Ruralpini  zootecnia/Torna la Bruna alpina

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Per saperne di più "Quella Bruna non più alpina" di Michele Corti pubblicato in Quaderni Valtellinesi n. 100, 3° trimestre 2007, pp. 21-31 scarica PDF

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(25.01.15) L'assessore regionale Fava è tornato in Val Brembana pre riprendere il confronto con gli allevatori saltando gli apparati burocratici. E ha assunto impegni importanti, in tema di differenziazione del sostegno alla vera zootecnia di montagna, di razze simbolo della montagna lombarda

 

Torna la razza della montagna lombarda:

la Bruna alpina originale

 

di Michele Corti

A Lenna, in Val Brembana il 22 gennaio l'assessore regionale all'agricoltura aveva di fronte interlocutori che fanno sul serio e lo sapeva bene. Gente che ha messo in piedi associazioni che ha salvato prodotti e sta salvando razze autoctone, che organizza grandi eventi (come il campionato mondiale di mungitura) fa promozione della montagna sul serio (non come le burocrazie pubbliche e parapubbliche che sprecano i soldi pubblici in iniziative utili spesso solo a ingrassare gli amici e gli amici degli amici). Gente che ha dovuto, come nel caso di Paolo Ciapparelli e dei produttori del Bitto storico, agire contando solo sulle proprie forze avendo le istituzioni contro (almeno sino alla recente "pace del Bitto") o che, pure avendo il sostegno delle istituzioni (come i padroni di casa brembani), ha comunque svolto in questi anni un ruolo trainante in termini di idee, di capacità organizzativa e di aggregazione elaborando una strategia di azione locale al di fuori degli schemi delle organizzazioni burocratizzate che normalmente tengono in mano il "pallino".

Con questi interlocutori Fava sapeva che non poteva fare promesse come usualmente fanno i politici. Altrimenti avrebbe scelto la solita occasione rituale, gestita da Coldiretti, Associazione allevatori provinciale, Consorzi, dove agli "agricoli" è lasciato solo il ruolo di platea.  Se Fava si è sbilanciato a favore del recupero della Bruna alpina originale è segno che è deciso ad imprimere una svolta alla politica regionale. Le cose che ha detto non sono da poco:

Stiamo affrontando il tema della valorizzazione della razza 'bruna alpina' originale, con la possibilità che venga trattata con un regime specifico, e della 'capra orobica', due prodotti fortemente simbolici della montagna di Lombardia. L'idea è che nei sei mesi di Expo si faccia un grande evento per promuovere entrambe come elementi suggestivi e significativi della montagna lombarda.

Non solo ma ha anche annunciato una politica di differenziazione tra la montagna e la pianura:

abbiamo costruito un Programma di sviluppo rurale (Psr), che, per la prima volta, disarticola le modalità di premio, assegnando un vantaggio alla produzione del latte di montagna. Chi produce in montagna ha un premio maggiore di chi produce in pianura. In questo contesto è prevista una premialità per capo sia per quanto riguarda la 'bruna alpina' che la 'capra orobica' . 

Speriamoche nella 'montagna' non si condiderino più le aziende da 500 frisone della bassa Valtellina e Valchiavenna con carichi di azoto allucinanti e che la 'montanità' (dopo tanti studi promossi dalla regione sul tema) sia considerata nei suoi parametri reali.

Nelle parole di Fava pare di poter cogliere una critica alla politica del passato. L'assessore ha parlato di una montagna che non può essere conservata senza l'uomo (che per gli ambientalisti è un disturbo da eliminare) ma che non può essere neppure trattata con gli stessi criteri produttivistici applicati in pianura (che pure la politica della Regione Lombardia ha sin qui perseguito puntando a sostenere le strutture più grosse):

Se la montagna è ben gestita è grazie all'uomo, se sparisce, iniziano i problemi - ha detto Fava -. Lo viviamo in alcune valli dove l'abbandono è più accentuato. Poi, si è pensato a lungo a quella di montagna come attività meramente economica: se un prodotto è competitivo regge. Ma competitivo lo diventa se è conosciuto, a maggior ragione per la montagna dove abbiamo un ritardo storico in tema di promozione. Comprare i prodotti di montagna è un gesto etico, significa mantenere la montagna. In altri Paesi dell'arco alpino è cosa nota da tempo.

La Bruna originale è la cartina al tornasole di una rottura con il passato

Se Fava ascolta ciò che gli chiedono gli allevatori di Bruna originale che ha incontrato a Lenna è inevitabile che si scontrerà con la tecnoburocrazia di Aia (Associazione italiana allevatori), Anarb (Associazione nazionale razza bruna), Aral (Associazione regionale allevatori della Lombardia) Apa (Associazioni provinciali allevatori) e con i suoi funzionari del settore zootecnico del tutto allineati alle cupole zootecniche e portavoce all'interno della Direzione Generale agricoltura delle loro visioni.

Fava quando si sbilancia con gli allevatori orobici di Bruna originale esaltando (a ragione) la razza come simbolo della montagna lombarda sa benissimo che sino a pochi anni fa gli allevatori che ha incontrato erano dileggiati sino a pochi anni come trogloditi ("volete disperdere decenni di selezione"). Uno che racconta questi episodi è Alfio Sassella, caricatore d'alpeggio dell'Alpe Cavizzola in alta Val Brembana e "ribelle del Bitto".  

Da tempo  il Consorzio per la salvaguardia del Bitto storico sta pensando che Alfio ha ragione e che è necessario vincolare alla razza OB Bruna alpina originale, la produzione del formaggio Bitto storico.  Per produrre latte senza mangimi in alpeggio, per avere vacche che sfruttano il pascolo ci vogliono animali solidi e robusti, camminatori e arrampicatori. Le erbe migliori non sono dove il pascolo e piano, ma sulla "cima".

La Bruna italiana è una razza derivata dalla Bruna mediante incrocio con razze specializzate da latte di origine nord-europea

La Brown Swiss Usa, che ha soppiantato la vecchia Bruna alpina, è di fatto una Frisona dipinta di bruno (molto slavato) che senza mangimi diventa pelle e ossa; rispetto alla Frisona ha una qualità del latte migliore ma meno variabilità genetica. La Bruna attuale, in ogni caso, non è un ceppo della Bruna europea ma un 'derivato', cioè un'altra razza, ottenuta negli Stati Uniti incrociando pochissimi capi di origine svizzera con bovini da latte di vari tipi genetici nord europei (Jersey, Hayshire, Frisona)(approfondimento). 

La  Bruna italiana è la fotocopia della Brown Swiss Usa. In questo l'Italia (l'Anarb, ovvero i suoi tecnici e i suoi direttori che si tramandano la carica di padre in figlio) si sono differenziati da Austria, Bolzano, Germania dove si è voluto mantenere - anche nel rinsangiamento con l'americano - un tipo meno spinto. Loro tenevano alla montagna. A Verona invece (dove la montagna è l'altopiano della Lessinia) della montagna vera se ne sono strafregati. Una strategia di dubbio successo visto che la Super Bruna è soppiantata da una parte dalla Frisona (in Lessinia ora c'è solo lei, la Holstein) e dall'altra dalla Pezzata Rossa, razza che produce appena un po' meno della Bruna ma consente di guadagnare con la vendita del vitello e di risparmiare in rimonta e cure veterinarie. Oltre che più robusta ha anche una variabilità genetica elevata che per una razza è un grande pregio.  La montagna serviva all'Anarb come "carne da cannone", per fare numeri, avere una base associativa, un parco vacche su cui effettuare controlli. In definitiva per avere vantaggi politici ed economici per loro, non certo per gli allevatori di montagna.

La Bruna (americana) porta i mangimi e il degrado del pascolo

L'esigenza di somministrare chili e chili di mangimi alle vacche in alpeggio è legata all'introduzione - sbagliata - di una razza che non è di montagna. Una razza che gli allevatori "moderni", che pendono ancora dalle labbra dei tecnici e dei venditori, portano in alpeggio solo per sfruttare i contributi, per poter dire che fanno Bitto. Ma questo sistema ha delle contropartite: la qualità del formaggio ottenuto dal latte delle vacche "spinte" che in alpeggio ricevono chili e chli di mangimi è drasticamente peggiorata, il buon utilizzo del pascolo è un ricordo. Le vacche utilizzano superfici di spazio più limitate, più comode, non lontane dai carri di mungitura (semi-immobili) dove viene distribuito il mangime. Ma su queste superfici ridotte apportano molte feci (il mangime non digerito che si somma all'erba non digerita) e urine. I pascoli si degradano: qui flora ammoniacale (romici, ortiche, seneci, aconiti) là - dove le vacche non pascolano - il pascolo si smagrisce e si riempie di cespugli (e poi di abetini e laricini che ... guai a toccarli).

Questa non è una vacca da montagna, ma una graziosa signorina (a parte l'apparato mammario) col nasino all'insù

Gli allevatori che hanno intenzione di continuare a valorizzare l'alpeggio, perché interessati ad ottenere prodotti di qualità e a puntare su un sistema meno dipendente da mangimi, integratori, medicinali (tutte voci di spesa che ingrassano l'industria e chi li smercia) hanno da tempo abbandonato la Brown Swiss. Ma non essendo più reperibile la vecchia Bruna alpina (se non in Svizzera e a Bolzano) si sono rassegnati a puntare su altre razze a duplice attitudine: Pezzata rossa, Grigia alpina, Pinzgauer e, soprattutto, sugli incroci. Una situazione deleteria per la valorizzazione delle razze alpine. Ma queste soluzioni "fai da te" sono il risultato di politiche zootecniche delegate da una politica distratta alle lobby chi pensa ai propri interessi (la minoranza degli allevatori che "vende genetica" e le strutture tecniche e commerciali del "mondo allevatoriale"). La burocrazia regionale ha sempre benedetto le scelte tecnocratiche in nome del tecnicismo autoreferenziale. Ovviamente aveva delle belle fette di salame sugli occhi, visto il disastro zootecnico che caratterizza la montagna lombarda. Se invece di leggere soli i report dei Centri studi delle lobby i "regionali" si facessero dei giri in montagna ...

Insistono...

Non contenti di avere distrutto, a partire dagli anni Settanta, la Bruna alpina (razza che avrebbe continuato ad avere un suo spazio per molte piccole aziende e per chi crede all'alpeggio) ora, con il ritorno della Bruna originale incalza, le Apa si sono invente (sempre con i finanziamenti della Regione) un progetto per una fantomatica "Bruna valtellinese" (destinata a fare la vacca nutrice, ovvero a non essere munta). Ma questa "Bruna valtellinese" che non deve dare latte è sempre la Bruna "Linea carne" inventata dall'Aia (Associazione italiana allevatori) e dall'Anarb (Associazione razza Bruna). Loro la chiamano così per nascondere che la Bruna originale è una ottima razza a duplice attitudine 'madre' nei secoli di tanti formaggi lombardi e svizzeri. Una razza che nell'altipiano in Svizzera produce 7500 kg di latte per lattazione e che - questo è il fatto più importante - nell'intera carriera produttiva riesce a produrre tanto latte quanto una Brown Swiss (che viene rottamata anticipatamente - come tutti i poveri animali "spinti" - vuoi per i piedi, la mastite, la dislocazione dell'abomaso, l'incapacità di recuperare dopo il parto). Inutile aggiungere che il vitello della Brown Swiss non vale nulla per la carne mentre quello di Originale è ben pagato dai macellaio come un Pezzato rosso.

I tecnocrati che hanno cinicamente giocato le strategie della Bruna sulla pelle degli allevatori di montagna (con i politici a lasciar fare) oggi, per nascondere i loro disastri, chiamano la vera Bruna alpina, pregevole razza da latte di montagna "Linea carne". Un insulto per gli allevatori come Ferdy Quarteroni  che nel suo agriturismo di Lenna e all'Alpe Inferno di Ornica sta da tempo 'collaudando' le Brune originali. Lo ha detto chiaro e tondo all'assessore regionale Fava che era andato a trovarlo nel suo agriturismo sin dalla primavera. Con Ferdy c'è Alfio ma anche altri allevatori come Ignazio Carrara di Valpiana di Serina (con alpe ai Laghi Gemelli) . Uno che la pensa esattamente come i "ribelli del Bitto", che munge a mano e non usa nemmeno un grammo di mangime munge a mano. Che è riuscito miracolosamente a mantenere un ceppo di Bruna originale oggi rinsanguato da apporti svizzeri. Si vede che dietro gli allevatori di bruna originale c'è una passione speciale. Una passione che condividono altri come Paolo Fanchi di Teglio e alcuni allevatori della Val Seriana.  E' questo gruppetto  che l'assessore a deciso di ascoltare. Perché? Perché oggi, con la cessazione delle quote latte, non si può rischiare di ascoltare solo chi fa finta di rappresentare la montagna e gli allevatori pena un ulteriore disastro per la zootecnia di montagna. Perché ascoltando rirettamente gli allevatori Fava ricava idee laddove gli apparati gli chiedono solo soldi (per sé).

Una rinascita che non riguarda solo una razza ma una cultura d'allevamento

La scomparsa della Bruna alpina ha danneggiato soprattutto la montagna lombarda dove era fortemente radicata (dal momento che l'innesto del bestiame svizzero sui ceppi autoctoni risale a svariati secoli fa). Dal ritorno della Bruna originale possono però derivare tanti benefici: innanzitutto una considerazione più attenta delle risorse senza ascoltare "gatti e volpi" portatori di interessi estranei e in antitesi con la montagna, in secondo luogo una nuova e più attenta considerazione per il valore delle tradizioni, che non vanno abbandonate per seguire mode o suggerimenti dall'alto. L'idea che la montagna lombarda riacquisti la sua razza è un'idea potente che si associa al rilancio una zootecnia di montagna non più colonizzata e terreno di conquista delle burocrazie e dei venditori. Con una sua identità anche culturale. Sarà fortemente contrastata perché la posta in gioco è alta.

 

 

 

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