latte UHT

+0,7

Oli

+1,7

Formaggi

-0,4

Olio extravergine

+ 2,3

Formaggi Dop

-0,1

Olio oliva

-1,3

Parmigiano R.

-5,6

Ortofrutta

-0,10

Grana padano

+2,9

Frutta fresca

-0,5

Burro

+0,5

Ortaggi e legumi freschi

-1,2

Yogurt

3,2

Ortaggi IV gamma

+9,6

Ittici

-1,1

Ortaggi V gamma

+0,3

Ittici freschi

-4,9

Ortaggi e leg. surgelati

+0,2

Ittici conservati

+0,6

Ortaggi e leg. in scatola

+0,1

Carni

- 1,2

Derivati cereali

+0,3

Bovine

-4,9

Pasta

-2,8

Avicole

0,8

Riso

-1,0

Suina

-0,6

Pane

-2,4

Salumi

+1,2

Sostituti pane

+3,7

Salumi Dop

-0,3

Snacks/Dolciumi

+2,4

Uova

+1,5

 

Aumenta il consumo di uova (qui per un fattore economico ma forse anche di facilità d'uso). Quest'ultima non è certo una tendenza salutistica considerato che il consumo di uova è già elevato (quante finiscono nelle pasta, nei dolci?) e che sono una ben nota fonte di ... colesterolo. Poco salutistiche anche le tendenze alla diminuzione del consumo di frutta fresca (-0,5%) e di verdura fresca (-1,2%); quest'ultimo, però, è compensato dall'enorme aumento della IV gamma (verdura fresca lavata, tagliata e impacchettata). Anche in questo caso la scelta è a orientarsi verso un prodotto più costoso (e anche meno serbevole e quindi con proprietà nutrizionali compromesse). Il portafoglio e la solita pigrizia e scarsità vera o presunta di 'tempo' suggeriscono di limitare il già limitato consumo del pesce fresco (sarebbe interessante conoscere come si ripartiscono le diverse categorie di pescato) e privilegiare il ... tonno in scatola (oggetto di massicce promozioni per tutto il periodo estivo).

 

Crescono le 'merendine', cibo per eccellenza manipolato e industriale

 

E' il settore 'derivati dei cereali', però, dove  emerge chiaramente che il consumatore tende a risparmiare su cibi sani per regalare questi risparmi all'impero alimentare. Un riorientamento che penalizza oltre ai legumi (già considerati insieme agli ortaggi freschi) anche i 'pilastri' della dieta mediterranea: pane e pasta scarificati a vantaggio delle merendine, degli snacks e dei sostituti del pane. Tutti prodotti che l'impero alimentare infarcisce di sottoprodotti delle industrie mondiali  del latte, del mais e della soia che non troverebbero altri sbocchi (es. classico lo sciroppo di fruttosio da mais OGM nelle bevande, le lecitine dalla soia - sempre OGM  - e ogni sorta di derivati del latte infilati ovunque). Così nella dieta finiscono i peggiori grassi vegetali, i grassi idrogenati, gli additivi di ogni tipo. Senza contare che il prodotto confezionato, manipolato moltiplica gli sprechi energetici e gli altri impatti dovuti alla crescita esponenziale degli imballaggi.

 

Lattiero-caseari: aumenta la quantità ma c'è poca attenzione alla qualità

 

Anche il campo lattiero-caserario non è confortante: cresce il latte fresco (più di quello UHT per fortuna) e lo yogurt, prodotti di facile consumo, adatti - come gli snacks e le merendine - ad assecondare la tendenza alla destrutturazione dei pasti (ad ogni ora, senza regole, in solitudine, senza smettere di lavorare, per impulso). Calano i formaggi (anche quelli freschi). La 'tenuta' delle DOP nasconde il successo del Grana Padano (che fa riflettere sullo scandalo degli aiuti concessi anel 2009 per il ritiro di 100.000 forne dal mercato). Il Grana Padano vede anche crescere in modo sostenuto i prezzi mentre il Reggiano, che recupera anch'esso sul prezzo, procede sulla china del declino dei consumi (non parliamo del Pecorino romano). Il fatto che il Padano contenga un additivo (il lisozima: proteina del tuorlo d'uovo ad azione antibatterica) evidentemente non turba i consumatori che confermano di essere poco attenti a dettagli cruciali (il lisozima evita i pericoli di gonfiori tardivi a causa dei Clostridi consentendo l'uso dell'insilato di mais che implica super-concimazioni azotate, enormi consumi di acqua di irrigazione e tutte le conseguenze di una monocoltura 'spinta' i termini di virulenza di malerbe, parassiti, patogeni).

 

Olio d'oliva extravergine in crescita. Ma è per lo più spagnolo o greco o nordafricano

 

Una nota positiva viene dall'aumento dei consumi di olio extra-vergine. Anche in questo caso, però, non siamo in presenza di una consapevolezza salutistica o per un prodotto della 'dieta mediterranea' magari a km 0. E' stata la politica di bassi prezzi della GDO che ha spinto in su i consumi. Ma per lo più si vende olio spagnolo 'italiano' solo in apparenza dal momento che i principali e maggiormente noti marchi sono stati tutti acquisiti dagli spagnoli.

 

La continua crescita del bio è consolante (ma solo in parte)

 

Qualcuno forse poteva pensare che una crisi tanto forte da ridurre i consumi alimentari inducesse a comportamenti più sobri, a una maggiore attenzione critica verso l'offerta di cibo 'industriale'. Non calano le calorie né le proteine e i grassi animali. Non cresce il consumo di pesce, frutta e verdura freschi.  In questo panorama abbastanza sconsolante un'altra indagine ISMEA  ci dice che gli acquisti di prodotti biologici sono cresciuti.  Ottima notizia  si direbbe. Però - ci risiamo - la crescita riguarda principalmente il prodotto confezionato (+10,2%) con in testa gli snacks (+19%).

Un fatto che fa riflettere anche sulla sempre maggior somiglianza dell'offerta bio con quella convenzionale del business alimentare. Per l'ortofrutta fresca e sfusa l'aumento si è limitato ad un 3% circa.  Evidentemente c'è molto lavorare nel campo dell'educazione ad un consumo salutare e sostenibile.

 

 

 

 

 

 

pagine visitate dal 21.11.08

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