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COMUNICATO. RIPARTE LA CAMPAGNA DI AZIONARIATO POPOLARE A SOSTEGNO ALLO STORICO RIBELLE (EX-BITTO STORICO)

Dopo il cambio di statuto per divenire Società Benefit, secondo la nuova legge in vigore dal 1 gennaio 2016, la Società Valli del Bitto riapre la campagna di azionariato popolare. Società benefit è quella che non mira solo al proprio utile ma a vantaggi per la società, il territorio, l'ambiente.La Società Valli del Bitto punta solo alla sostenibilità economica e non al lucro. Senza di essa non potrebbe conseguire i propri scopi che sono in primo luogo garantire - attraverso la valorizzazione economica - la sopravvivenza del formaggio "storico ribelle" (ex-bitto storico) con tutto il suo sistema di produzione in alpeggio che rappresenta un monumento di cultura e di biodiversità. Lo "storico ribelle" è Presidio Slow Food, il presidio che - a detta di Slow Food - incarna forse al meglio il principi del cibo "buono - pulito - giusto". Tutti possono partecipare a questa Società che incarna l'ideale dell'agricoltura etica sostenuta dalla comunità che, a sua volta, sostiene il territorio. Sottoscrizione minima 150€ ( massimA 20 mila €). Ai soci viene riconosciuto un "dividendo etico" in natura pari al 2% del capitale sottoscritto. Per sapere come associarsi:

TEL. 334 332 53 66

info@formaggiobitto.com

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Articoli per argomenti 

ex-bitto storico

Il Dizionario del bitto ribelle (III)

di Michele Corti




Parte III (M-Q)


M. Màlga , Madre, Maestri, Mangime, Marchio, Maschèrpa, Mascherpèra, Medaglia, Meditazione Mezzoldo Millesimo, Mostra, Muunt, Museo 

N. Nuovo

O. Occhiatura, Originale, Orobica, Orobie

P. Pace, Passo, Patriarca, Patrimonio, Pellegrini, Pizzo, Precursori, Presidio, Prezzo etico, Prìncipi, Priula, Puri

Q. Quantità


VAI ALLA PARTE I (A-C);   PARTE II (D-L)  PARTE IV (R-Z)

Màlga = la mandria/gregge di bovine/capre da latte riunite in alpeggio.

Madre (val) = Una delle valli orobiche valtellinesi dove,in diversi alpeggi, si produceva bitto.

Maestri = La famiglia Ciapponi resterà per sempre legata alla storia del bitto che ha saputo valorizzare nel corso di un'attività iniziata nel 1954 quando Paolo ed Emilio Ciapponi rilevarono il negozio di Carlo Ghislanzoni, in piazza 3 novembre,  attivo dal 1885. A Paolo - che aveva iniziato la sua carriera da garzone del negozio - sono succeduti i fratelli Primo (morto nel 2016) e Dario, il grande maestro del bitto. Ancora attivo Dario, il negozio - oggi divenuto una 'istituzione' e  la principale meta turistica di Morbegno - è gestito da Paolo, figlio di Primo) e da Alberto(figlio di Dario). Le forme di bitto con le annate vergate a mano sul piatto (l'indicazione degli alpeggi - che da diversi anni caratterizza anche le forme esposte dai Ciapponi - è invece recente e merito della Società valli del Bitto che ha introdotto l'impressione sullo scalzo del nome dell'alpeggio dopo la rottura con il Consorzio ufficiale nel 2006). Al di là delle vetrine con le forme allineate in ordine di età i Ciapponi sono stati veri maestri di stagionatura. Spiace vedere oggi esposte all'ammirazione nelle vetrine dello storico negozio, insieme a forme dei produttori ribelli(la Società valli del bitto ne ritira la maggior parte dellla produzione ma non è ancora  in grado di farlo di  farsi conferire la  totalità della produzione) insieme a forme premiat alla Mostra del bitto (dei mangimi) ottenute con latte di bovine che ricevolo una generosa  'integrazione al pascolo' trasportati sull'alpeggio a quintalate con l'elicottero. 

Mangime = Corrado Barberis, quando era presidente dell'Istituto nazionale di sociologia rurale si espresse i questi termini a proposito dell'uso dei mangimi negli allevamenti alpini   "...le province alpine possono superare il loro handicap nei confronti della pianura o uniformando le proprie tecniche produttive a quelle della pianura stessa (in questo caso i mangimi giocano un ruolo strategico) o esaltando i caratteri specifici del proprio ambiente, attraverso una valorizzazione dei prodotti tipici, destinati ad un mercato di qualità. Sono evidenti le ragioni ecologiche e culturali che rendono preferibile questa seconda soluzione, ma sono pure evidenti le ragioni che rendono più facile la prima".  Non immaginava che il mangime, a camionate e a elicotterate, sarebbe arrivato anche sugli alpeggi. Lo scontro tra le esigenze di qualità (ma anche di tutela di valori ecologici e culturali) divenne aspro quando il nuovo disciplinare del bitto dop, approvato a livellonazionale nel 2006, introdusse la possibilità di somministrare a ciascuna bovina alpeggiata sino a 3 kg di sostanza secca di mangimi al giorno. Si diceva che la qualità del latte e del formaggio non ne risultasse alterata. Una serie di studi sperimentali dimostra che basta un'integrazione anche molto più modesta per modificare la qualità del grasso del latte e quindi quelle del formaggio. Anche un panel di assaggiatori alla cieca del bitto dop ha individuato differenze significative tra formaggi ottenuti in alpeggi senza integrazione di mangime e quelli con (F. Gusmeroli, G.P. della Marianna, S. Erini, 2011). La somministrazione del mangime alle bovine in alpeggio determina  non solo una diversa qualità del latte (e del formaggio) perché aumentano i grassi saturi a corta catena a spese di quelli lunghi, insaturi che - oltre alla loro valenza salutistica - garantiscono una maggiore morbidezza nel formaggio, chiave di una stagionatura di anni. Però vi è amche una conseguenza sul pascolo. Il mangime è apportatore di amido (proveniente da i cereali) e, nel rumine, della bovina, ciò comporta una modifica del pH (acidità) per la più facile e rapida fermentazione dell'amido stesso rispetto alla cellulosa (molecola complessa che i batteri del rumine impiegano più tempo a 'smontare'). Una rapida fermentazione, con evoluzione di acidi grassi volatili, è meno efficacemente tamponata dai sali tampone della saliva (bicarbonato di sodio e magnesio) con il risultato che il pH scende e l'ambiente ruminale diventa subottimale per l'attività e la proliferazione dei batteri cellulosolitici, capaci di digerire la cellulosa di cui sono costituiti i tessuti delle piante (oltre allo scheletro di lignina che è indigeribile ai batteri del rumine ssendo specializzati per questo solo quelli simbionti delle termiti) . 'Lavorando' meno afficacemente i cellulosolitici impiegano più tempo a digerire la cellulosa dei tessuti vegetali e, di consegenza, essi permangono più tempo ne rumine prima di passare all'abomaso (lo stomaco 'vero'). Ma se il rumine non si svuota il 'pancione' non si sgonfia e come, nel caso degli animali monogastrici -uomo compreso - la pancia piena, attraverso l'azione di specifici ormoni, 'inibisce' i centri cerebrali della fame. Così l'animale mangia meno erba, pascola meno e con bocca 'meno buona'. Le conseguenze soni due: la prima il mangime somministrato non si trasforma in latte perché per ogni kg di mangime in più diminuisce di qualche etto almeno  l'ingestione di erba di pascolo, la seconda - più importante, consiste nella riduzione delle ore di pascolamento, nel trascurare le zone di pascolo meno appetitose. Così nelle zone di pascolo più 'comode' dove  le bovine 'viziate' dal mangime concentrano la loro attività (e dove è più facile sistemare i carri di mungitura) il pascolo è sin troppo utilizzato e rischia - con il sovraccarico di nutrienti indigeriti provenienti dal mangime che si sommano al riciclo di quelli dell'erba di pascolo - di eutrofizzare il terreno, premessa alla proliferazione della ben nota 'flora dei riposi', dove troneggiano le slavazze (Rumex alpinus). Nelle aree  'marginali' il sottopascolamento, con la riduzione delle restituzioni di fertilità (azoto, fosforo e altri minerali con le feci e le urine), il pascolo vede rarefarsi le buone foraggere, disincantivando - come in un circolo vizioso - la frequantazione di  animali pascolanti. Così dalle cattive foraggere si passa ai piccoli cespugli, poi a quelli più grandi. E quando il pascolo è invaso dai rododendri è perso. La soluzione? Utilizzare razze da montagna a duplice attitudine che riscono a produrre senza perdere peso. "Ma poi in stalla?". L'allevatore non plagiato dall'industria (che ha interesse a comprargli il latte a pochi cent e a vendergli tanti integratori, mangimi, macchinari, attrezzature, seme di tori 'super')  sa che  il reddito non è proporzionale al latte munto e che con un numero  'sostenibile' di capi non 'spinti' si rifucono anche le spese, si può lavorare con maggiore attenzione e soddisfazione e concentrarsi sulla qualità del prodotto e sulla sua valorizzazione che, in un'epoca di  comunicazione,  vale più  del fattore 'quantità'  (tanto più che è difficile competere con  stalle di pianura di 1000-2000 frisone). Lo 'storico ribelle' rappresenta la punta di diamante della visione 'qualitativa' e il tema mangimi in alpeggio, per la produzione del bitto è diventato, giustamente, uno dei suoi cavalli di battaglia.

Marchio = Il bitto ribelle ha abbandonato l'uso di marchi impressi sulle forme nel 2006 quando il Ministero delle politiche agricole diffidò dall'utilizzare il marchio a fuovo 'Valli del Bitto' che era stato autorizzato con un accordo siglato dalle istituzioni provinciali (Provincia, Comunità montana di Morbegno, Ctcb, Coldiretti) nel 2004 dando attuazione ad un accordo del 1996. Dopo questa beffa si è intrapresa la strada delle forme siglate a mano con inchiostro di mirtillo perfezionando una pratica introdotta decenni prina dalla ditta F.lli Ciapponi di Morbegno.  Ogni forma che supera la selezione ed è quindi meritevole di essere 'storico ribelle' (sino alla stagione d'alpeggio 2015 'bitto storico') viene 'autenticata' a mano. Una forma rigorosa ma coerente di affermazione dell'artigianalità di un prodotto disponibile 'in numero limitato'. 


Enrico Colli (il casèr, impegnato nell'applicazione del marchio a fuoco nella vecchia piccola cantina del 'bitto valli del Bitto' a Gerola.

Maschèrpa = Ricotta grassa ottenuta aggiungendo al siero (lazzerun, serun), rimasto nella culdéra (vedi) dopo l’estrazione della cagliata, un secchio di latte di capra. La maschèrpa, mantenuta nei garòcc (vedi) per due giorni, una volta spurgato tutto il siero viene salata e mantenuta su assi di abete nellamaschèrpera. Quella del  bitto della tradizione (oggi 'storico ribelle') è particolarmente  qualitativa perché il siero contiene elevato tenore di grasso e perché  si continua ad aggiungere latte intero di capra.  Il grasso è elevato perché, con l'alimentazione esclusivamente a base di pascolo, la produzione è minore ma il titolo di grasso più elevato.

Miniatura della serie Tacuinum sanitatis (fine XIV secolo) 

La maschèrpa stagionata che si ottiene come 'sottoprodotto' del bitto storico ribelle è unica perché viene messa in vendita, anche dopo sei mesi (e oltre) dalla produzione, sempre mantenuta in cantina naturale e non in cella a bassa temperatura. Un prodotto ancora più originale dello stesso bitto storico ribelle che rappresenta un vertice entro la categoria dei formaggi grassi d'alpe ben rappresentata anche da altri validissimi prodotti (basti citare il bettematt della val Formazza). Unico perché le ricotte stagionate sono molto salate (produzione del Sud Italia, o affumicate (produzioni alpine). Attraverso i suoi stati di maturazione la maschèrpa del bitto della tradizione assume diverse consistenze e gusti che si prestano alla realizzazione di molti piatti. Essa rappresenta anche una testimonianza storica vivente perché, per secoli, la ricotta (che, in buona parte della Lombardia e nel Piemonte orientale,anche in pianura e nelle città, era conosciuta come maschèrpa ) è stata prodotta mettendola in forma negli stessi garocc' (vedi) di legno che si usano tutt'oggi solo nell'ambito degli alpeggi del bitto della tradizione e aggiungendo un po' di latte intero al siero.

 

I mangiatori di ricotta. Vincenzo Campi, Cremona (1536-1591), I mangiatori di ricotta (Musée des Beaux-Arts di Lione)

Mascherpèra = il livello superiore della casera d'alpeggio tradizionale con aperture (strette feritoie strombate ) su tre lati per consentire il massimo della circolazione d’aria e quindi l’essiccazione efficace della maschèrpa.


Masino (val) = L'unica valle del versante retico valtellinese dove si aveva una produzione importante di bitto.

Medaglia = Tra i vari riconoscimenti del bitto (quello della storia) c'è una medaglia d'oro (primo premio) con croce al merito "au fromage gras type Bitto" vinto all'Exposition mondial des fromages che si tenne a Bruxelles nel 1933. Il formaggio era prodotto da Neftali Curtoni, caricatore d'alpe  ma anche segretario comunale e quindi in grado di destreggiarsi tra le pratiche che gli consentì di iscriversi all'esposizione inviando una cassa con tre forme. Le notizie raccolte da Cirillo Ruffoni aggiungono che, purtroppo la medaglia d'oro fu offerta "alla patria" e il diploma si perse in un trasloco. Fortunatamente rimane la croce al merito (sotto). 


 

Meditazione = Anche in questo caso l'accostare il bitto della tradizione (in questo caso quello che ha, come minimo 2-3 anni di invecchiamento, potrebbe sembrare irriverente. Ma non è affatto così, specie in questo caso. Innanzitutto c'è un filo che lega il bitto della tradizione a Luigi Veronelli, autore di questa definizione (come quella del 'prezzo sorgente'). Veronelli intendeva rivalorizzare i vini da 'fine pasto' (o 'dopo cena') sostituiti dai superalcolici includendo in questa categoria i passiti ma anche i vini austeri di lungo invecchiamento. Nulla a che vedere con i 'vini da dessert' ma un vino a sè così completo e concettoso da esigere di essere consumato per sè solo". Se la tecnica della meditazione consiste nella concentrazione su un oggetto cercando di eliminare tutte le interferenze che ci consentono di accortarci, con molto rispetto, ad un oggetto, di compenetrarlo perché considerare irriverente il riferimento alla meditazione? Il grande lavoro della natura e dell'uomo, il sapere sedimentato, condiviso, perfezionato che sta dietro un grande vino e un grande formaggio non meritano 'distrazioni' (accostamenti con altri cibi).  Un cibo può essere oggetto esso stesso di meditazione in questo senso o un aiuto alla meditazione su realtà che, anche nella sfera del cibo, possono essere profonde. Respiriamo (per fortuna) in modo automatico, ma il controllo della respirazionerappresenta una delle tecniche basilari di aiuto alla meditazione e persino alla base di tecniche estatiche . Troppo spesso mangiamo 'in automatico' pensando o facendo altro, in modo frettoloso e distratto. Così come l'aria che inspiriamo il cibo che ingeriamo rappresenta uno scambio vitale tra noi è l'ambiente, scambio materiale e scambio sociale ma anche spirituale come insegna la storia della maggior parte delle esperienze religiose in cui il cibo è alla base di pratiche rituali ed iniziatiche. No, non è una metafora lo 'storico ribelle' da meditazione. La rieducazione dei sensi, atrofizzati dalla manipolazione industriale del cibo (finalizzati a produrre a emozioni e sensazioni epidermiche e prevedibili  di soddisfacimento effimero) è operazione che va oltre la sfera edonistica. I sensi, tesi, alla contemplazione della complessità del gusto di un cibo, a riconoscere e discriminare il naturale dall'artificiale, rappresentano, attraverso le stimolazioni indotte dall'esercizio di gusto riflessivo (cfr E.Battaglini, "Il gusto riflessivo come ponte teorico tra produzione e consumo alimentare",  in E. Battaglini - a cura di - Il gusto riflessivo. Verso una sociologia del consumo e della produzione alimentare, Bonanno, Acireale-Roma, 2007, pp. 287-302 il mezzo di comprensione del mondo, di discrimine del bene, dei contenuti etici, attraverso la 'via del buono'. Aggiungiamo che la meditazione attraverso e sul cibo è cosa del tutto diversa dalla degustazione  finalizzata a individuare delle caratteristiche, adescrivere, discriminare, comparare. 

Mezzoldo = La località brembana con il maggior numero di alpeggi che, storicamente, producevano bitto e dove, prima dell'affermazione della Fiera dei Branzi a fine XVIII secolo, si commercializzava anche il bitto. Anche dopo l'affermazione della piazza di Branzi, con la fiera di San Matteo, a Mezzoldo continuavano ad essere immagazzinate le forme di bitto/branzi prodotte negli alpeggi della zona presso casere in località Castello. Oggi in due alpeggi di Mezzoldo si produce 'storico ribelle': Ancogno solivo e Cavizzola. 

Millesimo = Lo 'storico ribelle' ha aperto la via alla 'millesimazione' del formaggio. Nel mondo del vino i millesimati sono gli spumanti di grande qualità che sono ottenuti dalle uve delle migliori annate. Il prodotto della lavorzione di uve di annate diverse viene mantenuto separato nei millesimati a differenza delle meno pregiate cuvée dove la miscela compensa i difetti delle diverse annate. Lo 'storico ribelle' consente di allestire delle degustazioni verticali (vedi) con parecchie annate e di presentare nelle carte dei formaggi di ristoranti ed enoteche un offerta di formaggi con un ampio range di invecchiamento (vedi). L'annata è ricavabile dal bollo Ce impresso sullo scalzo ma anche dalla faccia in quanto le forme selezionate di 'storico ribelle' sono sempre vergate a mano con indicazione dell'annata di produzione.

Morbegno = La città del bitto. All'inizio del XX secolo, con la realizzazione della Casera sociale caricatori, e la prima Mostra casearia (non si chiamava ancora 'del bitto', però). Morbegno intraprese un programma consapevole per spostare da Branzi allo sbocco del Bitto la corrente commerciale del bitto. E ci riuscì, non solo grazie alle iniziative intraprese, ma anche in forza del decadimento 'spontaneo' del mercato dei Branzi (vedi). Negli anni '90 del secolo scorso Morbegno preferì non investire nel bitto. La dop venne trasferita a Sondrio e le amministrazioni locali si disinteressarono del l'ambito caseario (lasciato alle coop e agli enti settoriali). Si perse la politica di territorio, di sistema produttivo territoriale costruita quasi un secolo prima. Sintomatica di un certo atteggiamento la risposta sprezzante dell'ex sindaca Alba Rapella in occasione delle proteste, novembre 2009,  seguite alle sanzioni inflitte al Bitto valli del Bitto (per 'violazione delle norme sulle denominazioni di origine): "di bitto c'è n'è uno solo". Uno e indivisibile come la Repubblica Francese. Oggi a Morbegno il clima è cambiato, non tanto tra le istituzioni (in crisi profonda indipendentemente dal colore delle giunte) quanto nella società civile e lo 'storico ribelle' sta  operando per spostare almeno parte della sua operatività commerciale da Gerola, (dove l'amministrazione comunale e le organizzazioni nella sua orbita lo osteggiano),  a Morbegno dove gode crescenti simpatie, legate anche alla prospettiva di far conoscere la città del Bitto (torrente) come città dello storico formaggio. 


Mostra = La Mostra del bitto si fa  risalire, con non poche forzature, alla prima mostra casearia organizzata a Morbegno nel 1907. Dal 1908 le forme furono in mostra esposte nella Casera sociale (poi comunale) fino al 1994 quando il comune di Morbegno cedette la casera alla USL per la creazione di un centro diurno psichiatrico. Dal 1997 la Mostra si trasferì dal centro storico e, in particolare, dalla piazza Sant'Antonio al Polo Fieristico, realizzato con spirito di grandeur e anche come contropartita del trasferimento a Sondrio della sede del Ctcb e finito al centro di scandali di corruzione (la 'tangentopoli morbegnese'). Si svolge nella seconda metà di ottobre. Nel 2012 la mostra ha lasciato il Polo Fieristico per tornare nelle vie del centro storico, salvo poi tornare in parte al Polo dal 2015. La prima Mostra casearia di Morbegno risale a 109 anni fa ma non 109 edizioni, tantomeno se si considerano quelle intitolate al bitto. Essa ha subito molte interruzioni, e non solo in occasione delle due guerre mondiali.  La Mostra, tanto per cominciare,  si chiamò sino alla Seconda guerra mondiale Mostra casearia della Valtellina. Dopo vent'anni era arrivata alla VI (6a) edizione come documenta la foto dove si legge: ottobre 1937 anno XV (dell'era fascista), VI Mostra casearia della Valtellina.



 La seconda guerra mondiale provocò una lunga interruzione e la Mostra (questa volta si "del bitto") riprese agli inizi degli anni '60. Fate voi i calcoli quante ne sono state fatte
. Alla crescita dei visitatori è corrisposto l'annebbiamento del carattere originario dell'evento che ha solo pallidi riferimenti con il formaggio bitto. Tra gli anni '80 e '90 la Mostra era divenuta Mostra dei prodotti della montagna lombarda. Oggi l'evento fieristico ha assunto un carattere sempre più generico puntando al numero di visitatori.

Museo = Per il ruolo che ha assunto la particolarissima cantina naturale di stagionatira dell' 'storico ribelle' vedi 'santuario'. Ma di Musei del bitto si è parlato anche ad altro proposito di una 'compensazione' da offrire alla Valgerola. Renato Ciaponi, allora finzionario della Regione ed una delle 'menti' della dop in un articolo intitolato: " Bitto finalmente doc e a Gerola un museo etnografico", (Alpesagia,  luglio 1995 pp. 48-50)  spiegava produttori storici doveva essere sufficiente l'onore e  la soddisfazione morale di aver donato al resto della Provincia la loro tradizione. L'unico contentino che offriva  era un museo della tradizione per... imbalsamarla. " un museo dove la tradizione, la cultura, la tipicità potrebbero trovare il giusto riconoscimento per una valle dove il bitto è sempre stato protagonista". Ovviamente non si realizzò neppure il museo. Quando a Gerola è sato costituito dall'amministrazione comunale L’Ecomuseo della Valgerola  (delibera c.c. n. 16 del 02.05.2008) era previsto (ci mancava che così non fosse) il coinvolgimento delle associazioni, degli operatori e della popolazione. Il bitto che allora si  chiamava ancora 'Valli del Bitto' e la nuova casera del Centro del Bitto furono presentati, come fiori all'occhiello o come soggetti  attivi nell'Ecomuseo per ottenere il riconoscimento della Regione Lombardia. Peròstante la posizione contraria alla Società valli del Bitto assunta dal sindaco Fabio Acquistapace (in carica sino al 2013), che da azionista della Società stessa ha ripetutamente contestato la gestione della stessa tentando di sfiduciare il presidente nel 2011, non c'è mai stata alcuna partecipazione della casera all'Ecomuseo. Essa si è di conseguenza orientata ad essere museo di sé stessa, indipendentemente dal comune di Gerola e dall'Ecomuseo che ne è emanazione.

Muunt/mut = Così si definisce l'alpe pascoliva, detta anche alpeggio e altrove 'malga' (che qui, era - ed è inossidabilmente - la mandria o il gregge di animali da latte al pascolo)  nelle orobie (la forma mut è quella bergamasca, vedi Formai de mut). 

Nuovo = 'Nuovo bitto' è stato spesso definito, con ironia, dai ribelli il bitto dop

Occhiatura = Una caratteristica della pasta che discrimina spesso tra lo 'storico ribelle' e il bitto dop più banalizzato. Quest'ultimo, nonostante quanto sostenuto sull'uso dei 'fermenti starter' (che non altererebbero a detta dei 'modernizzatori'  la presenza di un ampio spettro di microrganismi attivi nella trasformazione della cagliata fresca e poi della pasta),presenta spesso paste sconsolatamente 'chiuse' ovvero del tutto prive di occhiatura o con pochi occhi non caratteristici (tondi) . A queste paste con aspetto poco caratteristico fanno riscontro gusti che rimandano ad altri formaggi (Emmenthaler per esempio). Questo è il difetto più grave per un formaggio che vanta una reputazione secolare di 're dei formaggi'. L’occhiatura non è mai un difetto in un formaggio artigianale prodotto da latte crudo, specie senza l'uso degli 'starter'. Un'occhiatura tipica è un pregio  perché è legata ad attività fermentative di diverso tipo in grado di produrre prodotti finali aromatici. Essa, però, ma deve essere abbastanza regolare, uniformemente distribuita nella pasta, in generale piccola (tranne che ovviamente nel caso dell’Emmental). Nel caso del bitto si faceva riferimento all' 'occhio di pernice'.  Se l'assenza di occhiatura è un grave difetto nei formaggi artigianali in generale, se l'occhiatura grande non è compatibile con lo 'storico ribelle' è abbastanza grave anche il difetto rappresentato dalla presenza di una occhiatura fine, uniforme ma molto diffusa. La pasta in questo caso non è omogenea e ciò viene avvertito durante la masticazione. Il gusto è alterato dai prodotti di alcune fermentazioni molto intense (in particolare acido propionico che conferisce il gusto dolce ma scialbo). Le cause sono da cercare nella scarsa qualità igienica del latte di partenza (presenza di batteri coliformi) e da una scarsa attenzione allo spurgo della cagliata. Un difetto che non può allignare nello 'storico ribelle' perché non compatibile con un formaggio di lunga stagionatura che deve essere perfetto. Necessita precisare che le forme con difetti non diventeranno mai 'storico ribelle' da invecchiamento. Se i difetti non sono gravi (non compromettono il gusto del formaggio di pochi mesi, ma si limitano ad inconvenienti estetici) il formaggio viene posto in vendita come 'seconda scelta'. 

Originale = È la vacca bruna originale, quella 'di una volta', altrimenti detto la verace 'bruna alpina', soppiantata, dagli anni '70 del secolo scorso, dalla cosmopolita brown swiss made in USA come conseguenza della corsa alla quantità, al produttivismo e di scelte dirigistiche dell'Anarb (l'associazione nazionale di razza), che decise di trasformare le attitudini della razza . L'affermazione della brown swiss, bovina super-specializzata, in grado di produrre grandi quantità di latte ma suscettibile di stress, se non adeguatamente 'pompata' con alimenti concentrati, ha rappresentato il cavallo di Troia per la 'modernizzazione del bitto'. Si sosteneva che le vacche 'soffrissero' per mancanza di mangime in alpeggio e che quindi sarebbe stato 'disumano' negarglielo (detto da chi non tiene in gran conto ecologia e benessere animale ma tutt'altri valori). Si aggiungeva che il mangime non modificava la qualità del latte e del formaggio. Una serie di ricerche svizzere, francesi, italiane dimostra, invece, che anche una ridotta aggiunta di mangime modifica in modo significativo la qualità del latte e del formaggio (in peggio, vviamente). Il ritorno della 'originale', ovvero della original braunvieh, in sigla OB, fa parte di una 'riscossa contadina' che ha compreso come razze, tecniche casearie, sistemi di allevamento, utilizzo delle risorse naturali sono un tutt'uno. Presidente dell'Associazione allevatori lombardi bruna originale è Alfio Sassella, vice-presidente del Consorzio salvaguardia bitto storico e il più rappresentativo dei ribelli del bitto. Difficile pensare a un legame più stretto tra  razza e formaggio. 

Orobie = La 'matrice' del bitto della storia che ha dovuto, per essere fedele, diventare ribelle. Tutto nello storico formaggio che oggi si fregia della denominazione 'storico ribelle' rimanda alle Orobie. Sono state le Orobie con la loro natura di area pastorale con pochissime possibilità di svolgimento dell'agricoltura, con il clima umido che favorisce la presenza di foreste e di boschi ma che ostacola la coltivazione, a far emergere la cultura pastorale 'forte' da cui emerge il bitto, carica di retaggi celtici e longobardi (una cultura quindi 'barbarica' e 'indipendentista' , poco addomesticata dalla romanità e dalle culture urbane della ripresa medievale). Ma il bitto della storia è assurto al prestigio indiscuso di cui godeva (e che gode ancora, grazie alla resistenza dei ribelli alla banalizzazione modernizzatrice) non solo perché era l'espressione di una fiera cultura pastorale. La costruzione secolare di una storia di eccellenza fatta di casari ben pagati, di alpeggi ambiti è frutto anche di una geografia che fa si che questo comprensorio pastorale sia stato al tempo stesso una ridotta alpestre ma anche un territorio di passaggio, di scambi di facile accesso ai mercati. La via Priula alla fine del Cinquecento consente di far arrivare il bitto a Bergamo attraverso una strada che per i tempi era una specie di 'superstrada'. Attraverso la via del bitto il formaggi arrivava a grande emporio di Lecco (dove arrivavano anche i formaggi svizzeri e austriaci via Spluga e Lario) e da qui per via fluviale (nel Settecento il naviglio di Paderno consente alle imbarcazioni di arrivare direttamente a Milano). Da Morbegno lungo l'Adda e poi sul Lario il bitto arrivava ai magazzini di stagionatura di Como (dove perveniva anche da Bellano dopo la discesa dalla Valvarrone). Favorito da questi plurimi accessi ai mercati il bitto, stagionato a Bergamo, Como, Lecco arrivava a Milano, Venezia, Roma. In questo modo, con un contatto ai mercati di lusso poteva remunerare sforzi produttivi e abilità decisamente superiori all'ordinario. 

Orobica = È la capra delle Orobie, la capra del bitto ribelle, detta anche della Valgerola ma l'origine è di certo comune alla Valbrembana dal momento che all'inizio del XIX secolo una stampa raffigura delle capre orobiche all'ingresso delle mura di Milanoc che molto verosimilmente (sulla base di documenti dell'epoca) provenivano da Carona. È  un simbolo del bitto della tradizione. Il disciplinare di produzione dello 'storico ribelle' erede unico e legittimo del bitto della storia prescrive che il latte da utilizzare per la caseificazione debba essere, nella misura del 10-20% di capra, ma non di una capra qualsiasi, bensì di capra orobica. Questa è una delle condizioni per mantenere un sistema che 'si tiene'. Dove non puoi per comodità o semplificazione cambiare un tassello perché tutto si è coevoluto insieme, Cose difficili da far capire ai produttivisti che si fanno forti delle rassicuranti certezze della scienza meccaniscista, in grado di orientare nell'ambiente di uno stabilimento industriale dove c'è solo la tecnologia, fuorviante quando ci si muove in un ambiente dove la cultura e la natura sono le determinanti principali. La capra orobica, robusta e grande pascolatrice utilizza una grande varietà di essenze erbacee e arbustive, mantenendo il pascolo bovino libero dall'invasione dei cespuglieti e arricchendo il latte di svariati composti (più un latte è ricco di principi derivati dalle piante o trasformati dal metabolismo dell'animale e più diventa una 'farmacia' dal momento che a basse concentrazioni  presentano proprietà biologiche positive anche composti che in dosi elevate sono tossici) . Rappresenta anche una cifra estetica con il  manto dal lungo pelo e dai colori variegati che si scompone ondeggiando mosso da vento quando la 'malga' si dirige alla mungitura caracollando scendendo i pendii nel suono fragoroso dei sampugn (i campanacci), oltretutto km 0, made in Premana (una delle ultime ditte rimaste in Europa).

Pace = 'pace del bitto' è stata definita l'accordo (poi rivelatisi 'bidone') siglato con solennità a Gerola il 10 novembre 2014. Gli impegni e i riconoscimenti erano altisonanti; il bitto storico veniva riconosciuto come: 'prodotto di traino dell'intera produzione di bitto e del comparto lattiero-provinciale. Ma gli impegni erano generici e ci vollero solo pochi mesi per capire la strumentalità di una 'pace' che mirava solo (al fine di ottenere finanziamenti) a presentare unita la Valtellina in vista dell'Expo 2015 a Milano. Vi fu uno strascico velenoso con le istituzioni che cercarono di nascondere le loro vere intenzioni addossando la responsabilità del naufragio dell'intesa a Paolo Ciapparelli che 'voleva troppi soldi dopo aver accumulato debiti'. In realtà venivano offerte cose inutili, che la Camera aveva già deliberato (come dei tavoli interattivi valutati cifre spropositate e che servivano solo alla promozione delle dopo e igp) mentre, in cambio, si sarebbe dovuto concede l'uso della Casera per ben sette anni al Ctcb e alla promozione ufficiale dell'agroalimentare valtellinese. Quanto alla presunta avidità di Ciapparelli, a fronte dele centinaia fi migliaia di euro spesi per dubbie iniziative promozionali a Milano, chiedeva poche decine di migliaia di euro che rappresentavano una parziale compensazione per l'aiuto fornito al comune di Gerola quando venne edificato il Centro del Bitto (vedi)  che è stato alla base delle perdite subite dalla Società a causa degli interessi passivi sui mutui.
Alla Coldiretti e al suo presidente provinciale, Marsetti, venne assegnato il compito di lanciare apertamente queste accuse. Gli altri si mantennero più defilati.



Passo = Per eccellenza è quello di San Marco, dove a 1.992 le Orobie valtellinesi e bergamasche si danno la mano e dove sorge l'antico rifugio della Cantoniera coevo della strada realizzata a fine XVI secolo dal capitano di Bergamo Alvise Priuli. Tutto qui parla di bitto. La strada attuale risale al 1966, la Priula al 1593. Sul versante valtellinese (valle del bitto di Albaredo) c'è l'alpe di Orta Vaga ('storico ribelle') dall'altra quella di Ancogno soliva (anch'essa dello 'storico ribelle'). La storia presidia il passo. Altri passi importanti per la storia del bitto sono quello del Verrobbio (vedi) e la bocchetta di Trona, ma anche i passi che collegano la val Tartano alla val Brembana (Tartano, Porcile).

Patriarca = ‘patriarca del bitto’ è indiscutibilmente Mosè Manni, non solo per ragioni anagrafiche (è nato nel 1933 ) ma anche per il suo ‘stile di alpeggio’ (con trenta calecc', la rottura a mano dello sterco bovino a fine alpeggio) e per il ruolo emblematico dell’Alpe Trona soliva che carica con i famigliari. Mosè, fratello di Eliseo, un noto casaro, ha perpetuato sino al 2014 la tradizione di una lunga dinastia di casari, caricatori, pastori. Orfano di padre, Mosé, ha iniziato a fare il cascin (vedi)   all'alpe Artino e poi a 25 Trona Soliva diventando da cascin (garzone) pastore e infine casaro. Con il tempo ha trasmesso i segreti del mestiere alla figlia minore Antonella che a 15 anni gestiva già da sola tutta la lavorazione, Mosè negli ultimi anni di alpeggio (poi per motivi di salute ha dovuto rinunciare) si è dedicato alla sua più grande passione: le capre. Da dieci anni, infatti, è capraio: munge le sue capre di razza orobica, le porta al pascolo, le recupera. Il 2016 è stato l'ultimo anno in cui la famiglia Manni ha caricato Trona soliva. La rinuncia è maturata per motivi famigliari.


Patrimonio = L’idea di patrimonio, per quanto declinata in termini culturali rimanda all’idea di proprietà. Il patrimonio è un complesso organico di elementi spirituali, culturali, sociali o materiali che una persona, una collettività hanno accumulato nel tempo. È comprensibile che i processi di patrimonializzazione siano  connessi al  diritto di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. Questo avviene anche nel caso di quei beni culturali particolari che sono i prodotti agroalimentari tradizionali. La definizione di un marchio, di una denominazione protetta rappresentano elementi di patrimonializzazione di un bene culturale quale il cibo. Ad essere patrimonializzati sono i saperi, le esperienze, le forme di organizzazione, le relazioni. Qualcosa di immateriale ma al tempo stesso molto reale che è legata a una comunità di pratica (vedi), ad un territorio. Al di là della visione riduzionista e settorialista dove gli unici attori delle 'filiere agroalimentari' sono gli imprenditori agricoli professionali, gli industriali della trasformazione, la comunità di pratica comprende chi conserva e tramanda la memoria storica attraverso apposite forme culturali o in modo informale, tutti i protagonisti delle pratiche commerciali, di cucina, consumo. Un prodotto alimentare che è 'bene culturale', 'patrimonio', componente dell'identità locale, al centro di una trama di relazioni, di produzione simbolica, di narrazione, non è 'competenza' di una filiera ma di una rete immersa nella trama della comunità. Le modalità di riconoscimento della dop bitto hanno rappresentato un 'esproprio patrimoniale'. Accusati di egoismo e di 'chiusura campanilistica', i rappresentanti della comunità del bitto della tradizione hanno subito la prepotenza e l'egoismo di chi ha patrimonializzato la denominazione senza aver concorso alla costruzione del patrimonio, sottraendola ad una comunità per assegnarla a strutture burocratiche ed economiche per nulla interessate al patrimonio come bene culturale ma solo al suo riflesso di capitale di reputazione da tradurre in valori di marketing, economici, svuotandoli del contenuto.

Pellegrini = I ‘pellegrini del bitto’ sono coloro che affrontano a piedi i percorsi a scavalco delle Orobie che conducono al Santuario del Bitto. Oltre alla ‘Via del Bitto’ (attraverso la val Biandino e la val Varrone) comprendono quelli della ‘Via mercatorum’ (l’antico percorso che da Averara risale la val Mora per scendere nella val Bomino – laterale di quella del Bitto di Gerola – attraverso il Passo del Verrobbio); il passo di Salmurano (da Ornica attraverso la valle di Salmurano e poi scendendo a Pescegallo Foppe); la Bocca di Trona (da Ornica risalendo la valle dell’Inferno e scendendo al Lago di Trona). Ma anche chi arriva al 'santuario del bitto' da altre regioni o altri paesi apposta per visitarlo, entra a buon diritto, nella qualifica di 'pellegrino del bitto'.

Pizzo = Il pizzo è quello dei Tre Signori. Anticamente Pizzo di Varrone assunse questo nome evocativo al tempo delle Tre Signorie che in questo punto, cerniera tra la catena orobica occidentale o lecchese (quella che scende sino al Resegone) e la catena orobica settentrionale. Il confine tra le tre signorie risale al 1512 (presa della Valtellina) mentre giaà dal 1454, con la pace di Lodi e la fissazione dei confini, qui passava quello tra i possedimenti dei duchi di Milano (allora estesi ancora a tutta la Valtellina) e la Repubblica di Venezia. Dal 1797, con la caduta della Repubblica di Venezia per opera di Napoleone il territorio intorno al Pizzo è tornato sotto un solo stato (nonostante i cambi di regime che hanno compreso tre regni e due repubbliche). Il pizzo ha grande valore simbolico perché qui convergono tre terre che, nonostante la fine dei confini statali, sono rimaste aggregate a tre provincie differenti (Sondrio, Como - poi Lecco, Bergamo). La riscoperta di una comune identità orobica, indicata palesemente dalla presenza di cognomi uguali sui tre versanti (che sottolinea la grande mobilità e scambio demografico dei secoli passati), le antiche consuetudine di portare i mori a seppellire in località dell'altro versante, le rispolverate relazioni intervallive in materia economica (miniere, ferro, formaggi), sono stimolo ad una politica di massiccio all'interno della quale il bitto ribelle è uno dei riconosciuti catalizzatori (specie sul versante lecchese e bergamasco, considerato che le istituzioni valtellinesi continiano a fare muro contro i ribelli).

Precursori = I precursori di chi ha custoditola tradizione del bitto sono coloro che in passato avevano cercato anch'essi di tutelare e valorizzare il bitto prodotto nella zona d'origine. Il 27 settembre 1970 veniva costituito a Morbegno, con sede presso il Municipio, il Consorzio volontario per il formaggio Bitto con il sostegno della Pro Loco Gerola. L’animatore del Consorzio era il dr. Antero Caretta, veterinario locale. Egli si adoperò per rilanciare la Mostra del Bitto ma, nel disinteresse dei produttori, la sua attività volontaristica non potè svilupparsi tanto che, gradualmente, sulla base di accordi tra Spafa (regione), Coldiretti e Colavev (il Consorzio produttori latte provinciale) la 'governance' del bitto venne trasferita a Sondrio e venne avanzata la richiesta di dop estesa a tutta la provincia. Nei suoi ultimi anni di vita Caretta con soddisfazione frequentava la Casera del Centro del bitto di Gerola dove aveva visto concretizzarsi quelle prospettive di valorizzazione del bitto della tradizione che, ai suoi tempi, erano sfumate per via di ben altri intendimenti della politica e delle lobby locali. Una foto di Caretta è esposta nella Casera.

Presidio = I Presìdi Slow Food nascono nel 1999 per iniziativa dell'associazione Slow Food per salgavuardare le piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire. Una finalità che non interessa solo i prodotti in sé ma anche il loro ruolo di valorizzazione di territori e culture. I Presidi recuperano antichi mestieri e tecniche di lavorazione, salvano dall’estinzione razze autoctone e varietà di ortaggi e frutta. Il Presidio Slow Food bitto valli del Bitto è stato costituito nel 2003 ha cambiato nome nel 2010 divenendo Presidio Slow Food bitto storico e poi, nel 2016, Presidio Slow Food storico ribelle. Ne sono responsabili Paolo Ciapparelli, presidente della Società valli del bitto, nonché del Consorzio salvaguardia Bitto storico e Maurizio Vaninetti, chef-patron dell’Osteria del Crotto di Morbegno. Slow Food considera il Presidio dei ribelli del bitto come un emblema del cibo "buono, pulito e giusto" e ha sempre rispettato le decisioni dei produttori non facendo mai venire meno il suo appoggio anche quando  lo scontro tra le istituzioni e il Presidio ha toccato momenti di grande asprezza. In uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel 2013 (Analisi della sostenibilità economica, sociale e ambientale di 44 Presìdi montani d’Europa, Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus, 2013) il Presideio di quello che era allora il 'bitto storico' si classificò al primo posto per gli indici di sostenibilità totale, di sostenibilità ambientale, e di sostenibilità sociale e culturale.


Prezzo etico = La Società valli del Bitto ha ritenuto sin dagli inizi che fosse necessario remunerare un prodotto a forte contenuto di artigianalità, che richiede competenza ma anche dedizione, con un prezzo etico, più elevato di quello di mercato ma tale da rendere sostenibile nel lungo periodo la produzione incentivando i produttori, i casari a lavorare con quell'attenzione , puntigliosità, capacità di adattamento alle circostanze che aveva fatto grandi i casari del bitto. La Società non è ancora in grado di ritirare tutta la produzione, ma l'acquisto da essa effettuato di buona parte di essa ha elevato di diversi euro al kg il prezzo (che resta comunque più basso) praticato da altri acquirenti. Il prezzo etico riconosciuto ai produttori non è stato ritoccato anche in presenza di perdite di esercizio. I soci, hanno preferito un ridimensionamento del capitale versato (il valore nominale delle zioni è sceso da 150 a 75 euro) piuttosto che venir meno alla finalità di sostegno etico a un sistema virtuoso di produzione che ha ispirato la Società.

Prezzo sorgente = Lanciato da Luigi Veronelli il 'prezzo sorgente' ha trovato una certa diffusione nel settore del vino ma è praticato da strutture di commercializzazione (coop e non solo) di altri settori agricoli. Il principio consiste nel far conoscere al consumatore il prezzo al quale il produttore agricolo ha ceduto il prodotto a chi lo commercializza e mette in vendita. Nelle filiere agroalimentari vi sono spesso più passaggi e questo rappresenta uno stimolo a ridurli perché l'aumento dei passaggi comporta la riduzione a una piccola frazione del prezzo sorgente rispetto a quello pagato dal consumatore finale. Nel caso della Società valli del Bittoche commercializza l'ex bitto storico, ovvero lo storico ribelle, il prezzo sorgente è dichiarato (nonostante la crisi e la deflazione è rimasto da anni pari a 15-16€ per kg di formaggio fresco consegnato a fine alpeggio alla Casera di Gerola). A differenza di una bottiglia di vino, però, che deve essere solo mantenuta in un ambiente idoneo, il formaggio non è un prodotti finito. Non solo perde peso ma richiede frequenti raschiature che, in una cantina naturale come quella di Gerola, possono divenire molto frequenti in caso di tempo piovoso molto umido con forte sviluppo di muffe sulle superficie delle forme. In ogni caso pulito e rivoltato quasi ogni giorno nei primi mesi e comunque più di una volta la settimana in seguito.Vi è quindi una fase di vera e propria 'produzione' che segue l'acquisto del prodotto da 1-2 mesi sino alla commercializzazione . Ciò nonostante il prezzo corrisposto al produttore è 'trasparente'. Come sono trasparenti i costi e i ricavi della Società che , in quanto spa, è tenuta a depositarli presso la Camera di commercio dove tutti possono chiedere le visure online.

Prìncipi = i Prìncipi delle Orobie rappresentano un'associazione di formaggi orobici: storico ribelle, branzi ftb, agrì di Valtorta, stracchino all'antica, formaggi di capra orobica, strachitunt. L'associazione, sorta in seguito ai contatti tra Paolo Ciapparelli e alcuni esponenti del mondo caseario brembano, persegue forme di promozione connesse con la valorizzazione turistica, in particolare escursionistica, del territorio. Il presidente è Alvaro Ravasio, di Taleggio, esponente dello strachitunt della val Taleggio e dell'azienda CasArrigoni.


Priùla = Una delle vie commerciali che hanno contribuito alla costruzione della rinomanza del bitto/branzi e, concretamente, a farne un prodotto di commercio a lunga distanza, sino a raggiungere Venezia.La via prende il nome  da Alvise Priuli, Podestà e Capitano di Bergamo. Egli fece realizzare la nuova via in tempi rapidissimi, tra il 1592 e il 1593. Fu un'opera  importante perché coincise con l'apertura di una via di traffico commerciale internazionale consentendo il trasporto con piccoli carri laddove prima potevano transitare con difficoltà solo i muli (lungo l'antica via mercatorum).  A parziale consolazione va osservato che, in analogia con le attuale italiche costumanze in materia di opere pubbliche già ai tempi di Priuli si verificava lo  'splafonamento' dei preventivi (da 2.000 a 8.200 ducati). Ma veniamo all'importanza storica rivestita a lungo dalla nuova Via. La sua realizzazione corrispondeva ad una esigenza strategica: evitare che le merci tra il centro-Europa e Venezia transitassero attraverso lo Stato milanese. In precedenza, data la difficile percorrenza dei vecchi tracciati brembani (che da Averara risalivano la Val Mora e conducevano verso il Passo di Verrobbio), le merci da Bergamo si dovevano dirigere verso il Lario utilizzando la comoda via d'acqua ma sottostando alla pesante tassazione milanese per poi proseguire per lo Spluga attraverso la Valchiavenna, anch'essa sotto il dominio Grigione.  La via Priùla, però,  non ebbe comunque mai il successo sperato dal suo ideatore e fu importante più per i traffici locali che per quelli a lungo raggio. Il suo declino avvenne con  il Congresso di Vienna che, unificando con quanto rimaneva dello Stato di Milano,  i territori lombardi precedentemente sotto dominio veneziano e grigione, decretò la fine dell'importanza commerciale della Via. La successiva costruzione, per opera dell'Imperial Regio Governo Lombardo-Veneto della  nuova via del Lago di Como e dello Spluga (anni '20)  consentì di percorrere per la prima volta la riva orientale del Lario e diede il colpo definitivo anche se - sempre in periodo Lombardo-Venteo vennero  eseguiti dei lavori per rendere il tracciato realmente carreggiabile (terminati, però, nell'ultimo tratto di discesa a Morbegno, solo a fine Ottocento). Da allora in poi la Via Priùla tornò ad essere un collegamento di interesse esclusivamente locale. Negli anni '60 del secolo scorso la realizzazione della strada carrozzabile del Passo di San Marco ha ridato una certa importanza (sul piano turistico) al collegamento tra la Val Brembana e la Valle del Bitto.Alvise Priuli curò direttamente anche la realizzazione del tratto di strada in territorio Grigione che dal Passo di San Marco conduceva a Morbegno. Tale opera venne completata in tempi successivi, ma comunque brevi, dopo il completamento del tratto brembano. Oltre che alle merci la Via Priùla rappresentò anche un'autostrada delle mandrie transumanti che si spostavano ogni anno tra la pianura lombarda e l'alta Val Brembana. I malghesi (ovvero i proprietari delle malghe, termine tutt'oggi utilizzato per indicare le mandrie e non gli alpeggi) non solo poterono raggiungere più comodamente i pascoli sul versante brembano ma approfittarono della Priùla per affittare alpeggi anche in Val Gerola. Un capitolo interessante della storia della transumanza e del formaggio Bitto che vedrà i malghesi brembani caricare gli alpeggi sul versante valtellinese ancora all'inizio del XX secolo.



Puri (e duri) = I ribelli del bitto sono stati definiti in diverse occasioni anche i ‘puri e duri del bitto’, così Francesco Arrigoni (Corriere della Sera) sin dal 2003 in un pezzo memorabile del Corriere e, quasi contemporaneamente, da Stefano Mariotti (Cheese Time ora Qualeformaggio). Oggi tende a prevalere l’identificazione (e l’autoidentificazione) con ‘ribelli’.


Quantità = L'argomento sostenuto in tanti anni di 'guerra del bitto' per giustificare la posizione delle istituzioni, schierate contro i ribelli, è sempre stato quello della quantità. Vero che diventano 'storico ribelle' solo 1000 forme (altre 1500 sono vendute direttamente dai produttori come 'grasso d'alpe' con il nome dell'alpeggio) e che le altre, quelle marchiate dop (che a questo punto diventa una certificazione di 'serie B') sono 70 mila. Se a Natale in Valtellina lo 'storico ribelle' viene venduto al doppio del bitto dop  all'avvicinarsi dell'anno di stagionatura la forbice aumenta con il bitto dop che, se ci sono scorte da smaltire, viene venduto a prezzi persino più bassi di quelli dell'inverno dato che, come gli stessi responsabili del Consorzio hanno certificato in sede didi 'pace del bitto' (vedi) il dop è da consumere entro un anno. Lo 'storico ribelle', invece, continua a salire dopo aver raggunto un anno, due, tre ecc. Non si parla di 'numeri' ma, comunque, di una 'punta' che fa parlare di sé. E crea trascinamento, compensando anche - e qui c'è tutto il paradosso della vicenda - un'immagine dell'agroalimentare Valtellinese tutto squilibrato (tolto il comparto enologico) a vantaggiodella quantità e a svantagio della qualità. Grazie ai vituperati ribelli o 'trogloditi' che dir si voglia anche il bitto delle 70 mila forme e il resto del comparto caseario (caratterizzata da industrializzazioen spinta) può godere di un differenziale di prezzoper un'immagine di 'montagna', 'tradizione' ecc. che, in buona misura è legata a quelle 1000 forme ribelli. 

Raspa = La raspa è lama utilizzata per pulire il formaggio; per espensione la 'raspa' è il 'truciolo' di formaggio che si ottiene come scarto.. Il bitto della tradizione si caratterizza per la forma sempre pulita, senza 'fioritura' di muffe ma nemmeno trattata con olio. Pertanto solo la cura viene effettuata rivoltando spesso le forme, con la strofinatura e la raspatura (con una lama). Un tempo con la 'raspa' e la polenta si preparava una balota che si mangiava in alpeggio dove ogni scarto era utilizzato (anche la muffa era utilizzata, per i maiali).

Resistenza = Nel caso dei ribelli del bitto le formule della 'resistenza casearia' e della 'resistenza contadina' sono utilizzate nella loro forma più piena e sincera. Sono espressione di una 'resistenza sociale' che si esprime in forme che vanno oltre il conflitto sociale classico, la protesta, aperta, le iniziative clamorose, la forma oppositiva, ma che assumono la forma della prassi quotidiana, della pratica, anche silenziosa,  di modelli alternativi a quelli dominanti.   Iniziò il battagliero periodico Cheese time di Stefano Mariotti a parlare di R. casearia sin dal 2006, proprio in corrispondenza della nascita della 'ribellione del bitto'. Cheese time continuò a mantenere una rubrica così intitolata. Slow Food istituì poi il premio R. casearia, consegnato nel 2011, 2013 e 2015, in occasione di Cheese a Bra. Nel 2013, il Patriarca del bitto (vedi), Mosè Manni, simbolo vivente del bitto della tradizione è stato insignito del premio con la seguente morivazione: "Premiamo Mosè Manni per la sua dedizione al bitto e alla sua valle. Mosè ha 80 anni e conserva un sapere antichissimo che, come altri grandi produttori delle valli del Bitto, non ha esitato a trasmettere e a condividere. Con Mosè Manni premiamo un grande maestro casaro ma con lui rendiamo omaggio anche a tutti i produttori del bitto delle valli storiche e al loro ultradecennale impegno per la sopravvivenza delle pratiche produttive tradizionali. Mosè non ha mai usato i fermenti, non ha mai nutrito con i mangimi, ha custodito con passione le sue capre orobiche che ogni estate, da quando era ragazzo, ha guidato alla malga. Oggi ha passato la sua sapienza alla nipote, per dare ancora un futuro al bitto della famiglia Manni." Ma cos'è questa resistenza? Qualcosa di romantico? di fanatico? Macché, è la condizione di sopravvivenza dell'agricoltura per non essere (completamente) inglobata nella dimensione e nella logica industriale. Dice Terry Mardsen (2007), che con van der Ploeg rappresenta quanto di più autorevole esprima la sociologia rurale (rural studies per gli anglofoni). "It's necessary to create a radical rupture with the agri- industrial processes. Agriculture must in a variety of ways, attempt to find new political, social and ecological platforms and spaces to distinguish itself from the conventional modernization processes that intend to continue to devaluate its base".  Se non è chiaro cosa significhi "devaluate its base" è sufficiente riflettere sul latte a 30 cent e sul formaggio a 3-4 € a togliere ogni dubbio. I ribelli del bitto danno un maledetto fastidio a tanti (nelle imprese agroindustriali, nelle istituzioni della politica, nelle agenzie parapubbliche, nelle burocrazie e nelle accademie) perché dimostrano che retrogradi sono i "modernisti", gli industrialisti. La resistenza contadina - incarnata dai ribelli del bitto - non è una forma di reazione, un'opposizione esclusivamente “difensiva” alla modernizzazione agricola. Non li combattono certo perché siamo perdenti (li lascerebbero morire da soli).

Retroinnovazione = Una forma di innovazione che si è affermata sia in agricotura che nell'industria. Essa rappresenta la forma specifica di innovazione in un contesto di resistenza rurale, ma la troviamo diffusa anche nel campo industriale, per esempio riproponendo oggetti di consumo caduti in disuso associati a nuove tecnologie. Un mix di nuove tecnologie e memoria. Una retro-innovazione è lo sviluppo di conoscenza e competenza, che combina elementi e pratiche dal passato con il presente e configura questi elementi per nuovi e futuri  propositi e si basa fondamentalmente sulla  conoscenza contestuale (Stuiver, 2006). La retro-innovazione valorizza la specificità culturale-storica-ecologica rappresentando uno strumento potente di differenziazione dai prodotti standard. Un modo, in soldoni, per "chiamarsi" fuori dallo stritolamento del mercato globale. Lo 'storico ribelle' rappresenta un campione di retro-innovazione, un caso da manuale. La retro-innovazione dello “storico” ha riguardato: il ripristino delle pratiche pastorali e delle strutture casearie tradizionali, la valorizzazione dei saperi contestuali, ovvero il 'saper fare' del casaro e del pastore nel contesto di una comunità di pratica', la valorizzazione delle risorse naturali (il 'culto dell'erba'), la biodiversità culturale (le razze autoctone, la stagionatura in condizioni di microclima non controllato artificialmente (una pratica onerosa che si giustifica solo se le forme che arrivano in cantina sono "retro-innovate", di elevata qualità all'origine e se ad esse vengono applicate cure attente, competenti, assidue, time-consuming).

Ribaltonisti = I ‘ribaltonisti del bitto’ sono i due ex sindaci di Albaredo e Gerola alta (rispettivamente Patrizio Del Nero e Fabio Acquistapace). Nel 2005, dopo aver sostenuto, con apparente entusiasmo, la causa del produttori storici, Patrizio Del Nero ha cambiato fronte: ha fatto aprire ad Albaredo una succursale della Latteria sociale Valtellina ed è diventato direttore del Multiconsorzio (oggi sciolto) che riuniva le dop e le igp della provincia. L'Acquistapace, siindaco di Gerola dal 2003 al 2013 aveva esordito come consigliere di opposizione nel 1994 con la lista Lega Nord . Era stato eletto Paolo Ciapparelli che, per seguire la vicenda del bitto, aveva lasciato il posto all'Acquistapace. Nel 2010 il sindaco di Gerola era stato protegonista di in un accordo-ribaltone in Comunità montana alleandosi con Del Nero. Da questa alleanza  avrebbe dovuto scaturire (come annunciato sulla stampa locale)  una 'pace del bitto' (sulla pelle dei produttoti che erano all'oscuro di tutto). Dopo aver caldeggiato (gennaio 2010)  un primo tentativo di accordo con la Camera di commercio (che avrebbe comportato la cessione della gestione della casera), quando era ancora in carica come sindaco, l'Acquistapace, nel 2011 tentò, da azionista di minoranza, di sfiduciare Paolo Ciapparelli, il presidente e fondatore della Società valli del bitto.

Nel maggio 2016, in occasione dell'assemblea della società, ha rinnovato pesanti attacchi facendo leva sull'esito negativo della 'pace del bitto' e sull'incapacità di trovare un accordo con il comune (che , guidato dalla sorella, ha respinto, all'inizio dello stesso 2016, a una proposta di accordo complessivo tra la Società valli del Bitto e l' amministrazione comunale).

Ribelli/Ribelle = Dal 2005/2006, in concomitanza con la rottura definitiva con il Ctcb i produttori storici, che, in precedenza svolgevano un ruolo di dissenso e contestazione all'interno del consorzio ufficiale, vengono sempre più spesso definiti ‘ribelli del bitto’. Ribelli del bitto. Quando una tradizione casearia diventa eversiva è anche il titolo del volume, autore Michele Corti, edito da Slow Food nel 2011. In precedenza erano stati anche qualificati come ‘i puri e duri del bitto’. Da allora nelle cronache il termini 'ribelli' non è stato più abbandonato. Parallelamente ci si riferisce sempre più frequentemente al bitto dei ribelli come al 'bitto ribelle'.

Richelieu  =  Il Richelieu della vicenda ventennale dei ribelli del bitto è facilmente identificabile nel dott. Marco Deghi, direttore della Latteria sociale Valtellina di Delebio. Armand-Jean du Plessis duca di Richelieu, noto soprattutto come cardinale Richelieu è stato un cardinale, politico e vescovo cattolico francese. Fu nominato primo ministro dal re Luigi XIII di Francia. Ci si riferisce da secoli a Richelieu  come a un politico abile, che detiene le vere leve del potere ma che manovra senza venire allo scoperto, con grande abilità... cardinalizia .

Rilevatari = vedi Cargamuunt

Sagra = La ‘sagra del bitto’ si svolge dagli anni ’80 del secolo scorso a Gerola alta in un fine settimana della prima metà di settembre. Fa parte del circuito delle sagre tradizionali valtellinesi ed è caratterizzata da rievocazioni in costume del gruppo tradizionale dei Giaröi . Con la rottura tra produttori storici e Ctcb la sagra era diventata l’evento di riferimento dei ribelli del bitto che disertano la Mostra del bitto. Anche la sagra, però, ha conosciuto i contraccolpi del mancato sostegno del comune di Gerola ai ribelli. Nel 2010, dopo che sui giornali era apparso l'annuncio di una 'pace del bitto' (di cui i produttori erano del tutto all'oscuro), erano stati invitati gli amministratori dei Albaredo, comune confinante che aveva assunto dal 2005 una posizione contraria ai ribelli e che aveva aspramente polemizzato con lo stesso comune di Gerola, definendo il Centro del Bitto “una cattedrale nel deserto”. Per protesta contro le manovre trasformistiche in atto i caricatori d'alpe storici, presente il presidente della provincia, rifiutarono quell'anno di ricevere i premi. Negli anni successivi vi sono state fasi alterne di riavvicinamento e allontanamento tra ribelli e organizzatori della sagra . Nel 2016, nel clima deteriorato dei rapporti con il comune di Gerola (e la pro loco che ne segue la linea) alcuni dei produttori storici, pur in assenza di un boicottaggio da parte della loro associazione, non hanno partecipato alla premiazione.

Santuario = Il ‘santuario del bitto’ (definizione che si alterna a quella di 'museo') è il nome con il quale sempre più frequentemente viene denominata la casera (naturale) di stagionatura dell'ex bitto storico (oggi 'storico ribelle') che sorge a Gerola alta. All'interno del 'santuario' si ammirano centinaia di forme in dedica, vergate a mano con inchiostro di mirtillo e spesso recanti disegni che richiamano in qualche modo gli ex-voto. Non mancano forme decorate da artisti. Il carattere del santuario è rafforzato dalla presenza di cimeli (ricordi di personaggi della storia del bitto, targhe, diplomi, pergamente) , la 'galleria dei giusti' con le forme dedicate agli 'amici del bitto'. C'è anche il sancta sanctorum, il sacello con le forme più preziose a completare l'analogia. I visitatori firmano un registro dove possono lasciare per iscritto le loro impressioni e i loro commenti. Come in un museo.

Scagliatura = I formaggi duri come il grana, quando stagionati, si porzionano a scaglie utilizzando appositi coltelli con lama cuoriforme. Tagliati con un normale coltello si frantumano in frammenti irregolari di diversa dimensione, alcuni troppo piccoli per costituire un boccone. Nello 'storico ribelle' in considerazione del tenore di grasso elevato (è ottenuto da latte ad elevato tenore di grasso senza alcuna scrematura) e della natura dei grassi (basso fondenti in ragione dell'alimentazione a base di sola erba di pascolo) la pasta si mantiene sorprendentemente'semidura' anche dopo 4-5 e più anni anni di invecchiamento tanto che la lama del coltello riesce a dividere porzioni dalla superficie regolare. Un risultato legato ovviamente ad una adatta tecnica di lavorazione che differenzia lo 'storico ribelle' da formaggi a pasta dura come il grana e lo sbrinz  (minore acidificazione della pasta (uso del siero innesto, acidità del latte lasciato a sostare per la parziale spannatura) e cottura a temperatura molto elevata (55°C contro i 51°C al massimo dello 'storico-ribelle').

Scalzo = Lo scalzo (o 'corona'), equivale all'altezza della forma di formaggi, è molto caratteristica nello 'storico ribelle' che l'ha ereditata dal bitto/branzi della tradizione. Alto 8-10 lo scalzo non è però diritto ma concavo e con spigoli piuttosto vivi. Una simile forma è condivisa con il bitto dop, il branzi FTB, la fontina, il beaufort e l'abondance, ovvero con i formaggi grassi d'alpe della Savoia e della valle d'Aosta. Per quale motivo questi formaggi hanno lo scalzo concavo? Non è facile rispondere ma si può pensare che sia legata alla facilità di trasporto. Una forma con scalzo concavo può essere facilmente legata con una corda e appesa. Rispetto ad uno scalzo convesso la forma ha il vantaggio di poter essere mantenuta in piedi appoggiata sullo scalzo.Indipendente dal motivo lo scalzo concavo è un elemento di identità importante. Non sempre le forme mese in fascere di legno di larice tradizionale 'riescono' con uno scalzo marcatamente concavo e a spigoli vivi. Il legno si usura e la convessità della fascera si riduce. Meglio un bello scalzo tipico ottenuto con una fascera di plastica? I vecchi casari dicono di no. Il legno (vedi) sino a pochi anni fa criminalizzato da igienisti e tecnologi è stato rivalutato. Uno dei motivi la capacità di assorbire l'umidità. Messa in fascere di plastica la pasta (la cagliata estratta dalla culdera) presenta una superficie bagnata e quindi possibili iniziali alterazioni. La cura delle fascere e la loro regolare sostituzione potrebbero però garantire una forma più regolare e riconoscibile come merita un formaggio prezioso come lo 'storico ribelle'.

Secessione = Forse in qualche richiamo alla secessione che ha accompagnato alcuni dei passaggi più di rottura della storia dei ribelli del bitto c'è qualche eco del leghismo 'vecchia maniera', quello cui facevano riferimento Ciapparelli, e non solo lui, prima che la Lega arrivasse alla presidenza della provincia nel 2004 schierandosi con le lobbye 'scaricando' i ribelli. Di 'secessione del bitto' con la prospettiva di 'ritorno alla bergamasca' si è parlato in più occasioni anche nei titoli di giornale. A Sondrio in modo sbalordito, a Bergamocon malcelata soddisfazione. La 'secessione' dalla Valtellina ha significato per il bitto ribelle ricordare che il bitto è nato orobico e che solo per via dell'arroganza e dell'ignoranza di chi occupa le istituzioni è divantato 'pansondriese' con una decisione a tavolino. Una decisione che ignorava non solo la storia ma anche quello che allora era il presente (le iniziative per 'esportate' la tecnica di produzione del bitto, inviando come casari itineranticasari del bitto come Eliseo Manni - il fratello di Mosè - e Alfredo Mazzoni, furono attuate dopo il riconoscimento della dop). Non c'è mai stata nessuna secessione dalla Valtellina perché il bitto della tradizione è sempre stato orobico quindi bergamasco e lecchese. Di fatto, però, c'è stata, in occasione di più edizioni, la presenza dei ribelli del bitto alla Fiera di San Matteo a Branzi, c'è stata la  formazione dell'associazione  formaggi Princi delle Orobie, sono nate diverse iniziative nate sul terreno dell'incontro tra valli del Bitto e Valbrembana (Associazione capra Orobica e relativo Presidio Slow Food  Associazione allevatori lombardi bruna originale, nate nel 2015). Tornare alle Orobie per i ribelli del bitto significa anche tornare a valorizzare il rapporto con la città a nord delle Orobie, la città del torrente e del formaggio bitto, oltre che continuare a recupere il rapporto con la città orobica per definizione: Bergamo.

Seriana (val) = Il bitto/branzi è fortemente legato alla val Brembana, a parte della Valsassina e Valvarrone e alle valli orobiche valtellinesi ma l'affresco di Clusone (vedi: 'antenato') e una pala di San Lucio (patrono dei casari) nel santuario dei bergamini della Madonna della Grazie a Lantana (una località di origine dei bergamini di Dorga in comune di Castione della Presolanaci dice che un tempo (sino al XVIII secolo o anche oltre?) il bitto veniva prodotto anche dai bergamini che caricavano in val Seriana e val Borlezza. Se è vero che la val Seriana e la val Borlezza oggi si sono orientate alle  meno impegnative ‘formaggelle’, è anche vero che la tecnica del formaggio semigrasso (ma anche grasso) è, ancor oggi,  tutt’altro che ignota. E c'è da supporre era molto più comune e perfezionata quando gli alpeggi erano caricati dai più esperti casari bergamini. Essi a Castione (ma in molte altre località) avevano il monopolio degli alpeggi tanto è vero che all'inizio del XX secolo i 'casalini' (i piccoli allevatori stanziali per poter alpeggiare dovevano recarsi sino in Szittera tanto era forte la 'fame di alpeggi' e la domanda sostenuta dai bergamini.  Era, però,  più in auge nel passato. La pala settecentesca raffigurante San Lucio - patrono dei casari e degli alpeggi - presenta un angiolo-putto che sorregge una maestosa forma di quello che appare inequivocabilmente come  ‘bitto’, dallo scalzo, dal colore della pasta, dalla scagliatura della stessa, un bitto pregiato di almeno due anni di affinamento. Inutile sottolineare che la pala è il frutto del mecenatismo dei  ricchi bergamini locali. Il bitto è orobico ma se teniamo conto del numero (certo) di alpeggi che lo producevano in val Brembana a inizio XX e del fatto che, in precedenza, fosse prodotto anche dai bergamini che caricavano le valli più a Est bisognerebbe concludere che è certo più bergamasco che valtellinese.


Sfoglia= La pasta all’interno presenta fessurazioni tra loro parallele mentre all’esterno non si nota alcuna alterazione. Completamente diverso dalle cavitazioni che si producono per azione di fermentazioni con produzioni di gas. È un difetto, non frequante nel caso dello 'storico ribelle'  normalmente imputabile al casaro dal momento che nel nostro formaggio la lavorzione segue immediatamente la mungitura e non vi è il rischio di eccessiva acidificazione del latte prima dell'aggiunta dl caglio né di rapida acidificazione del latte in caldaia per aggiunta di fermenti..  Le cause sono da ricercare in una pasta troppo disidratata e demineralizzata (poco elastica) che non si tiene insieme. Alla base vi è un'eccessiva acidificazione della pasta per un eccesso di caglio,  una coagulazione troppo prolungata, un eccesso di spurgo, una salatura troppo prolungata,  correnti d’aria e variazioni di temperatura nei locali di stagionatura. Può comportare alterazioni del gusto.

Simboli = Simboli ma anche ‘guardiani del bitto’, 'numi tutelari' o 'spiriti guardiani'  (in assonanza con altre mitologie) sono simboli, tra il mito e la storia, che svolgono il ruolo di protezione dei ribelli del bitto: l’Homo selvadego è il più interessante perché affonda la sua leggenda in tempi preistorici, ma sono suggestivi (e pieni di significati reali) anche i pastori-guerrieri celti, gli antichi malghesi transumanti (i bergamini) ma anche la capra orobica, il pizzo dei Tre Signori, lo stesso patriarca del Bitto (Mosè).

Società = (1) Nel 1908 si formò, su impulso della Cattedra ambulante di agricoltura, la Sociètà caricatori d'alpe di Morbegno che, nell'anno successivo inaugurò la Casera sociale, capace di 3 mila forme . La Società si prefiggeva la gestione della casera al fine di valorizzare meglio il prodotto evitando la necessità di venderlo subito a fine alpeggio ai commerciannti per mancanza di luoghi idonei ove conservarlo. Si prefiggeva anche di curare il continuo incremento" della "fiera annuale di formaggi di Morbegno" e di "far conoscere con opportuna pubblicità sia all'interno che all'estero il formaggio grasso tipo Bitto". (2) La Società valli del Bitto trading spa (questo il nome, con quel trading poco azzeccato in verità, che la caratterizzava sino al 18 dicembre 2016)  ha rappresentato e rappresenta il 'braccio commerciale' ('il braccio armato' , se si preferisce un'espressione più immaginifica) dei ribelli del bitto. Fondata nel 2003 da Paolo Ciapparelli, con alcuni amici entusiasti, tra i quali non si può fare a meno di ricordare almeno il Gino (Cattaneo) patron de la Brace di Forcola,  si è gradualmente estesa a professionisti, imprenditori, semplici cittadini interessati a sostenere il bitto della tradizione. Tutti appassionati e ferventi sostenitori della causa. Questa 'fede' non poteva essere certo prevista dai  nemici del bitto ribelle (capaci di ragionare solo in termini guadagno). Oggi la Società conta 130 soci, per lo più residenti tra la Valtellina e la Brianza. Cinque caricatori/casari del bitto ribelle sono soci. Dal dicembre 2016 la Società  ha cambiato la denominazione (e lo statuto) in conformità alla legge sulle società benefit (società che perseguono oltre all'utile economico precise finalità ambientali e sociali). La nuova denominazione è Società valli del Bitto spa benefit.


Spaccature e fessurazioni della crosta =  Compromettono la conservazione e la presentazione del formaggio. E’ un difetto di origine tecnologica che si origina nel corso della stagionatura. Le forme colpite presentano screpolature sulla crosta e/o spaccature superficiali visibili, profonde 2-3 cm che possono riguardare anche la pasta.  Le cause, come per la 'sfogliatura' (vedi) vanno ricercate principalmente in una demineralizzazioneeccessiva della cagliata che la rende poco elastica. Una circostanza dovuta a latte troppo acido in partenza o a una successiva eccessiva acidificazione o anche ad una dose di caglio eccessiva. Possono però derivare anche dalle condizioni dei locali di conservazione con temperature e umidità non idonee. Un problema che, nella fase di stagionatura in alpeggio, può presentarsi anche nello 'storico ribelle' in annate sfavorevoli e in quelle casere che sono state ristrutturate senza rispettare fli elementi tradizionali. La disidratazione troppo veloce della superficie del formaggio (umidità troppo bassa della cantina e presenza di correnti d'aria) dissecca la parte superficiale formando precocemente la crosta ed impedendo quindi la perdita di acqua all'interno della pasta. Una circostanza che causa un'eccessiva attività fermentativa negl strati di pasta sottostanti con produzione di gas e l'esercizio di una pressione dall'interno verso l'esterno (nel gonfiore tardivo, invece, le spaccature dovute alla formazione di gas si verificano al centro stesso della forma).

Storico = Si indicava come ‘bitto storico’ il bitto prodotto dai ribelli del bitto tra il 2010 e il 2016; la denominazione è stata ufficializzata con la costituzione del Consorzio salvaguardia bitto storico (avvenuta il 4 giugno 2010). Nel 2016, a seguito del fallimento dell'accordo con le istituzioni siglato nel 2014, e al venir meno di qualsiasi prospettiva di soluzione legale e concordata della 'guerra del bitto', la Società valli del Bitto depositò alla Camera di commercio di Lecco il nuovo nome 'storico ribelle'.

Tartano (val)  = Sul versante valtellinese la val Tartano, che si divide in val Lunga e val Corta, era di gran lunga la valle più rappresentativa della produzione del bitto. la val Tartano conferma che il bitto è legato ai bergamini, era, infatti terra di transumanza (sino al XIX secolo attraverso i passi perché non esisteva la strada del Lario orientale e non era agevole neppure scendere nel fondovalle dell'Adda). Lo dimostrano ampiamente le ricerche di Natale Arioli su documenti risalenti al XVI-XVII secolo. Nelle carte studiate da Arioli emerge un gran numero di toponimi legati alla val Tartano: alpeggi ('monti') per lo più, ma anche contrade: Aralli/Aralle (Arale), Prati Oles (Pra de  Ules), Zochada (Zoccada, Sciucada). I cognomi di bergamini tartanesi citati sono Tirinzoni, della Quarta, Fondrini/Sfondrina (uno dei cognomi bergamini più diffuso nella bassa milanese e lodigiana), Mainetti, Gusmaroli/Gusmarollo/Gusmarolo, Goglio. A volte questi bergamini li troviamo a Milano per affari, rogiti, testimonianze in tribunale. Nel Novecento, come testimonia Giovanni Bianchini (G. Bianchini) Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini. Sondrio, Tip. Mitta, 1985 i bergamini sono un ricordo anche se ben presente. La tradizione della produzione dello stracchino (l'altra faccia del pianeta caseario dei bergamini) in Tartano è un chiaro lascito dei bergamini. A Tartano la cessazione della transumanza non ha determinato la fine della cultura del bitto che è proseguita sino i tempi recenti. Rispetto alla Valgerola, però, sono stati 'dismessi' prima i calecc' e poi si è verificata una crisi verticale cui l'alluvione del 1987 ha dato un duro colpo. Oggi sono pochi gli alpeggi caricati con vacche da latte e solo in questi ultimissimi anni si riparla di bitto. Pienamente all'interno dell'area storica la val Tartano potrebbe, se qualche caricatore seguisse il metodo di produzione dello 'storico ribelle' entrare a pieno titolo all'interno del gruppo.

Tecnica = Ciò che ha consentito l'affermarsi e il consolidamento del 'formaggio della valle del Bitto', quella che è stata, almeno in parte conservata (al duro prezzo di una conflittualità ventennale), non è tanto una 'tecnica', tantomeno una 'ricetta', una serie di dettagli tecnici che nel tempo hanno subito variazioni (vedasi la temperatura di cottura della cagliata, l'aggiunta o meno di zafferano, l'uso dell'olio di lino per il trattamento delle forme). Quella che ha contato nella storia del bitto è un insieme di pratiche, strutturate e coordinate tra loro da una specifica cultura, dal patrimonio di una comunità di pratica che è stata in grado di tramandarla. La 'tecnica' di caseificazione è espressione di una 'cultura del bitto' che comprende la gestione del pascolamento, la 'coltivazione' del pascolo attraverso il governo del bestiame, la presenza di strutture specifiche (i calécc', i barech)(vedi). La 'tecnica' di caseificazione rappresenta un anello di una catena. Molto prima che iniziassero le polemiche sull'estensione dell'area di produzione del bitto dop o sulla 'modernizzazione' della tecnica di produzione Giovanni Bianchini che da ragazzo aveva vissuto dall'interno la realtà degli alpeggi da bitto della val Tartano, scriveva - anticipando considerazioni che i 'ribelli del bitto' non hanno mai cessato, sino ad oggi, di rimarcare:

La fabbricazione del vero Bitto comporta [...] una tecnica complessa e raffinata, che esige dal casaro intelligenza e gran­de competenza, perché vanno tenuti presenti elementi di difficile determina­zione, inerenti alla qualità del latte, qualità che può derivare da diverse cause:  la qualità dell'erba che le mucche hanno pascolato, la quale - come è sta­to detto - può variare da alpeggio ad alpeggio e da zona a zona dello stesso alpeggio ed anche da «pasto» a «pasto»;  il periodo della stagione, poiché, col progredire di questa, diminuisce il tasso di grasso nel latte;  la situazione metereologica, in rapporto alla temperatura e alle precipita­zioni atmosferiche;  l'affaticamento delle mucche per recarsi al pascolo e ritornare a barek, come pure durante il pascolo .
In base a questi elementi, il casaro esperto varia la temperatura del latte, per la cagliata, la grossezza dei grumi della cagliata triturata, la grana, e la temperatura da dare a questa, che è la temperatura della cottura, che dev'esse­re anche in rapporto diretto alla quantità del latte, quindi, più elevata, se il lat­te nella caldaia è abbondante. Verso la fine della stagione, se giudica che il latte è eccessivamente grasso, lo diluisce leggermente con una quantità di ac­qua corrispondente al 3-4% del latte.
(G. Bianchini, Gli alpeggi della Val Tartano ieri e oggi. Economia e degrado ambientale nella crisi dei pascoli alpini. Tip. Mitta, Sondrio, 1985, p. 33).

Tempio = È conosciuto come ‘tempio del bitto’ lo storico negozio dei fratelli Primo (deceduto nel settembre 2016) e Dario Ciapponi che sorge in piazza 3 Novembre, a Morbegno. Più propriamente la definizione di ‘tempio del Bitto’ è riferita alle profonde cantine dove sono conservate e messe in vendita le forme di bitto dop e di grasso d'alpe. L'importanza che ha assunto la produzione ottenuta con mangimi e fermenti fa, confusa con quella che si attiene al metodo tradizionale. Il 'tempio del bitto' , nonostante l'appannamento del suo prestigio, conserva la sua fama per gli innegabili meriti storici dei fratelli Ciapponi che, da oltre mezzo secolo, hanno valorizzato il bitto portandolo a stagionature di dieci anni.

Territorio/i = I ribelli del bitto quando hanno compreso che il territorio dove aveva preso origine la loro vicenda (la Valgerola, le valli del Bitto, la bassa Valtellina) era troppo condizionato dal peso delle amministrazioni e dei poteri locali, pur mantenendo salda la finalità di un'azione diretta allo sviluppo del territorio stesso e alla valorizzazione del suo patrimonio (principi sanciti nel nuovo statuto della Società valli del Bitto, approvato dall'assemblea straordinaria del 18 dicembre 2016), hanno  capito che dovevano guardare a un territorio più ampio, alle Orobie in quanto matrice della cultura e della storia del bitto della tradizione.  Dal 2011 hanno iniziato a guardare con sempre più  interesse verso la Valbrembana e a Bergamo ricambiati da affetto, attenzione e simpatia.. Hanno partecipato a diverse edizioni della Fiera di San Matteo a Branzi, e a Gourmarte alla Fiera di Bergamo e molto attivamente alla formazione dell'associazione dei formaggi Principi delle Orobie (2015). Nel 2016 sono stati tra i fondatori della rete Territori del cibo, costituitasi a Gandino, in Valseriana.

Torrente = È il torrente Bitto con i suoi rami di Gerola e di Albaredo a dare il nome alla valle e quindi, indirettamente, anche al formaggio.

Traditori = 'Traditori del bitto' (o 'disertori') sono stati definiti - più ironicamente che con astio - quei casari e caricatori delle valli del Bitto che, nel 2005, al momento del ‘grande strappo’ tra produttori storici e Ctcb per incapacità di resistere alle pressioni hanno preferito ‘tornare all’ovile’ e restare nel Consorzio ufficiale. Una limitata defezione (Alpe Pescegallo Foppe, casaro Michele Lombella, che ha preferito schierarsi con il comune, il proprietario del'alpeggio) si è avuta anche nel 2016 quando si è verificata la rottura definitiva tra i 'ribelli' e le istituzioni locali con l'abbandono del nome bitto.

Tregua = La guerra del bitto ha conosciuto diverse tregue. Nel 2003 veniva ottenuta l'ufficializzazione del marchio Valli del Bitto e ci fu un breve periodo di 'pace' con la partecipazione dei 'tradizionalisti' alla Mostra del Bitto del 2004 con due conorsi separati. Nel 2005 e nel 2006 i 'tradizionalisti' ormai ribelli boicottarono la Mostra del bitto. Vi tornarono nel 2007 in occasione del centenario della prima Mostra. Poi basta.  Nel 2014/15 la 'guerra' è stata congelata in attesa dell'accordo del novembre 2014 e poi ancora per qualche mese nell'attesa (vana) dei suoi effetti. Non vi fu neppure il rientro alla Mostra del bitto nell'anno dell'Expo. 

Trogloditi = I 'trogloditi' del bitto della tradizione sono diventati una delle immagini più frequantate nelle accese polemiche tra modernisti, succubi del regime agroindustriale, e ribelli. Quando scoppiarono le prime scaramucce interne al consorzio la cultura industrialista godeva ancora di prestigio, quella tradizionale era svalutata come retaggio di retrogradi incapaci di abbracciare la modernità. Non c'erano ancora i Presidi Slow Food ma nemmeno gli ogm e non c'era ancora stata la vacca pazza. Essere tradizionalisti era eroico allora e si deve nutrire molta ammirazione per chi,come Paolo Ciapparelli, spalleggiato da giovani produttori e casari ribelli come Giuseppe Giovannoni e Alfio Sassella sosteneva fiammeggianti polemiche con il 'blocco granitico' del'establishment . Ma anche per chi come Mosè Manni e la sua famiglia, indifferenti agli sfottò dei colleghi 'modernisti' continuavano a gestire l'alpeggio, a lavorare il latte, ad alimentare gli animali come avevano imparato a fare dalle generazioni precedenti. La loro è una forma di moralità implicita - che non viene trasmessa con insegnamenti orali né tanto meno scritti, che li lega, in sintonia con una cultura che risale al neolitico, ad una responsabilità di accudimento agli animali, al pascolo, alla natura.  I Manni, che per ragioni famigliari non potranno più caricare l'alpe nel 2017,  possono vantare una catena di generazioni di casari. Però gli ultimi arrivati che si sentivano intelligenti perché seguivano acriticamente i consigli (non certo disinteressati) degli apparati tecnici e burocratici del regime agroindustriale, non esitavano a dileggiarli ferocemente. Forse si lavavano qualche volta in meno ma il loro pascolo era 'net', pulito, accudito mentre gli 'evoluti', i 'moderni' in pochi anni hanno degradato enormi superfici sia non utilizzandole (perché scomode) sia eutrofizzandole con l'eccessivo carico e con i mangimi che trasfomano le superfici dove di munge e si distribuisce il mangime da pascoli a 'toilette delle mucche'. 'Trogloditi' era una dei complimenti più educati rivolti ai Manni e agli altri 'retrogradi' ostinati che osavano anche fare della loro aretratezza, della loro cocciutaggine, una bandiera. Pensavano di offender, insultare, demoralizzare. Invece 'trogloditi del bitto' è diventata una bandiera. Ad ogni successo dei 'trogloditi dei ribelli era immancabile il sarcasmo; quel 'trogloditi' veniva rimandato al mittente. E il mittente ha dovuto masticare amaro.

Trona1) La Bocchetta di Trona a 2092 m mette in comunicazione la Valgerola con l'alta Valvarrone (e con la Valsassina). Punto di passaggio importante sulla 'via del bitto'.2)  L'alpe Trona soliva ha visto la presenza, sino al 2014, del patriarca del bitto, Mosé Manni. In nessun altro alpeggio come a Trona soliva venivano utilizzati tanti calecc' ed erano visibili i segni (strutture pastorali, sistema di pascolamento). Un vero 'patrimonio dell'umanità', una testimonianza organica e quasi intatta delle antiche culture pastorali, un caso unico in Europa che è stato oggetto di una tesi di archeologia (autrice Yolanda Alther), dell' Università di Zurigo dal titolo molto significativo: L'ultima alpicoltura multifunzionale tradizionale. 

Usurpazione = Se a proposito delle modalità con le quali è stata istituita dal dop bitto si è parlato di 'esproprio' senza indennizzo (vedi) con il 'bitto storico' sono avvenute delle vere e proprie usurpazioni. Alcuni commercianti spregiudicati hanno utilizzato la denominazione 'storico ribelle' che era legata al Presidio Slow Food senza in alcun modo  appartenere ad esso ma  contando sul fatto che la Società valli del Bitto e il Presidio non avrebbero potuto difendere legalmente una denominazione 'a rischio' (dopo un parziale rientro nel sistema dop nel 2010, in seguito nessun produttore 'storico' si è più assogettato ai controlli previsti dalla dop) in attesa di trovare una soluzione legale (che non è mai arrivata). Così in modo plateale le cantine Innocenti di Ardenno, che hanno per anni venduto su internet 'bitto storico', e - in forma più discreta - la F.lli Ciapponi di Morbegno hanno utilizzatola reputazione del 'bitto storico'. Il colmo si è raggiunto quando, sfruttando la buona fede dell' AIS (associazione italiana sommelier) dell'Umbria, nel marzo 2016 è stata organizzata una fantomatica "degustazione verticale di bitto storico" con prodotto (anche di discutibile stato di conservazione) fornito da Innocenti. Di fronte a questi episodi è stato accelerato il cambiamento di nome a 'storico ribelle' che non essendo esposto agli strali della legge sulla tutela delle dop ed essendo un marchio aziendale depositato è legalmente difendibile. Vi sono stati, probabilmente in buona fede, alcuni tentativi (da parte di almeno due aziende valtellinesi) di mettere in vendita dello 'storico ribelle' ma sono rientrati immediatamente quando è stato spiegato che senza una fattura di acquisto di 'storico ribelle' dalla Società valli del bitto che è titolare del nome commerciale, si incorre in una frode commerciale. 

Valli = Valli per antonomasia nel caso del bitto sono, ovviamente, le  valli del Bitto (sino al XIX secolo, però, prevaleva l’uso al singolare). Esse  sono rappresentate dai due solchi vallivi incisi dal torrente Bitto che sbocca a Morbegno. 'Bitto valli del Bitto' è la denominazione utilizzata dai produttori storici (i 'dissidenti' poi 'ribelli') sino alla costituzione del Consorzio salvaguardia bitto storico (4 giugno 2010).L'Associazione valli del Bitto marchiava a fuoco le forme 'Valli del Bitto'. Dal 2003 questo marchio era stato riconosciuto dalle istituzioni provinciali ma esso è stato abbandonato nel 2006 a seguito di diffida da parte del Ministero delle politiche agricole nel clima di rifiuto da parte dei ribelli delle modifiche 'modernizzatrici' del disciplinare del bitto dop volute dal Ctcb.

Varrone (val) = Una valle importante nella storia del bitto. L'alta val Varrone è stata da secoli una delle aree più legate alla tradizione del bitto. Si trova nel territorio di Introbio anche se l'alpe è di proprietà del comune di Premana (località della Valvarrone). La ragione è legata all'importanza delle miniere di ferro e del transito lungo la via del bitto che, dall'alta val Varrone giunge a Introbio passando in val Biandino e scendendo lungo la valle della Troggia. Un percorso storicamente importante sia per il commercio che per ragini militari. Di qui sono passati molti eserciti sino a che il percorso ha perso importanza all'inizio del XIX secolo con la realizzazione della strada litoranea del lago di Como orientale. Caricata sino al 1870 da bergamini (nella fattispecie i Platti di Pasturo) della Valsassina (che nel Settecento caricavano anche Trona in Valgerola), l'alta val Varrone è stata poi caricata da gerolesi ininterrottamente sino ad oggi. È interessante notare che, ancora all'inizio del Novecento, sono ancora bergamini che scendono in inverno nel milanese, a caricare l'alta val Varrone: gli Acquistapace di Case di sopra di Gerola. Facile osservare che gli Acquistapace, secoli prima, venivano da Cortenova in Valsassina e che quindi distinguere tra 'valsassinesi' e 'valtellinesi' non ha senso nella storia del bitto. In val Varrone di produceva bitto non solo all'ale Varrone (dove si produce tutt'ora lo 'storico ribelle') ma anche ad Artino (tutt'ora caricata con vacche da latte e capre ma senza produzione di bitto) e a Larecc' , oggi 'da pecore' per mancanza di strutture.


Venezia = Da Venezia arrivava lo zafferano utilizzato per quella produzione di bitto/branzi che era esitata sul versante brembano. E, dopo la stagionatura nei magazzini di Bergamo, proseguiva verso la città lagunare. Sarebbe interessante - richiederebbe indagini presso l'archivio di stato di Venezia, scoprire se dalla serenissima proseguiva oltre. Considerando il ruolo di emporio internazionale di Venezia non ci sarebbe da meravigliarsene. Intanto il bitto ex storico ha celebrato il 25° della fondazione di Slow Food a Venezia, l'11 giugno 2011. Una delle tante modalità simboliche che caratterizzano l'esperienza del bitto ribelle.L'ex bitto storico fu presentato in Campo San Bartolomeo con la  Condotta Slow Food Silver. Ai veneziani e ai turisti venne offerta in quella occasione la possibilità di conoscere un prodotto che a Venezia era di casa secoli fa.

Venina (val) =  Una delle valli orobiche valtellinesi dove, in qualche alpeggio, si produceva bitto

Verrobbio (passo) = Prima dell'apertura della Priula era il passo frequantato per raggiungere Morbegno dalla Valbrembana attraverso la vecchia via mercatorum.  Il passo è legato ad una secolare contesa per diritti di passaggio delle malghe dei bergamini brembani che affittavano l'alpe di Bomino (valle laterale della Valgerola). 

Verticale = Si dice del tipo di degustazione (vedi) che consiste nel confronto di vini dello stesso produttore di annate diverse. Lo 'storico ribelle' è stato il primo formaggio a proporre 'degustazioni verticali' nell'ambito dei formaggi. A volte condotte in parallelo a degustazioni di grandi vini in abbinamenti memorabili.

Via= Da secoli è conosciuta come ‘via del bitto’ il percorso che dalla Valsassina in provincia di Lecco raggiunge Morbegno attraverso la val Biandino, l’alta val Varrone, la Bocchetta di Trona e la valle del Bitto di Gerola. Un percorso di grande interesse storico che consente di visitare, oltre agli alpeggi, l'Oratorio della Madonna della Neve a Biandino, edificato dalla famiglia Annovazzi (bergamini proprietari dell'alpe), le ultime miniere di ferro dell'alta val Varrone, le fortificazioni della 'Linea Cadorna' alla bocchetta di Trona. Possibilità di pernottamento e sosta ai rifugi Biandino, Tavecchia e Madonna della Neve in val Biandino, Sanra Rita (sul crinale che separa la val Biandino dalla val Varrone), casera vecchia (in alta val Varrone).

non sono assoluti ma sono tali in relazione al determinato tipo di formaggio in esame. I difetti si possono dividere in tre tipi: difetti di crosta o di superficie (nei formaggi molli senza crosta) rilevabili all'esame visivo e senza tagliare la forma , difetti di struttura (o pasta) rilevabili, all'esame visivo e tattile, tagliando la forma, difetti di aroma e sapore rilevabili solo con l'esame gustativo. In alcuni casi, però il difetto si manifesta sia sotto il profilo dell'aroma e del sapore che della pasta. Come considerazione generale è bene tenere presente che in un formaggio artigianale, che pur non dove mai presentare difetti gravi la presenza occasionale di difetti lievi è da tollerare perché spesso compensata da superiori caratteristiche organolettiche. L'assenza di occhiatura che caratterizza le versioni industriali di formaggi tradizionali non è un pregio. Ad essa corrisponde un grave e diffuso difetto: la banalità.

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Volontari = La resistenza del bitto ribelle è stata possibile grazie al sostegno finanziario dei tanti soci della Società valli del bitto, al lavoro sottoretribuito (o volontario) degli amministratori e dei dipendenti della società stessa, ma anche grazie al lavoro di volontari nella veste di 'sostenitori'. La presenza dell'ex bitto storico a tanti eventi è possibile grazie  al volontariato. Chi da una mano vendendo il formaggio a una fiera, chi si impegna anche nella realizzazione e manutenzione del sito. Se lo 'storico ribelle' è così visibile, tanto alle manifestazioni specializzate che sul web, è solo grazie al volontariato. Con risorse insignificanti la visibilità dello 'storico ribelle' supera quella del bitto dop che fruisce delle ingenti risorse pubbliche della 'promozione di stato'.


Volontari del bitto ribelle: Luciano (a sinistra) e Joseph

Zafferano = Utilizzato, sino ai primi decenni del Novecento, per la produzione di bitto che era esitata con il nome di 'branzi' su quella piazza. La tradizione risaliva probabilmente all'apertura della via Priula che aveva creato nuovi sbocchi commerciali sul versante bergamasco. Da Venezia arrivava lo zafferano ma verso Venezia era spedito anche il bitto. Come è noto la tradizione dell'uso dello zafferano continua nel caso dei formaggi bresciani (bagòss, nostrano di Valtrompia).





 

 

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