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Politiche agricole

Agrispeculazioni
tra biogas e alpeggi

Dietro vicende  camune emergono nomi e intrecci  a largo raggio


di Michele Corti

(21.04.18) Un meccanismo perverso, fatto di distorsioni e complicazioni burocratiche, compiacenza nei confronti di soggetti e pratiche spregiudicate, controlli solo formali, irresponsabilità amministrativa, ha trasformato misure di politica agraria a favore della montagna nel loro esatto opposto.

Quelli che, sulla carta, con le ultime riforme della politica agricola europea, apparivano dei forti sostegni alle attività agrozootecnica e pastorale in montagna si stanno troppo spesso rivelando degli strumenti di incentivo alla speculazione. Come conseguenza molti allevatori e pastori restano esclusi dall'accesso ai contributi (pagamenti diretti sui titoli pac e misure dei piani di sviluppo rurale). Truffe e speculazioni sui "pascoli d'oro" o "pascoli di carta" hanno condotto da diversi anni ad avviare indagini e a istruire processi in diverse regioni. Lo scorso anno in Lombardia fu reso pubblico che la procura di Sondrio stava indagando su ben 50 alpeggi.


In val Camonica qualche giorno fa i carabinieri forestali sono stati inviati dalla Procura di Brescia  nei municipi di Cimbergo e Paspardo per acquisire documentazione e informazioni sulla gestione di tre alpeggi, due di Cimbergo e uno di Paspardo, relativamente agli appalti di gestione delle malghe Frisozzo al lago d’Arno, in Valsaviore, Marmor (località sopra il Volano) e Zumella di Paspardo. I pascoli in questione sono stati affittati a soggetti di altre provincie e della bassa bresciana che, in sede di aste pubbliche con il meccanismo del rialzo, offrono cifre astronomiche che risultano inavvicinabili per gli allevatori di montagna.
Colpa dei contributi si dice. I comuni ovviamente sanno che gli allevatori incassano forti premi e, rincarando gli affitti, o semplicemente approfittando del meccanismo dell'asta al rialzo, intendono "spalmare" questi sostegni a loro vantaggio loro. Con un nuovo bando di appalto di una malga nel censuario di Daone (Tn), il comune di Paspardo il 27.04.2018 (dopo la perquisizione dei cc) fissava la base d'asta a 28 mila euro, esplicitando tra i criteri di fissazione la "possibilità di accedere a benefici agricoli".  Prevedendo il diritto di prelazione per gli attuali affittualri i f.lli Berasi, noti protagonisti in Trentino di processi (conclusisi con un'assoluzione presso la corte d'appello di Bolzano) per le truffe sui pascoli, per storie di vitelli, acquistati all'Est e calati con elicottero su malghe da tempo abbandonate e lasciati morire per "fare Uba" e incassare cinicamente i premi (vedi articolo QuestoTrentino).

Il municipio di Paspardo
Tanto varrebbe assegnare i contributi ai comuni proprietari degli alpeggi  a questo punto. Si eviterebbero speculazioni dannose per la conservazione dei pascoli e che spesso lasciano senza possibilità di praticare l'alpeggio gli allevatori locali. Dopo la perquisizione dei cc forestali i sindaci di Cimbergo, Gianbettino Polonioli e di Paspardo, Fabio De Pedro si sono detti tranquilli perché, per loro, il bando è regolare. Anche Ponzio Pilato emise una sentenza regolare. Ma tra la giustizia e l'amministrazione responsabile (attenta al bene del territorio e degli amministrati) da una parte e una rivendicazione di regolarità formale ce ne corre, specie in questi tempi di iperburocrazia.
Da affitti eccessivamente bassi a prezzi alle stelle
Sino a pochi anni fa le aste andavano deserte; si presentava di norma lo stesso rilevatario (un allevatore locale) e gli affitti restavano fermi a poche migliaia di euro, una specie di "pezzo politico" che era probabilmente eccessivamente basso e non incentivava il comune ad eseguire le necessarie manutenzioni. Oggi, siamo all'eccesso opposto. Se gli affitti (entro limiti ragionevoli) non finissero in un calderone e venissero impiegati per il miglioramento delle strutture e infrastrutture d'alpeggio alla fine il vantaggio tornerebbe comunque in capo alla comunità (che conserva e migliora un proprio patrimonio) e agli allevatori. Il punto è che gli allevatori locali vengono tagliati fuori perché gli speculatori puri (ma anche alcune aziende zootecniche di pianura) possono offrire alle aste delle cifre impossibili per gli allevatori di montagna, anche se possiedono dei titoli Pac.  Analizzeremo più avanti i complessi meccanismi che hanno condotto a questa perversione. Intanto vediamo dei casi concreti.
Mano a mano che gli affitti arrivano a scadenza (i contratti per i fondi agricoli sono sottoscritti per 6 anni rinnovabili per una volta), i comuni li mettono all'asta e, come mosche sul miele, se il comune non pone adeguati paletti, arrivano gli speculatori.  Per la malga Frisozzo di Cimbergo, piuttosto malmessa, e anche difficile da raggiungere, l’affitto è passato dai trecento euro all’anno, offerti da un allevatore camuno, agli ottomila euro di un imprenditore bergamasco (soc. agr Burnigaia di GianMario Bana con sede in via Giovanni Prescillo Re, 1 a Premolo in val Seriana). Lo scorso anno era accaduta la stessa cosa anche a Paspardo, dove, per la malga Zumella a 6.000 offerti dal vecchio allevatore, Jennifer Bana (stessa sede di Burnigaia) ne ha offerti ben 20.000.

Nella foto sopra i "pascoli" di Marmor ai piedi degli sfasciumi del pizzo Badile camuno visti da malda Doss.
Marmor  è invece affittato a un cremonese (Daina) che risulta affittuario anche di un altro alpeggio di Cimbergo, Gel e Gellino, sul versante trentino. Marmor, come si vede nella foto, presenta pascoli (ex pascoli) quasi completamente cespuglieti e arborati. Come si spiega la corsa ad affittare queste superfici? Con i meccanismi perversi dei premi per i titoli Pac che consentono di abbinare a pietraie titoli che possono valere centinaia di euro all'ettaro. Con tara  (roccia affiorante, cespugli) tra il 5 e il 20% il premio è ridotto del 20%, con tara tra il 20 e il 50%, del 50%. Se, infine la tara non supera il 70%, il premio è ridotto al 70%. Ma se appoggio titoli "pregiati", questi "pascoli" godono pur sempre del premio per il greening (requisiti "ecologici") che aumenta del 50% il valore del premio. Se detengo (avendo acquistato al mercato aperto dei titoli) titoli da 300€, porto a casa 135 € all'anno per una pietraia con qualche ciuffo d'erba. Di qui l'interesse ad acquisire ampie superfici di pascoli anche magri, anche magrissimi, senza strade. 
La malga Zumella di Paspardo, affittata a Jennifer Bana (che nel 2017 ha anche fruito di un premio per giovani agricoltori in zona svantaggiata di 30 mila euro) è attrezzata con un caseificio a norma per la trasformazione del latte. Nel  2017 le superfici riconducibili alla malga (110 ha) sono state pascolate con bovini e ovicaprini da un malghese locale, Salvo Paroletti, che utilizzava un alpeggio in trentino ma non ha potuto più caricarlo per via delle speculazioni. Paroletti, come molti altri allevatori e pastori coinvolti nel vortice dei "pascoli d'oro" ha potuto utilizzare la malga, pascolare i suoi animali e fare formaggio silter. Non ha pagato affitto ma non ha potuto beneficiare di nessun contributo (nè premi sui titoli nè indennità compensativa, equivalente ad altri 80-100 €/ha). Il carico risulterebbe comunque inferiore a quello previsto dal bando comunale.

Ignara delle vicende poco bucoliche che interessavano la malga la troupe di mela Verde gira una puntata a malga Zumella nell'estate 2017
I 300 capi ovini riconducibili ai Bana, invece, affidati ad un pastore romeno, alloggiato in condizioni precarie in una roulotte, hanno pascolato per la maggior parte della stagione su terreni privati. A fine luglio il pastore romeno trasferiva le pecore, con l'aiuto di pastori locali, alla malga Frisozzo. Uno di questi ultimi, nel 2016, aveva caricato a settembre inoltrato la malga Frisozzo con degli asini per conto della Burnigaia. Pascolamento interrotto, però, da una precoce nevigata. In questo modo non è stato materialmente possibile garantire i 45 giorni di pascolo che la Regione Lombardia ha previsto (in deroga), quale periodo minimo per incassare i premi.  Nonostante le agevolazioni alla speculazione (la riduzione da 60 a 45 giorni del periodo minimo di pascolo consente di incassare con gli stessi capi premi in due malghe diverse) quanto avvenuto nei due anni scorsi indurrebbe a dubitare del diritto di Bana e sorellina di incassare i premi per le due malghe. Lo verificherà la procura.
GianMario Bana dal biogas agli alpeggi
Quello che è certo è che GianMario Bana i cui famigliari (non solo Jennifer, ma anche Fabiana e Jessica e i genitori) sono titolari di una serie di aziende agricole (individuali e società) ha alle spalle un ragguardevole curriculum. Partiamo dalla Mobas.

La vicenda Mobas, emblematica del periodo in cui imperversava la speculazione sulle centrali a biogas (poi sgonfiatasi), si snoda tra il 2010 e il 2014  ed è di quelle di un certo “peso”, dal momento che il progetto coinvolgeva un cluster di quattro centrali da 999kW e, tra localizzazione delle centrali, sedi legali, localizzazione dei terreni presi in affitto per coltivare silomais per alimentare i biodigestori, diverse provincie (Pavia, Bergamo, Brescia). Il biogas ha rappresentato un tristo capitolo per i veri agricoltori: incentivi sulla carta destinati alla "multifunzionalità agricola", a sostenere la sostenibilità ecomica del settore, sono state drenati da interessi speculativi spesso opachi. Gli agricoltori si sono spesso trovati senza terreni da affittare o con affitti della terra alle stesse perché le centrali a biogas hanno utilizzato vaste superfici coltivate a trinciato di mais da biomassa.

Gli impianti erano entrati in funzione entro il fatidico 31 dicembre 2012 per usufruire della tariffa onnicomprensiva che concedeva ai biogassisti “agricoli” ben 0,28 €/kWh. Così tutti puntarono alla potenza massima ammissibile per le centrali etichettate "agricole", ovvero 999kw. Salvo poi accorgersi che molte centrali erano surdimensionate.
 Nella maggior parte dei casi ad incassare i contributi per il biogas "agricolo" furono società costituite ad hoc, dalla comosizione sociale spesso "a scatole cinesi".  Attori della vicenda Mobas erano un grosso investitore (il fondo Palladio, attraverso Palladio team, che opera nel campo dei rifiuti) e alcuni giovani imprenditori (o aspiranti tali). Palladio è un pesce molto grosso definito “La Mediobanca del Nord-est”. Il suo artefice, Roberto Meneguzzo, è stato arrestato per concorso in corruzione per le vicende degli appalti del Mose ed è implicato anche nelle vicende degli appalti Expo. Altro partner del progetto era la Mobas: Monti – Bana (GianMario) – Asti, una societa creata nel 2010 da tre (ex) giovani amici che doveva svolgere il ruolo di società di servizio, coltivare i terreni e alimentare i voraci biodigestori. La stessa Mobas, però, era anche socia di minoranza delle quattro srl costituiter ad hoc e proprietarie dei rispettivi quattro impianti di biogas (51% Palladio team e 49% Mobas). Il fallimento della Mobas è da attribuire ai calcoli sbagliati sul fabbisogno di biomasse dei digestori. I terreni e la produzione di trinciato non bastavano, si dovevano acquistare biomasse sul mercato a caro prezzo e l'indebitamento ha completamente "mangiato" la quota della Mobas nelle srl che gestivano le centrali. GianMario Bana, assunto il controllo della società, l'ha posta in liquidazione. E si è dedicato a più sicure speculazioni. Sui pascoli.

Pascoli dell'Alben

Un'attività di affitto pascoli a largo raggio
Prendendo in esame solo la traccia pubblica (on line) delle vicende di Bana si incontra, tanto per cominciare, una sua partecipazione alla corsa agli affitti degli alpeggi oltre che in Lombardia Piemonte. Nel 2014 la Burnigaia partecipa all'asta per l'affitto della malga Valli piane nel comune di Lozio (val Camonica). Partecipano l'azienda Viskorska di Udine (una società  protagonista, con altre riconducibili al medesimo "sistema", della corsa ai pascoli d'oro), la Burnigaia di Bana e un allevatore locale. Quest'ultimo offre 5000 €, la Viskorska 7.800 e Bana 17.000. Dal momento che i pascoli erano gravati da uso civico e che l'aggiudicazione nel bando era riservata  prioritariamente alle aziende locali, nonostante le rimostranze, messe a verbale, di GianMario Bana, l'alpeggio venne aggiudicato all'az. agr. Maisetti Francesca con sede a Lozio. Nello stesso mese di aprile del 2014, Bana partecipa anche alla gara per l'aggiudicazione dell'alpeggio Monte Alben in comune di Cornalba in val Serina (Bergamo). Bana offre, come suo solito, una cifra esagerata: 20.800 €. In questo caso l'allevatore locale che gestiva l'alpeggio può esercitare diritto di prelazione, ma solo se offre una cifra pari all'offerta più alta. Il Carrara, per non perdere l'alpeggio, accetta di parare  20.800 €. Ovvio che tutti o buona parte dei contributi se ne vanno per pagare l'affitto. Ringraziando Bana.
 L'area di azione della Burnigaia si è estesa anche al Piemonte. Nel 2017 la società di Bana, incassa 1.400 € di indennità compensativa per gli agricoltori di montagna (ovviamente ci saranno stati anche i ben più lucrosi premi per i titoli Pac). Come ha fatto? Prese in affitto l'alpe Colla di Chionea in comune di Ormea (Cn) aggiudicata in data 18 giugno 2015 alla soc. agr. Burnigaia con canone annuo di euro 10.550,00, largamente superiore alla media degli affitti della zona. Il contratto veniva poi rescisso il 20 aprile 2016 dal comune di Ormea per mancata corresponsione del canone di affitto da parte della Burnigaia. Dal 2016 Bana e la sorella minore Jennifer sbarcano a Cimbergo e Paspardo e si aggiudicano due alpeggi. I comuni, i sindaci, di fronte ai soldi non vanno per il sottile. I Berasi (noti protagonisti degli scandali sui pascoli in Trentino), i Bana, vanno bene, basta che paghino (ma non sempre lo fanno) gli affitti.  Le vicende di Paspardo e Cimbergo sono aperte (e sotto la lente della Procura di Brescia).

Pascoli di Ormea

L'origine della speculazione
Può sembrare paradossale ma le speculazioni hanno subito una recrudescenza con la riforma della Pac (Politica agricola comune) per il periodo 2014-2010. Non che prima non esistesse il problema. In realtà è dal 2005, con il cambiamento del sistema dei pagamenti diretti e con l'entrata a regime dei titoli (diritti slegati da un terreno determinato e "appoggiabili" a qualsiasi superfice ammissibile), che si innescano i fenomeni speculativi sui pascoli. I pascoli montani sono caratterizzati da ampie superfici e, sino ad oggi, a causa della scarsa produttività, erano affittati per pochi soldi. In un sistema dove è premiato l'ettaro in sè, indipendentemente dalla sua produttività, dalle ore di lavoro che richiede, è ovvio che partano le cordate per abbinare i titoli ai pascoli. Dal 2015  la graduale eliminazione della  differenza dei premi a superficie tra regioni  e tra produzioni (la "convergenza" da realizzare entro il 2020), avrebbe dovuto favorire la montagna rispetto alla pianura, la zootecnia estensiva rispetto a quella intensiva. Se in val d'Aosta un titolo valeva 60 € nella pianura irrigua lonbarda ad indirizzo zootecnico intensivo valeva 500. Il vantaggio per la montagna avrebbe dovuto rafforzarsi sulla base  della maggiorazione del 50%  legata al "greening" (le condizioni ecologiche) che è molto più difficile da realizzare in regioni agrarie di pianura dove prevalgono grandi campi di seminativi, dove è richiesta la diversificazione delle colture e la cerazione di spazi "naturali" rispetto ai pascoli di montagna che sono green automaticamente.  Ma allora perché molte aziende piccole ed estensive di montagna maledicono  gli sviluppi recenti? Perché a sfruttare i vantaggi della montagtna ci hanno pensato gli speculatori e alcuni grossi imprenditori della pianura.
Il mercato dei titoli
I titoli sono diritti a percepire un premio per 1 ha di superficie. Il valore base nazionale è attualmente di 217,64 euro/ha (più 50% per il greening, sempre applicabile ai pascoli). Al secondo anno di mancato utilizzo i titoli si perdono. Se si vende un terreno, o se si perde un contratto d'affitto, le superfici perse non consentono più di abbinare i titoli a superfici aziendali e non è più possibile inoltrare la domanda per i premi. Se il contratto di affitto non è rinnovato, e il titolare dei titoli non acquista terra o stipula un nuovo contratto di affitto, perde i titoli; allora gli conviene venderli a chi ne è privo o a che ne vuole fare incetta per rivenderli o per accumularli. Per queste ragioni il mercato dei titoli è attivo: molti vogliono vendere, molti vogliono comprare. Chi acquista titoli ha bisogno di superfici. Quale sono le superfici che costano meno (sia in termini di acquisto che di affitto)? I pascoli magri di montagna, ovviamente. Così è partita la corsa. I pascoli di montagna sono una pacchia per gli speculatori che ragionano solo in rendimento finanziario dell'investimento perché i requisiti per incassare i premi sono anche quelli che comportano i costi minori. Il costo di acquisto di un titolo si ammortizza in un anno (in un anno e mezzo al massimo), poi si passa all'incasso negli anni che restano. Vero che il regime in vigore cessa nel 2020, ma tutto lascia ritenere che il sistema sarà rinnovato, anche se con premi ridimensionati. Aggiungasi che l'Italia ha adottato il sistema di convergenza "all'Irlandese". I premi non si pareggeranno del tutto al 2020, ma ci saranno, a quella data, ancora premi pari a solo il 60% del valore base nazionale mentre la riduzione dei premi più alti risulterà, al massimo, del 30%. Da qui al 2020 chi ha appoggiato i suoi titoli alti ai pascoli ha fatto un affare. Gli speculatori, molto più facilmente degli allevatori di montagna, possono avere tanti titoli e titoli alti. Così sparano facilmente offerte di 20 mila euro di affitto annuo per un alpeggio.

Pascoli in Abruzzo. Non pochi speculatori del Nord Italia si sono accaparrati pascoli in Abruzzo

La politica agricola europea non chiede a chi incassa i premi di produrre, ma di esercitare pratiche (anche non agricole) tali da mantenere in buone condizioni agronomiche le superfici, mediante una "attività agricola minima" o "attivitò tradizionali". Si chiede però di provocare benefici per il clima e l'ambiente. Se nel caso dei pascoli è richiesto un minimo pascolamento (0,2 Uba / ha) , 60 giorni di pascolamento (ridotti a 45 dalla sciagurata deroga della Regione Lombardia), nelle aree protette (Natura 2000 e  simili) il requisito è assolto... non facendo nulla. E il contribuente paga le tasse...
Giova, però, ricordare che la pratica agronomica utilizzata deve essere idonea a:

a) prevenire la formazione di potenziali inneschi di incendi;
b) limitare la diffusione delle infestanti;
d) non danneggiare il cotico erboso dei pascoli con il sovra sfruttamento o la sottoutilizzazione.
Tutti quesi pascoli che gli speculatori lasciano incolti o che sono solo sommariamente pascolati e che diventano arbusteti, distese di felce aquilina, che si coprono di erbe alte, che seccando diventano ottimo combustibile per gli incendi non sarebbero in regola. Sono in difetto loro e tutto l'appartato di controlli che si mette le fette di salame sugli occhi trincerandosi dietro le "carte in regola".
Anche nei casi meno eclatanti  gli speculatori caricano (o fanno caricare da terzi) con un numero di capi insufficiente a prevenire nel corso degli anni una successione vegetazionale negativa, ovvero a trasformare il pascolo in cespuglieto o comunque a evitare la regressione delle buone foraggere e il numero di specie erbacee presenti. L'esperienza di questi anni insegna che la speculazione organizzata cerca di gestire il massimo di ettari per incassare centinaia di migliaia di euro senza fare nulla,  girando carte e animali intestati, capi della transumanza o collegati a stalle di comodo,


Superfici aziendali moltiplicate e  direttiva nitrati
Agli speculatori puri i pascoli, compresi quelli magri e sassosi, fanno gola, essi fanno gola. Ma li cercano avidamente anche le grandi aziende della pianura, "Appoggiando" titoli pac sui pascoli si ampia surrettiziamente l'azienda quale collettrice di contributi facili, ma anche ai fini del suo "riequilibrio ecologico". Le aziende zootecniche che non rispettano la direttiva nitrati, ovvero che allevano troppi suini e tori da carne o vacche da latte rispetto alle superfici coltivate, con l'affitto dei pascoli montani hanno una comoda scappatoia per sfuggire alle norme sull'impatto ambientale. Specie considerando che l'ampliamento delle aziende in pianura si scontra con prezzi della terra e degli affitti della terra gonfiati da un mercato dei fondi condizionato da fattori extra-agricoli.  Così non poche aziende "spalmano" (sulla carta) la produzione di reflui zootecnici sui pascoli di carta. Nella finzione amministrativa il carico inquinante è ridotto in forza di una maggiore superficie ma neppure un litro di liquame vien trasportato in alpeggi distanti. La burocrazia e i tecnici che compilano i piani fanno finta di crederci.

1 - continua.


 

 

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