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Valtellina che gusto industriale
(23.11.16) La promozione istituzionale agroalimentare valtellinese continua a ricalcare i cliché del Mulino Bianco, delle favole colorate che nascondono ben altre realtà . Uno stile industriale di marketing del fasullo per promuovere un agroalimentare industrializzato, banalizzato, omologato. Sperperando i soldi di chi paga le tasse.  Ma non basta. Dopo aver espropriato il bitto storico del nome "bitto" la promozione "ufficiale", non contenta di raccontare banalità, barzellette insulse e cose ben diverse dalla realtà, continua a mimetizzare il bitto "legale" (in forza delle falsità sottoscritte dalle istituzioni in sede di istituzione della dop) ovvero quello "Nuovo omologato" con lo "Storico ribelle" (il vero bitto che si fa come secoli fa). Lo fa anche in modo sfacciato e maldestro (copiando testi e spacciando foto dello storico ribelle per quello "istituzionale").

Ribellarsi è giusto e  paga            (17.11.16) Lo storico ribelle, liberatosi del nome "bitto" che ormai procurava solo grane (ed esponeva alla minaccia permanente di denuncia per "lesa dop") va meglio di prima. Chi ragiona restando nelle coordinate della vecchia politica pensava che fosse un salto nel buio. Invece i sostenitori aumentano e lo storico ribelle sbarca in nuovi prestigiosi templi del gusto.

Varrone, una colonna dello "storico"
(07.09.16) La visita del 23-24 agosto scorso in alta val Varrone all'unico alpeggio lecchese che produce lo "storico", ovvero il prestigioso e secolare formaggio d'alpe a latte intero con aggiunta di latte di capra orobica.

Varrone e Biandino cuore di ferro e formaggi 
(28.08.16) Nei giorni cruciali in cui l'ex bitto storico cambia nome approfondiamo alcuni aspetti sinora poco messi a fuoco della storia e della geografia di questo mitocaseario.

È ormai bittexit e fa paura ai nemici del bitto storico (17.07.16)

I nemici del bitto storico non potranno più utilizzarlo come "traino" di una dop massificata . Non sarà più possibile giocare sull'equivoco di due produzioni "simili". E con la fuga del vero bitto dalla dopsi profila una figuraccia di grandi proporzioni per la Valtellina

(13.06.16) Commercianti si spacciano per l'ex bitto storico
Se si danneggiano i ribelli del bitto si può usare del tutto impropriamente la denominazione "Bitto storico" e illegittimanente quella "Bitto". La storia di  una degustazione organizzata in Umbria  da un'incolpevole Ais  con il "bitto storico" ... senza  che vi fosse l'ormai ex bitto storico presidio Slow food

(29.04.16) Assemblea a difesa delbitto storico il 7 maggio a Gerola
Lo Storico formaggio  prodotto sugli  alpeggi delle Orobie, da secolo noto come formaggio del Bitto non può essere più chiamato con il proprio nome. Dopo vent'anni le  lobby politico-burocratico-industriali sono riuscite ad espropriare i produttori storici. Ma la società civile sta preparando la mobilitazione

(14.04.16) Il formaggio Storico dei ribelli del bitto da Peck
Lo Storico formaggio  prodotto sugli  alpeggi delle Orobie è in vendita da Peck  . Quello dell' estate 2015)  a 92€ al kg, quello del 2009 a 26€ all'etto. Il bitto dop dei mangimi e  dei fermenti , prodotto senza latte di capra, a volte in condizioni semi-industriali, continua a calare di prezzo

Bitto storico: rivoluzione permanente (2.10.15)
A Cheese ques'anno il tema era il formaggio dei pascoli e, complice anche l'indignzione per il tentativo di imporre il formaggio senza latte, il bitto storico non poteva che essere al centro dell'attenzione in quanto "campione" della resistenza casearia. Ma l'attenzione è stata anche per la sua "rivoluzione dei prezzi"

(08.09.15) Nuovi documenti storici incoronano il formaggio Vallis Biti (bitto storico)
Cirillo Ruffoni ci ha segnalato nuovi documenti storici che consacrano già nel Cinquecento il formaggio delle Valli del Bitto. Già allora  riconoscibile rispetto ai formaggi prodotti in altre zone, tanto da costituire per loro anche un termine di paragone. Scusate se è poco

(02.09.15) Bitto storico: un autunno di decisioni e novità
La stagione d'alpeggio 2015 si sta chiudendo con un bilancio molto negativo in termini di quantità prodotta, causa della  siccità di luglio. Sul fronte dei rapporti con le istituzioni l'accordo siglatonel novembre 2014 si sta rivelando un bluff. Stimoli per i "ribelli del bitto" per rilanciare con forza l'originalità delle loro esperienza facendo leva sui  suoi punti di forza

(23.08.15) Siccità sugli alpeggi. Colpiti i pascoli più sostenibili
La grave siccità che ha colpito gli alpeggi a luglio  non è rimasta senza conseguenze. Ma chi soffre di più per il calo di produzione di latte è chi non usa i mangimi, ovvero chi rispetta il pascolo e l'ambiente. Così solo i "puristi" si sono fatti sentire

(22.08.15) Bitto storico rivoluzionario
Attraverso la creatività commerciale contadina i ribelli del bitto sono riusciti a imporre per il proprio prodotto un prezzo etico. Esso consente un equilibrio economico compensando gli elevatissimi costi di una produzione che va contro gli schemi della società industriale e consumistica (che si sono imposti anche nella produzione agroalimentare)





cibo territoriale

Due schiaffi alla Valchiavenna


di Michele Corti

La Igp "Pizzoccheri della Valtellina" certifica che la Valchiavenna è...in Valtellina, mentre i brasiliani della Jbs lanciano la Brisaola "antica, tradizionale" rubando alla Valchiavenna anche la "i". Agroindustria senza scrupoli falsifica storia e geografia. Perché, tranne i ribelli del bitto, di schiene diritte se ne vedono poche in giro e lorsignori fanno quello che vogliono senza pagare dazio.

(21.01.17) I finti pizzoccheri di grano duro sono diventati, purtroppo, IGP a conferma che, a chi decide su queste cose, della storia e della verità non ne può fregare di meno (vedi l'articolo per il quale Moro Pasta mi ha querelato, ma che - come da  richiesta di archiviazione - costituisce "diritto di informare il consumatore"). I pizzoccheri della Valtellina sono garantiti prodotti in Valtellina.




Ovviamente si dice una bugia sapendo di mentire perché (la geografia non è una Mera opinione) la Valchiavenna, dove ha sede la Moro Pasta  è una valle alpina attraversata dai fiumi Liro e Mera, quest'ultimo immissario
del Lago di Como "di pari grado". P er secoli oltretutto le due valli furono separate dalla vasta area paludosa del Pian di Spagna (come testimoniana il trasferimento nel 1444 della sede della Pieve di Olonio dalla vecchia sede non più agibile per l'innalzamento del livello del Lario).
La Valchiavenna, insieme alla Valtellina e ai territori della Val di Lei (dove scorre un ramo del Reno) e di Livigno (valle dello Spöl, un affluente dell'Inn, subaffluente del Danubio), costituisce la Provincia di Sondrio.
 Quando fa comodo si fa finta, violentando la geografia e la storia che la Valchiavenna sia una valle laterale della Valtellina, alias Provincia di Sondrio. Ma la Valchiavenna, o valle della Mera, ha avuto destini diversi dalla Valtellina (Valle superiore dell'Adda), infatti anche dal punto di vista storico e politico-amministrativo non esiste alcuna possibilità di identificare la Valchiavenna come una parte della Valtellina.



Prima del regno Lombardo Veneto (1816) la Provincia di Sondrio non è mai stata una entità unica. L'autonomia del Contado di Chiavenna e della Contea di Bormio non è mai stata messa in discussione nè sotto i Duchi di Milano nè sotto la dominazione delle Leghe Grigie (riporto di seguito uno stemma che rispecchia la realtà dei tre territori storici: in alto a sinistra Chiavenna, a destra Bormio, sotto la Valtellina).



La ridicola pretesa di far coincidere i confini culturali e delle tradizioni agroalimentari con i limiti provinciali


La dizione "Pizzoccheri della Valtellina" si gioca sull'equivoca identità tra "Provincia di Sondrio" (una realtà amministrativo-burocratica nata con la Restaurazione) e "Valtellina". Operazione chiaramente finalizzata a porre in capo alle istituzioni politiche e parapolitiche (come il Distretto agroalimentare) la governance della "tipicità del cibo" e a gestire flussi di spesa pubblica e di potere. In una sorta di parodia, in chiave gastronomica - del giacobinismo, "naturalizzare" i confini provinciali e pretendere (per decreto) che siano anche un ambito culturale e di tradizioni agroalimentari omogenee.



Nel caso dei Pizzoccheri, però, la questione non si limita a questo. C'è dell'altro perché i Pizzoccheri della Valtellina sono completamente diversi dai Pizzocheri della Valchiavenna. Valtellina = grano saraceno, tagliatella; Valchiavenna = grano tenero, a "cucchiaio". Più diversi di così!
A Chiavenna il grano saraceno non è mai stato coltivato. Tanto è vero che non esiste traccia nella gastronomia del territorio. Se andate Chiavenna nei locali più "andanti" vi serviranno quelli "Valtellinesi" (ma sarebbe meglio dire "industriali" se non sono di pasta fresca). Succede così anche in tutta l'area lariana e i Pizzoccheri sono scesi sino alla Brianza e a Milano.
Se, invece, andate in crotti e locali di cucina del territorio vi serviranno i "Pizzoccheri bianchi" o "chiavennaschi" o al "cucchiaio" fatti in casa perché non esistono fabbriche dedite alla loro produzione. Sono gnocchetti di farina bianca e nella preparazione, oltre al formaggio e al burro, si utilizzano le sole patate. Una bella differenza dai "Pizzoccheri Valtellinesi" tagliatelle di grano saraceno (in parte) preparate con vari ortaggi!




Il tutto si spiega facilmente. In epoca romana, ma anche in quelle successive Chiavenna è stata interessata da notevoli flussi di commercio regionali e su lunga distanza grazie alla convenienza dell'itinerario transalpino che da Como attraverso la comoda via lacustre arrivava a Samolaco (porto di Chiavenna quando il Lago di Como si estendeva a Nord sino nell'attuale Piano di Chiavenna e non esisteva il piccolo lago di Mezzola oggi separato). Da qui poi le merci proseguivano per lo Spluga o il Septimer. C'è poco da fare la Valchiavenna è orientata Nord-Sud, la Valtellina Est-Ovest. Una circostanza che imprime alle valli connotati prodondamente diversi. In ogni caso il frumento arrivava facilmente in Valchiavenna dal milanese. Chi non poteva permettersi la farina bianca faceva largo ricorso alle castagne (come anche i questo caso testimoniano i lasciti nella cucina locale).




Oggi  in Valchiavenna nessuno è disposto ad accettare (tranne pochi opportunisti) di diventare una valle laterale della Valtellina (c'era in aria di passare alla provincia di Lecco). Però ben pochi, anche tra i cultori dell'identità locale, osano mettere fuori la testa contro i Moro.
Oggi la famiglia Moro controlla solo il 18% della proprietà dell'azienda. Tutti dicono di "crescere" ma intanto anche Luxottica "per diventare mondiale" passa al controllo francese. Per ora i Moro dirigono la loro ex azienda ma quando i fondi e le banche avranno interesse o necessità anche questa azienda finirà in mani straniere. In mani brasiliani è già la Rigamonti, nota per la bresaola di carne di zebù congelata (provenienza sudamericana) che ha lanciato in Italia la bresaola. Un tempo prodotta da artigiani di Chiavenna con carni bovine locali e buonissima. E si chiamava "brisaola".



La "brisaola" di una volta era poco meno marezzata di quella che la JBS oggi produce con Black Angus scozzese.



Cambiata la carne (da bovino a zebuino), i tagli, l'aromatizzazione, la moderna bresaola industriale, pur con il marchio IGP Valtellina, ha iniziato a provocare la disaffezione del consumatore più "sofisticato". Così, come sta avvenendo per altre igp e dop del mondo delle preparazioni a base di carne e dei formaggi,  al "prodotto di massa", che si fregia dei "marchi di garanzia europei" (ma che il consumatore percepisce come standardizzato e di qualità "allineata al ribasso"), le ditte affiancano altri prodotti "firmati" dalla marca. La strategia industriale è lineare: si prende un prodotto tradizionale, artigianale, lo si "modernizza", lo si marchia igp o dop, si sfrutta sino all'osso il capitale di reputazione accumulato in passato e poi lo si butta. L'industria non fa nulla per conservare il capitale reputazionale. Non gli conviene. In un grande marchio regolato dalla legge e dal disciplinare è interesse del singolo produttore conformarsi al minimo previsto dalle regole di produzione e dai controlli. Chi opera meglio non ha alcun tornaconto perché il suo impegno è diluito in un marchio dove gli altri puntano al ribasso. Così l'agro-industria, in questo caso a multinazionale JBS (che dopo aver acquisito la Rigamonti con il benestare dei sindacati, ha messo in cassa integrazione parecchi operai) dopo aver saccheggiato le tradizioni agro-artigianali con le dop e igp opera un secondo saccheggio accaparrandosi denominazioni erichiami alla tradizione.
Così va letto lo schiaffo alla Valchiavenna. Quella "i" era la differenza che consentiva di produrre brisaola artigianale di Chiavenna senza essere confusi con la bresaola industriale della Valtellina. Gli hanno preso anche quella. Perché lo fanno? Perché nessuno osa fiatare. "Se dico qualcosa mi tolgono il fido in banca è una delle scuse più gettonate
". Se, però, a Chiavenna e dintorni qualcuno è stufo di essere considerato una succursale della Valtellina, gli gira che la JBS si sia presa la "brisaola", vorrebbe tornare a valorizzare i prodotti caseari locali e non identificare la valle con il "bitto della Valtellina", sappia che i "ribelli del bitto" sono decisi a portare ovunque in provincia di Sondrio e sulle Orobie la loro battaglia di civiltà contro le prepotenze agroindustriali ai danni dei contadini e degli artigiani del cibo e a sostenere chi la pensa come loro e vuole proteggere i metodi tradizionali, storici, artigianali dalle strumentalizzazioni industriali.


 

 

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