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Conoscere gli alpeggi



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Introduzione storica
 

Una realtà marginale?

Dietro l’immagine pacifica e un po’ bucolica degli alpeggi vi è una realtà a volte molto diversa, che merita di essere approfondita. Con una certa sorpresa scopriremo che gli alpeggi sono tutt’altro che una realtà “fuori dalla storia”.

La storia degli alpeggi è marcata da processi storici di lungo periodo (la “ruralizzazione” dello spazio alpino nella preistoria, lo sviluppo e il declino delle strutture della società rurale) ma è altrettanto veroche esso è stato protagonista di avvenimenti riconducibili a ben definiti “passaggi” storici: la formazione dei comuni rurali (nel XIII secolo), il trasferimento delle proprietà collettive dagli “antichi originari” al moderno comune politico (all’inizio del XIX secolo).

Il loro possesso degli alpeggi ha interessato personaggi tra i più potenti delle rispettive epoche (i vescovi e i grandi monasteri tra VIII e X secolo, i grandi feudatari dei secoli successivi). Molto spesso la loro è stata una storia tutt’altro che pacifica: comunità e signori feudali non hanno esitato a far scorrere il sangue per accaparrarsi i diritti sugli alpeggi. Le razzie di bestiame sugli alpeggi non sono solo un ricordo di epoche remote ma sono state praticate sino alle soglie dell’età moderna.

Tanto interesse e tanti conflitti (legali per lo più) non fanno che sottolineare l’importanza dell’alpeggio che oltre a costituire un elemento chiave per l’economia di sussistenza delle comunità alpine ha prodotto nel corso della storia anche molte rendite a beneficio di ricchi proprietari e intermediari e molti profitti per appaltatori e imprenditori.

Ma l’alpeggio ha significati che vanno al di là dell’economia. In epoca proto-storica i gruppi che componevano le antiche i gruppi tribali utilizzavano in comune i pascoli alpini e qui celebravano, in forma sacrale, le ragioni della loro unità. In epoche più vicine a noi gli alpeggi hanno rappresentato un patrimonio comune alle diverse “terre” che costituivano le comunità di valle e poi delle squadre o vicìnie in cui erano divisi i comuni.

Il grande valore simbolico degli alpeggi deriva da questo loro costituire un elemento di appartenenza comune, rafforzato dalle numerose lotte sostenute per difenderli dalle mire di comuni vicini e dagli immensi investimenti di fatica e di denaro destinati alla loro bonifica e miglioramento.

L’alpeggio non è però solo una risorsa simbolica e una preziosa testimonianza, ma rappresenta anche un patrimonio prezioso da destinare anche a nuove funzioni economiche, sociali e culturali. Elemento chiave di una fruizione “dolce” della montagna, l’alpeggio può rappresentare per le comunità locali anche un motivo di coesione e di riferimento valoriale e identitario.

L’alpeggio: un tempo (variabile)

L’alpeggio consiste nel trasferimento, per l’intero periodo estivo, del bestiame e di personale su determinate aree di pascolo dotate di ricoveri per uomini e animali, nonché di locali per la lavorazione del latte e la conservazione del latticini. L’alpeggio coincide solitamente con i tre mesi di giugno, luglio ed agosto (per una durata “classica” di 80-90 giorni). A volte può ridursi a soli due mesi, come a Livigno, in altri casi, come nelle condizioni delle Prealpi, può estendersi a quattro mesi. La durata dell’alpeggio è però più espressione del sistemi di gestione che di differenze di condizioni ambientali. Spesso una parte del bestiame di proprietà del “caricatore” ( l’affittuario-imprenditore) o dei pastori si tratteneva ancora per parecchi giorni dopo lo “scarico” delle bestie dei piccoli proprietari (stáa indrée). In alcuni casi si praticava il “mezzo alpeggio” (mezza paga); in bassa Valcamonica i proprietari delle bovine a volte le facevano scendere al 25 luglio (S. Giacomo) a pascolare i maggenghi di “mezza montagna” (maggengo = prato-pascoli di proprietà privata con piccole stalle e fienili).


e … un luogo


Per estensione si definisce “alpeggio” (sinonimi: alpe o malga) anche un luogo. Vediamo alcune definizioni: “[...] il significato di Alpe in ciascun paese delle Alpi è quel luogo in cui nella stagione estiva si raccolgono le bestie bovine, ed altre, le si mungono, si fabbricano i formaggi” (Documento del 1835 dei Deputati - sorta di giunta comunale - di Casasco, Co); “[...] la massima parte dei comuni possiede dei pascoli estesi sui monti con stalle, qualche casolajo, ed una fontana nel mezzo. Questi luoghi che si chiamano alpi, vengono affittati dalle comuni, o dai particolari possessori ad uno o più alpieri per uno o molti anni” (Melchiorre Gioia, 1804).

Alla definizione di alpeggio è sempre stata associata una certa ambiguità. Il già citato documento di Casasco è, a tal proposito, emblematico. In esso l’alpe è identificata con i fabbricati, ma … anche con l’insieme di fabbricati e di pascoli: “[…] tali luoghi si compongono di una corte detta barco, di casine dette casere, ed anche di altri edifici come sostre, stalle, caselli, nevere. […] L’insieme della corte o barco degli edifici e dei pascoli […] costituiscono uno stabilimento che pur chiamansi alpe”  A volte è prevalsa una definizione che mette l’accento sui pascoli:  “Piu su trovansi gli alpi, pianori rivestiti di folte erbe sustanziose e fragranti, che l’inverno restan coperte di neve” (C. Cantù, 1858).


Usi linguistici


La denominazione dell’alpeggio varia anche nell’ambito delle stesse Alpi lombarde. Nella parte orientale, in sintonia con quanto accade in Trentino, gli alpeggi sono indicati come “malghe”.  Questa denominazione interessa la Valcamonica e le valli Bresciane, le bergamasche val di Scalve e val Borlezza e, in parte, anche l’alta Valtellina.  Nel resto della Lombardia gli alpeggi sono, invece, definiti “alpi” (al femminile). In Canton Ticino e nelle limitrofe valli comasche del Lario e del Ceresio l’“alpe” è di genere maschile (plurale “gli alpi”).

Il termine “malga” indicava anticamente la mandria (o gregge) di animali da latte; tale uso è rimasto vivo in gran parte dell’area occidentale e nelle valli bergamasche. A completare il quadro degli usi linguistici locali va segnalato che, nelle valli bergamasche (ma, spesso, anche in Valtellina), i toponimi che più frequentemente indicano il centro dell’alpeggio non sono “Alpe di …” e “Malga di …” ma “Casera di …” e “Baita di …” (spesso al plurale). Le denominazioni utilizzate nelle parlate locali per definire l’alpeggio sono aalp (area lariana, Valchiavenna, parte della Valtellina); altrove prevale la voce muunt (con le varianti moont, mut, muntagna).


L’alpeggio quale insediamento umano


L’alpeggio rappresenta un’azienda agricola “stagionale” ma anche un vero e proprio insediamento umano, sia pure temporaneo. Come altri insediamenti rurali può assumere forma isolata (analogamente alle cascine della pianura) o aggregata (“a villaggio”).

Un alpeggio è una realtà organica e autosufficiente, in grado di risolvere i problemi di approvvigionamento idrico ed energetico. Oltre ai fabbricati vi sono delle fontane o laghetti artificiali per l’abbeverata del bestiame e vi era sempre la disponibilità di aree boscate dove poter tagliare la (non poca) legna necessaria per la lavorazione del latte.

Alcuni alpeggi si trasformarono nel tempo in abitati permanenti (es. Madesimo in val S. Giacomo, Gerola alta in Valgerola). Nel XVIII secolo in seguito alla recrudescenza della “piccola era glaciale” (tra XVII e XIX secolo) alcuni abitati permanenti “retrocedettero” ad alpeggicome nel caso di S. Sisto e Mercadèl (entrambi a quota 1.800 m) in comune di Campodolcino (val S. Giacomo). Più frequente il passaggio da maggenghi  ad alpeggi (e viceversa). In anni recenti la crisi dei maggenghi ha spinto a “recuperare” i maggenghi limitrofi agli alpeggi quali “stazioni basse” di questi ultimi.

 







 

 

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