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"Questa montagna mi sta mangiando l'anima"

All'Alpe Infernet  in val d'Angrogna dove la nebbia è di casa (e il lupo picchia)

testo e foto di Michele Corti

All'alpe Infernet ci si rende conto come - in alcune situazioni - la diffusione del lupo, in assenza di alcuna intervento di controllo, non consenta alcuna 'convivenza' tra il predatore  e la pastorizia

 

È in posti come l'alpe Infernet in val d'Angrogna (To) che ci si convince che o il lupo viene tenuto a bada, come si è fatto da millenni, o la pecora e il pastore devono sparire. Se vengono abbandonate queste posizioni 'marginali' la frontiera della pastorizia e della montagna umanizzata si sposterà altrove con la prospettiva di un abbandono totale della montagna. Andare a verificare di persona la situazione quindi era molto importante. L'ho fatto il giorno 8 agosto in una giornata di bel tempo (almeno nelle previsioni meteo). In realtà, oltre ad andare ad eseguire un sopraluogo chiave nella mia indagine sull'impatto del lupo sui sistemi pastorali delle valli di Cuneo e di Torino all'Infernet sono andato anche per trovare degli amici: Marzia (Verona) e il suo fidanzato Claudio (Buffa). Marzia la conosco ormai da qualche anno, accoumunati dall'interesse per i pastori che nel suo caso è diventato molto più coinvolgente perché - sia pure a part-time - fa la pastora (oltre a scrivere e studiare sull'argomento). Claudio l'ho conosciuto solo questa primavera nell'ambito degli incontri organizzati presso le comunità montane nell'ambito del progetto Propast.

Claudio ha l'aria del ragazzo tranquillo, piuttosto lontano dalle immagini dei pastori esuberanti e un po' spacconi. Gestisce un pascolo dove c'è quasi sempre la nebbia, dove ci si arriva solo a piedi da un sentierino, senza neanche un piccolo pianoro, con le baite diroccate. Eppure facendolo per scelta non si lamenta più di tanto. La presenza del lupo, però, ha trasformato quella che era una situazione estremanente disagiata in una situazione disperata, anche se sei giovane, anche se hai una gran buona volontà, anche se hai una passione enorme e un altrettanto enorme attaccamento alle tue montagne, alle montagne dove ci vai da bambino, dove hai baite di proprietà. Perché dovresti abbandonarle solo perché qualcuno ha deciso che ci deve stare il lupo?

 

La camminata per arrivare all'Infernet è lunga. Bisogna percorre uno sterrato che prende inizio al Colle Vaccera fino all'Alpe Cruilira (1596 m). Qui incontro Sergio, un pastore molto giovane. Le baite di proprietà sono ben sistemate e confortevoli anche se piuttosto basse (per via delle neve). La mamma di Sergio ha disposto con cura una serie di piante in vaso fiorite a fianco della baita. Il tempo di prendere un caffè e di scambiare quattro chiacchiere e mi devo congedare dopo esserni fatto spiegare da Sergio dove pascola prima di rientrare la sera. Vorrei intervistare anche lui durante il ritorno. Per arrivare all'Infernet ci vogliono quasi due ore e non voglio arrivare tardi. Marzia mi ha raccomandato di arrivare prima delle 10.30.  Lungo il percorso (a circa 20 min dall'alpe) ci si imbatte in alcune ossa (sopra). È una pecora sbranata dal lupo lo scorso anno e data per dispersa.

Arrivo all'Infernet puntuale ma le pecore stanno già lasciando il recinto dove trascorrono la notte relativamente al sicuro. Marzia mi dice che c'è un po' di tempo per farmi vedere l'alpe, tanto le pecore al mattino si muovono lentamente. Siamo a 1989 m.

I fabbricati sono diversi, alcuni in rovina, altri malandati. "Non c'è una baita con il tetto che tenga". Mentre il pascolo è di proprietà comunale queste baite sono tutte private. Si tratta di una piccola alpe-villaggio dove salivano numerose famiglie. In passato, mi racconta Marzia, qui salivano 1000 pecore ma anche i bovini, piccole vaccherelle robuste di tipo valdostano.

La baita utilizzata come cucina è buia, bassa e sopra le teste incombono diversi teloni di plastica che evitano di bagnare chi trova 'riparo'. Il tetto è un colabrodo.

Dalla 'cucina' ci spostiamo nella 'casera'. Si tratta di una baita cadente come tutte le altre dove Marzia riesce a lavorare un po' di latte di capra e a produrre - per autoconsumo - delle tome (che assaggiate durante la colazione del mezzogiorno si riveleranno buonissime).

Le tome sono appoggiate su assi mantenute sospese con delle corde, un espediente indispensabile per evitare che se le mangino i topolini. Per loro Marzia sacrifica un pezzetto di formaggio come esca, intorno il topicida.

Pare strano ma in questa alpe, dal nome che è tutto un programma, in passato si produceva formaggio. Lo testimoniano i pesi, pietre ben sagomate a forma circolare, che si trovano ancora all'interno delle baite e che servivano per pressare la cagliata messa in forma (Marzia me ne mostra uno, foto sotto).

Dopo la cucina e il caseificio Marzia mi ha vedere la camera da letto. È la novità di quest'anno. Intorno a questo container sono già fiorite delle storie: quella dell'elicottero che non ce la faceva a trasportarlo, quella del comune che si lamenta che 'deturpa il paesaggio'. Il container è stato fornito e collocato a cura del Progetto lupo (alla fine è sempre la Regione Piemonte e, in definitiva, il contribuente che pagano). Un modo per far vedere che si viene incontro alle esigenze dei pastori e che si cerca di compensare i disagi addizionali che essi devono sopportare a causa dell'intoccabile (ma fino a quando?) predatore. Non ci fossero i lupi non sarebbe necessario mantenere le pecore nei recinti durante la notte e pernottare nei pressi dei recinti. L'Infernet è una situazione limite che è un po' sotto i riflettori. Bene che si sia provveduto a mettere a disposizione del povero pastore un container dove dormire all'asciutto ma quante altre situazioni di ricoveri del tutto inadeguati dove i pastori sono costretti a dormire ci sono nelle valli interessate al ritorno del lupo?

Nel container, sia pure angusto, si sta all'asciutto e qui Marzia conserva il 'diario di bordo' dove tiene registrate le condizioni meteo e le perdite a causa del lupo.

Nella pagina aperta sono registrate 10 giornate. Sei sono state nebbiose. Il 3 agosto c'è stato anche un attacco: due pecore morte e una ferita.

Non è il primo attacco della stagione. A luglio, quando il gregge pascolava a quote più basse, sono state sbranate tre pecore e due agnelloni sono risultati dispersi (e non più ritrovati). Claudio, che nel frattempo è sceso alle baite per prepararsi per trascorrere la giornata col gregge, raccogliendo il necessario da portare con sè, mi mostra le condizioni della pecora ferita. Viene mantenuta in un piccolo recinto adiacente alla baita-cucina, va alimentata con erba tagliata appositamente e va trattata con antibiotici. In seguito all'attacco la sfortunata ha abortito. Questo degli aborti e di tutte le perdite di produzione dirette e indirette è un capitolo della partita 'danni e risarcimenti' da lupo ( 'canidi' se il predatore non viene colto in fragrante), che dovrà essere meglio messo a fuoco. La veterinaria del Parco ha portato gli antibiotici ma quanto tempo e fatica costa curare la pecora? E se fossero numerosi i capi feriti come farebbe il pastore a fronteggiare la situazione? Oltre all'aborto l'animale porterà le conseguenze dello stress, della ridotta alimentazione, dell'effetto degli antibiotici. Tutti aspetti che comprometteranno il ritorno a una condizione di normale fertilità,  fecondità, prolificità.

La pecora è stata ripetutamente 'mirata' al collo. Oltre ad una ferita sul lato presenta una 'classica' duplice incisione con i segni dei canini ben visibili. Quello che è inusuale è che le incisioni sono sovrapposte. Probabilmente la pecora è stata morsa al collo quando era a terra. Alla fine, però, la carotide è stata mancata e il morso non è stato letale.

Finalmente si parte. Le pecore non si sono spostate da dove erano rimaste quando Claudio aveva aperto il recinto; le reggiungiamo e, senza spingerle, assecondiamo la loro lenta marcia verso i pascoli. Oltre ai cani da conduzione ci sono due femmine di razza Maremmana, una giovane, l'altra già adulta e sterilizzata. Le cagne bianche socializzano senza problemi con gli altri cani.

Il gregge è composto da oltre 800 ovini; metà sono di Claudio, metà sono 'in guardia' affidate a Claudio da 15 proprietari. Tra questi vi è Flavio un ragazzo del posto che ha nel gregge un centinaio di pecore di sua proprietà e che svolge il ruolo di aiuto pastore. Rispetto allo scorso anno le difese si sono rinforzate: un pastore in più e un Maremmano in più. Ma questo non è stato sufficiente a impedire due attacchi (sinora).

Le cause di questa difficile difendibilità del gregge sono legate a due circostanze concomitanti: la frequenza di giornate nebbiose e la morfologia del terreno. Le pecore sono più agili e arrampicatrici di quanto si potrebbe sospettare. Ma queste loro doti finiscono per metterle nei guai. A volte non riescono a scendere e deve intervenire il pastore perché in queste situazioni, con le pecore 'incrodate' l'intervento del cane sarebbe quanto mai rischioso. Nella foto sopra Marzia osserva perplessa un gruppo di pecore 'scalatrici'. Arrampicandosi in mezzo alle rocce le pecore possono anche provocare la caduta di pietre mettendo a rischio anche le pecore sottostanti e ..  i pastori.

Claudio confessa di avere rischiato la vita in più di una circostanza per recuperare le pecore. Le pecore che  rimangono indietro sulle cengie o in qualche luogo disagevole rischiano di non essere rinchiuse alla sera nel recinto elettrificato che le protegge dal lupo. Mentre le pecore rimaste vittime del lupo a luglio stavano pascolando in pieno giorno, e sono state tradite dalla nebbia, quelle del 3 agosto erano rimaste fuori dal recinto la sera. E i lupi non perdonano.

 

 La lenta marcia in salita prosegue finché le pecore non raggiungono dei pendii erbosi liberi anche dai cespugli di ontano alpino e di rododendro.

Lungo il percorso, un po' più in basso rispetto al sentiero, è rimasta la carcassa di una vittima del 3 agosto. Non rimane più molto perché le volpi e i corvi hanno provveduto a eliminare quello che i lupi non avevano consumato.

La giornata è 'bella' ("Una delle migliori sinora") ma ogni tanto sale la nebbia. Il gregge si frammenta in una serie di colonne che provedono in fila indiana, mentre altri gruppi di pecore hanno già iniziato a pascolare.

Il paesaggio è segnato da una ragnatela di sentieri o semplicemente di passaggi tra il cespuglieto. Anche i sentieri principali, di interesse escursionistico, sono mantenuti grazie al passaggio del gregge (un servizio al quale i lupi non provvedono di certo).

Dove la copertura erbacea è continua e i cespugli rappresentano solo degli 'isolotti' è facile constatare che l'azione delle pecore è in grado di contenere l'ulteriore avanzata dell'arbusteto.

Ora che la visibilità è buona il compito del pastore sembra agevole. Ma ci immaginiamo come debba diventare più difficile in caso di forte nebbia, pioggia.

Qui all'Infernet non solo ci si rende conto che le pecore sono più alpiniste di quanto si possa ritenere, ma anche che non sono quegli stupidi animali che si ammassano per pascolare a contatto di vello o quasi. Un po' per via delle presenza di numerosi gruppi provenienti da diversi proprietari, un po' per la natura del terreno la dispersione è fortissima.

Claudio che videointervisto a lungo mi spiega che nelle condizioni di questo pascolo le pecore non riuscirebbero ad alimentarsi se stessero serrate. D'altra parte questa dispersione è foriera di un sacco di difficoltà. "Come fanno due cani a controllare centinaia di pecore disperse, con i valloni, con la nebbia?". Impossibile. Ce ne vorrebbero una dozzina. E poi chi li sfama? Il Progetto lupo con lanci di carne dagli elicotteri? Ma poi chi controllerebbe più una simile muta.

Claudio racconta dei motivi che lo costringono a rimanere qui. Non vuole essere un eroe a tutti i costi. Non vuole lanciare sfide. Qui all'Infernet mi pare molto più vecchio di quando apparisse questa primavera. Allora mi sembrava un ragazzo. La fatica e le notti insonni a cercare animali dispersi lo hanno segnato e poi quest'ansia della nebbia che all'improvviso può avvolgere tutto e consentire al lupo di colpire... Il danno del lupo a Claudio va ben al di là dei capi predati; è questo logoramento fisico e, soprattutto, psicologico che va messo in conto al lupo (anzi ai suoi sponsor, perché il lupo è un animale che fa il suo mestiere nei limiti di quello che decide l'uomo pastore, cacciatore, naturalista, lupologo). La questione è tra uomo e uomo, non tra uomo e lupo e nemmeno tra pecora e lupo. Parla con lentezza Claudio, parrebbe rassegnazione la sua, ma non è così. Vorrebbe uscirne da questa situazione "Questa montagna mi sta mangiando l'anima".

Vi sono motivi pratici e motivi affettivi che trattengono qui Claudio. Ci sono gli impegni presi per fruire dei contributi del Psr. C'è la disponibilità di baite di proprietà alle quote più basse. Vi sono i genitori che alpeggiano con le bovine a non molta distanza da qui e dove Claudio termina a fine stagione il suo 'piano di pascolamento'. Poi "sono le mie montagne". Considerazione che potrà essere irrisa come sentimentalismo dai razionali (mah)  lupofili ma solo perché loro il contadino, il pastore non lo possono e non lo vogliono capire.

Si prosegue verso la meta, il crinale - appena sotto il Gran Truc (2366) che separa la val Pellice dalla val Germanasca.

 

Arrivati in cima le pecore sono dei puntini microscopici dispersi sul versante della montagna. Mentre noi faremo sosta e colazione loro continueranno a pascolare e, dopo pranzo, ce le troveremo davanti a noi a quota di poco interiore. Il pastore conosce il comportamento al pascolo dei suoi animali, sa che - con opportuni correttivi e indirizzamenti - il gregge effettuerà un determinato percorso. Così può anche tirare il fiato e fermarsi sapendo che lo 'riaggancera' senza problemi (sempre che non ci siano imprevisti).

Arrivati sul crinale i cani e i cagnetti ne approfittano per riposare. I pastori, invece, si dedicano ad ammirare il panorama. Sembra strano, a vederli parrebbero escursionisti. Il motivo c'è e me lo spiegano "È la prima giornata da quando siamo qui che si può vedere quello che si vede oggi". Lo sguardo spazia lontano. Ma dal 'nostro' versante un po' di nebbiolina continua a tentare di salire.

Sono parecchie le dorsali che separano le valli torinesi che si possono ammirare da qui. In lomtananza anche cime innevate.

Girandosi verso la val Pellice c'è una gradita sorpresa: la coltre delle nubi si è squarciata e la maestosa mole del Monviso allare dietro le dorsali che separano la val Pellice dalla valle Po.

Ammirando valli e montagne il tempo scorre. È ora di muoversi. Invece di tornare all'Infernet mi consigliano di scendere un pezzo lungo la cresta, poi di abbandonarla per transitare dall'alpe Collet. Da qui poi scollinando si scende a Cremlira e il cerchio è chiuso. Gli amici mi accompagnano per un tratto in discesa lungo il crestone sino ad arrivare ad un punto da dove il percorso si vede con chiarezza. Dall'alto si vedono anche le pecore di Sergio. Lui è sul sentiero (lo vede Marzia che ha l'occhio allenato). Faccio come mi dicono. Però quando arrivo in prossimità dell'alpe (sotto) le pecore sono nella boscaglia di ontani e Sergio non si vede. Il Maremmano abbaia e mi tiene d'occhio. Per non metterlo in allarme restando lì sul sentiero, dove nel frattempo transitano delle pecore, decido di tagliare dritto al Colle. Peccato perché Sergio mi aspettava.

L'Alpe Collet (1754 m) è 'mangiata' da Sergio in aggiunta al suo pascolo, in parte di proprietà,  (che resta sull'altro versante, quello della val Pellice). Il pascolo di Collet (foto sopra) lo paga una cifra modesta ad un ingrassatore di tori che affitta la montagna. È un subaffitto. Il pastore mangia sul serio la montagna, l'ingrassatore 'sulla carta', ovviamente. All'ingrassatore interessa l'ettaraggio, la condizionalità, il premio unico. Tradotto in soldoni le palanche della Pac. Sono una maledizione peggiore per i pascoli e il pastoralismo le speculazioni e le distorsioni della Pac o il lupo? Una bella gara, anche perché è la combinazione delle due cose che sta mandando in malora l'alpe Collet come tante altre. Sergio pascola solo le zone 'pulite' intorno alle baite, chi osa pascolare nell'arbusteto? Lo ha fatto oggi perché è una bella giornata e, in ogni caso, stando vicino al sentiero. Il circolo vizioso si chiude: nessun margaro va più ad utilizzare le baite, poi anche se ci andasse guai a lui se usa la legna per il fuoco, ci vuole la bombola (eccola l'ecologia)! Così boscaglia e lupi avanzano. Il contribuente paga fior di soldoni per la Pac; finiscono nelle tasche degli allevatori di tori della pianura i quali a loro volta sono strozzati dai  commercianti che pagano prezzi irrisori la carne anche pregiata, anche piemontese. Ma i commercianti sono strozzati dalla grande distribuzione e quest'ultima dalla concorrenza e dalla 'globalizzazione'. Così, dopo aver imputato il tutto a una entità astratta non sappiamo più con chi prendercela... Forse, però, applicando un po' di buon senso, le cose si raddrizzerebbero.

 

 

           

 

pagine visitate dal 21.11.08

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