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(17.12.14) Con Ul pan gialt da Nöa (ma c'è anche un dolce, ul brusadin) Nova milanese appartiene a pieno diritto ai territori del cibo, ai paesi del mais. Un percorso di quarant'anni di recupero di memoria e identità storica e popolare che ha contrastato la politica di genocidio del territorio" attuata sino agli anni '90

 

La rete dei territori del cibo identitario alle porte di Milano

 

 

di Michele Corti

 

 

Il percorso che porta Nova Milanese ad entrare nella rete dei luoghi del cibo storico ed identitario con il suo Pan gialt (di mais Maranello) non è stato certo improvvisato. C'è alle spalle un lavoro decennale di ricerca, di riappropriazione di elementi del patrimonio locale. Un percorso nato nel 1975 quando il comune stava subendo l'alluvione cementizia e un impressionante incremento demografico, che sommergeva in modo caotico e 'spontaneo' ma al tempo stesso con la ferocia di un orda barbarica le preesistenze, i punti di riferimento della vita comunitaria. Nell'estate del 1975 nell'ambito delle attività di una colonia estiva dell'oratorio animata da adulti e giovani Mariuccia Elli decise di costituire un gruppo di lavoro per il recupero del canto popolare. Alla base la ferma volontà di non lasciare scomparire una tradizione che rappresentava un'espressione importante di vita sociale nell'ambito di quella 'civiltà contadina' che stava polverizzandosi ma che sino al dopoguerra - nonostante la presenza di industrie e delle vicine grandi fabbriche milanesi - aveva conferito alla realtà locale la sua prevalente impronta culturale.

 

La nascita dell'ecomuseo

 

 Nel 1988 il Gruppo di lavoro si è costituita in Associazione culturale "Il cortile" proseguendo le arrività di ricerca sul patrimonio materiale e immateriale della comunità. Dall'esperienza dell'Associazione è nato l'Ecomuseo che è stato riconosciuto dalla Regione Lombardia nel 2009. Sin dall'inizio della sua attività l'Ecomuseo ha puntato sul filon agricolo oltre che sulla realizzazione di percorsi di visita dei beni storici locali (le ville, le chiese, i giardini, le cascine risparmiate da demolizioni e profonde incongrue trasformazioni), sulla raccolta di documentazione sulla vita tradizionale e il recupero di oggetti dell'artigianato locale (mobile, tessitura). Parrebbe una scommessa impossibile fare leva sul tema del cibo e dell'agricoltura in un contesto quasi deagricolturalizzato (1). Nel giro di qualche decennio Nova (cerchiato di rosso al confine tra la provincia di Milano e di Monza e Brianza nella figura seguente) è diventato uno dei comuni più cementificati mentre i piani regolatori assecondavano l'ondata edificatoria consentendo l'espansione senza freno sino alla saturazione dello spazio edificabile (alla chiusura di tutti i 'pori' del verde agricolo superstite).

 

La sorte di Nova è stata quella dei comuni della cintura Nord milanese e della Brianza occidentale. Quello che è stato perpetrato è un crimine territoriale che oggi si paga a caro prezzo. Le esendazioni del Seveso sono solo una delle conseguenze di un massacro territoriale dove i "servizi ecosistemici" non possono più forniti neppure al livello minimo.

 

 

Il disastro non è stato solo fisico, ecologico ma anche culturale e sociale. Massacrare il territorio sintesi di fattori culturali ed ambientali significa operare sulle comunità insediate una parallela destrutturazione. Sconvolte le relazioni tra ambiti territoriali (agricoltura, edificato, infrastrutture) e svuotate le loro funzioni sono saltate anche le trame di relazioni costruite intorno alle esigenze di soddisfazione di bisogni materiali e simbolici. Quelli che erano gli elementi riconoscibili di centralità e di definizione di una fisionomia, di una identità prodotta dalla presistenza, sono stati 'annegati' in una massa edificata informe e compatta, cresciuta senza criteri, senza obbedire ad esigenze di rispetto del preesistente, di rapporti di volumi, di qualità estetica, di funzioni. Di qui la trasformazione di comunità in anomime aggregazioni di abitanti di una grande periferia. Il lavoro di recupero della memoria intrapreso dal gruppo formatosi nell'estate del 1975 intorno a Mariuccia Elli, da due mamme e ad un ragazzo ha voluto sfidare un pericolo molto concreto di totale cancellazione della memoria.

Il lavoro di recupero della memoria intrapreso dal gruppo formatosi nell'estate del 1975 intorno a Mariuccia Elli, a due mamme e ad un ragazzo ha voluto sfidare un pericolo molto concreto di totale cancellazione della memoria. L'obiettivo di salvaguardia della memoria è stato raggiunto, con le pubblicazioni, le raccolte di canti, la mappa di comunità. Ma ci si è resi conto che un patrimonio di cultura legato alla civiltà contadina può sopravvivere come fatto sociale solo se viene in qualche modo riattualizzato, che una comunità insediata non può prescindere dal recupero di una relazione con il territorio che non può essere solo intellettuale ma che deve comprendere la dimensione fisica, la relazione con la terra quale matrice che nutre e che non è solo un tanto di metri quadri, una frazione di superficie terrestre che da supporto ai manufatti. A ciò non può assolvere solo il "verde", categoria astratta (come l'ambiente peraltro) sorta in opposizione al cemento, come suo complemento, come mitigazione (estetica, termica). Non bastano gli spazi ricreativi, per l'esercizio delle attività fisiche all'aperto o per la "contemplazione". Dentro questa voglia di recuperare una relazione attiva con la terra, nel senso pieno della terra da far fruttificare e dalla quale ottenere il nutrimento. Terra edule, che da da mangiare con la quale si ripristina uno scambio materiale, simbolico e forse - ma sempre a partire da questa relazione intima e concreta - anche di ordine più elevato. Terra edule da contrapporre alla terra sterile, all'asfalto al cemento. 

Carta Tecnica Regionale (corrente)

 

Carta IGM 1937

Mariuccia Elli oltre alle doti di tenacia e di schiettezza unisce anche una capacità di visione (pur con i piedi ben piantati a terra) che le ha consentito di concepire quello che poteva apparire solo pochi anni fa un sogno irrealizzabile: rilanciare la coltivazione del furmentun(il mais in milanese e brianzolo). Ma non gli ibridi, usati oggi (purtroppo) anche per la polenta (pert quanto concepiti per usi zootecnici ed industriali), la varietà antica qui largamente coltivata, il Maranello precoce. nessuno coltivava più il Maranello e così la prima semente è dovuta arrivare dal Veneto, dalla banca del seme di Vicenza. Le quantità disponibili erano, però, ridottissime (un problema che affligge spesso le varietà autoctone e ne impedisce la ripresa). In ogni caso la prima semente è stata sufficiente per far decollare il progetto con il coinvolgimento della scuola media GiovanniXXIII-Segantini.

Le prime esperienze di coltivazione con il coinvolgimento della scuola interessano superfici limitate, la coltivazione resta nei limiti di una coltura "da orto" con la raccolta a mano. Queste prime esperienze, però, innescano un notevole interesse. l coinvolgimento della comunità è attuato sia attraverso la raccolta di ricette che con la La Festa da Nöa, che nata nel 2008, già dal 2009 diventa La Festa da Nöa e dal furmentun, una vera e propria sagra dove vengono presentati alla comunità ul pan gialt e i brusadin (dolce). Il tutto unito a rievocazioni storiche nei cortili e sfilate.  Va precisato che sino a quest'anno i prodotti della Festa non erano realizzati con il furmentun coltivato in loco perché insufficiente.

L'ecomuseo in tutte queste attività questo svolge il ruolo di 'ponte' tra le generazioni ma anche tra le culture (quella degli 'autoctoni' e quelle degli mmigrati vecchi e nuovi). Sono le donne originarie di Nova che trasmettono ai ragazzi le tecniche di lavorazione delle farine. Come verificato anche in altre comunità questa riattivazione di saperi legati alla cultura locale lungi dal rappresentare un elemento di chiusura dell'elemento originario costituisce un terreno di scambio, di comprensione reciproca, di coesione. Specie nel caso del mais che in Europa è stato introdotto solo da pochi secoli (entrando profondamente negli usi alimentari solo nel XVIII secolo) mentre ha una lunga storia nell'America precolombiana. Un aspetto interessante dell'esperienza dell'ecomuseo di Nova consiste nel fatto che chi lo ha promosso è a pieno titolo un testimone del passato, un trasmettitore di una cultura viva, radicata nell'esperienza personale e collettiva. L'identità novese, nonostante lo spostamento alle occupazioni industriali della maggior parte della popolazione con il dopoguerra, è rimasta legata alla civiltà contadina. Mariuccia Elli racconta che il padre decise consapevolmente di dedicarsi all'occupazione nell'industria e di abbandonare il lavoro agricolo. Ma pur non essendo nata in una famiglia contadina "ho respirato la vita del cortile che era permeata di cultura contadina".

La scansione dell'anno, i rituali (la giobiana per esempio), le forme di socializzazione ruotavano ancora intorno alla dimensione agricola. La cottura del pane nei forni comuni nelle corti, la scartocciatura delle spighe (scartocciare = luassáa), le cantate e le veglie invernali nelle stalle rappresentavano momenti fondamentali di trasmissione della cultura tradizionale anche per coloro che appartenevano a famiglie di operai ma che facevano parte dell'organismo della corte.

Il progetto del pan gialt ha creato forme di partecipazione che riprendono queste modalità. Dallo stare insieme per cantare e per mantenere vivo il repertorio del canto tradizionale allo stare insieme per collaborate alle complesse fasi dell'operazione che ha portato nel 2009 a pubblicare un opuscolo sul furmentun e gli aspetti culturali che ne caratterizzavano colticvazione, trasformazione e consumo, nel 2013 all'assegnazione all'Ecomuseo. di un terreno comunale da destinare alla coltivazione del Maranello e, finalmente, nel 2014 alla produzione di 60 quintali di furmentun che consentano di dare vita alla produzione di pan gialt, brusadin e polenta di Maranello coltivato a Nova. la colivazione nel 2014 è stata effettuata da un agricoltiore e la raccolta è stata effettuata a macchina (ma un gruppo di donne ha spigolato a mano). Di fatto si è creata una filiera tutta locale dal campo alla tavola. Un tassello fondamentale della filiera è stato rappresentato dal CRA-MAC di Stezzano (Bg) che ha messo a disposizione non solo il germoplasma autoctono della varietà "VA56 Marano" ma anche il supporto tecnico per la coltivazione, la raccolta, e il post-raccolta. Attraverso la collaborazione con il CRA-MAC Nova si è collegata a Gandino (famoso per il recupero del mais "Spinato" - vedi articoli nella colonna a sinistra) e, di fatto, attraverso Gandino con un circuito internazionale di località legate al recupero  me alla valorizzazione di antiche varietà di mais.

 

Il progetto, però, non si ferma qui. Si intende in qualche modo ripristinare le vecchie rotazioni e introdurre nella coltivazione la segale che rappresentava (in misura variabile anche con la farina bianca di frumento) la componente della mistura per la panificazione. L'idea di recupero e di qualificazione di aree non più agricole anche se non cementificate (aree di connessione) passa anche attraverso l'idea di ricreare nell'ambito del Parco di interesse sovracolmunale (PLIS) Grugnotorto Villoresi che insiste in un'area di 830 ettari che interessa i brandelli di superstiti campagne dei comuni di Bovisio Masciago, Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Muggiò, Nova Milanese,Paderno Dugnano e Varedo. Si tratta di un'area con funzione di mantenimento di corridoi ecologici ma, in primo luogo, di mantenimento dell'agricoltura. L'agricoltura in questi contesti non può che essere profondamente ripensata. Solo attraverso il coinvolgimento della popolazione anche con forme di partenariato con gli agricoltori sarà possibile operare qualla diversificazione di colture e quel recupero di paesaggio che un'agricoltura con funzione esclusivamente di produzione di reddito agricolo non può operare. Il tutto non solo conservando quello che è coltivato ma anche rimettendo a coltura le aree 'grigie'. L'ecomuseo di Nova da questo punto di vista sta già pensando a ripristinare quel paesaggio con i bordi dei campi con vite maritata ai gelsi che rappresentavano la forma usuale di policoltura praticata dai contadini locali.  Prima della filossera devastatrice Nova era piuttosto celebre per il suo vino. L'unica osteria del paese era dotata anche di vigna e Carlo Porta celebrò il vino di Nova (il Pincinell) tra i venti migliori del milanese. Sogni? Anche il pan gialt era un sogno ma si è avverato. Speriamo di vedere presto queste "vigne dell'ecomuseo".

L'esperienza di Nova conferma che i luoghi del cibo identitario possono 'redimere' anche le situzioni più disperate di urbanizzazione selvaggia. Il lavoro operato sul terreno della memoria, dell'identità locale, del mantenimento di forme di socializzazione ha pagato. La conservazione del patrimonio materiale e immateriale si è tradotta in risorse, in capitale sociale che si è messo in movimento. Come abbiamo avuto modo di osservare anche in altre località (2) a Nova si è potuto far leva su dei fattori legati all identità e alla storia locale: rispetto ai centri vicini Nova era considerata un po' una cenerentola, ma il suo forte connotato rurale (gli abitanti ancora a Novecento inoltrato dovevano recarsi a Monza per ogni genere di acquisti e non c'è mai stato mercato) rappresenta oggi una risorsa alla luce dei progetti in atto. Il fatto stesso che gli abitanti fossero chiamati dalle comunità vicine luìt (con riferimento alla piccola spiga del Maranello e alla forte presenza della coltivazione e del consumo di questo cereale nella dimensione locale) (3)  ha rappresentato una 'molla' in grado di far scattare un fattore di identificazione e di dare forza a un non facile progetto.

 

 

 

Note

 

(1) Mi sono riferito ad una "regione deagricolturalizzata" con riferimento alla più ampia conurbazione lombarda che ha per vertici del vergognoso triangolo di cementificazione criminale oltre alla capitale lombarda anche Verese e Lecco. M. Corti "Changing sceneries. Resurrection of small scale farming in a deagriculturalized region (the role of farmers’market and other short food supply chains)" ESRS Congress, Vaasa, 2009 - Local Food Networks, Power and Sustainability.(PDF)

(2) M.Corti, S. De La Pierre, S. Agostini, Territori del cibo, Centro studi Valle Imagna (in corso di pubblicazione).

(3)  M. Elli, V.Bettini, E. Susani, Luit e Misciot , Storie e racconti di vita. Canti e Rituali della Nova di un tempo, Associazione culturale "Il cortile", Stampa  Tipolitografia C.M., Ronco Briantino, 2000.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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