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La politica "verde" gestita da burocrati ignoranti (arrivano i lupi nel Parco  Ticino)



di Michele Corti


(8.07.17) Nell'esultare per la presenza del lupo nella valle del Ticino (documentata a sue spese da un pastore con fototrappola) al direttore del Parco lombardo, Claudio Peja, è sfuggita una bestialità.  L'arch. Peja, classica carriera da burocrate verde, ha dichiarato al Corriere: "Dal Medioevo non c’è più stato un lupo in pianura . Per noi è una grande notizia". Ma meno di 200 anni fa i lupi erano ancora numerosi nella valle del Ticino e rappresentavano un pericolo. Altro che medioevo e "secoli di assenza". Il lupo ha evidentemente dato alla testa. Una tale ignoranza sui temi faunistici da parte chi dirige un importante area protetta, in paesi civili comporterebbe le dimissioni immediate.

È di ieri la notizia dell'accertata presenza di un lupo nella valle del Ticino. La "scoperta" è merito di un pastore. Non è un caso perché i parchi tacciono sempre quando arriva il lupo. Il caso più famoso è quello del Marcantour in Francia nel 1991. Le autorità del Parco ruscirono per sei mesi a tenere segreta la notizia. Succede così ovunque  perché nel decalogo della lobby del lupo sta scritto: "Fare di tutto per ridimensionare la presenza del lupo e negare sempre anche contro l'evidenza che possa essere pericoloso per l'uomo, tenete sempre segrete le notizie circa le nuove presenze". La tattica si spiega con l'esigenza di anestetizzare i portatori di interesse che hanno tutto da temere dalla presenza del lupo. Essi devono sapere le cose quando ormai la presenza è consolidata.
Di fronte a un pastore che, a sue spese (l'onere della prova della presenza del lupo è sempre a carico delle vittime), documenta la presenza con una foto-trappola il Parco, che al 100% sapeva della presenza, ha elevato al cielo inni di gioia, peana di giubilo. Il lupologo Meriggi, che quantomeno non è un lupologo dell'ultima ora, ha avanzato l'ipotesi che i lupi possano essere due: u
n maschio e una femmina (quelo della foto-trappola sarebbe una femmina). Verosimile che si formi presto un branco. Di qui il giubilo del direttore, ma anche del presidente del Parco, Gian Pietro Beltrami, che si intesta il "risultato", ovvero il "frutto del lavoro di oltre 40 anni del Parco". Ma quale risultato? I lupi arrivano perché sono presenti  numerosi nell'Oltre Po pavese dove negli ultimi anni scendono anche in pianura e dove hanno prodotto gravi danni alle greggi sulle prime colline. E da sempre il lupo segue le greggi nelle loro transumanze.


Le immagini del lupo fissate a maggio dalla foto-trappola installata dal pastore per riuscire a dimostrare la presenza del lupo  (le autorità facevano finta di non credere che le predazioni fossero opera del lupo)

Già sognano l'autostrada dei lupi (e calcolano quanti miloni di finanziamenti potranno gestire)

I nostri ecoburocrati, e con loro i politicanti, esultano perché vedono nella valle del Ticino un'autostrada per lupi: un corridoio per far passare i canidi dall'Appennino alle Alpi accelerando la colonizzazione dell'Arco alpino centrale e orientale.  C'è da scommetere che negli uffici del Parco, ma anche nei palazzi della regione dove allignano da decenni protervi animal-ambientalisti, stiano già pensando a un progetto a tema (magari appoggiato dagli stessi che vogliono 200 km di autostrade, la Tav e quantaltro). Le grandi opere inutili (tipo Pedemontana) sono un bel business che, come corollario - frammentando il territorio - si "trascina" il business dei corridoi ecologici. È sempre, a voler ben guardare, la solita logica di spertizione: tanto business cementizio e poi un po' di business pseudo-ecologico di "mitigazione". Tutte le lobby sono accontentate. Più o meno un manuale Cencelli.
Il Parco,
se si concretizzasse la presenza stabile di branchi, intravede prospettive di più visitatori e più finanziamenti . In realtà i lupi in zona ci sono da anni. Quantomeno transitano, ma si sa che prima o poi - se la pensione è di loro gusto (alloggio e vitto) - mettono su famiglia molto in fretta.
Nel novembre 2012 un lupo venne investito e ferito mortalmente sulla superstrada della Malpensa, in un'area fortemente antropizzata. Siamo comunque certi che, se non arrivassero con le loro zampe, qualcuno penserebbe a portarceli. Di lupi in giro pronti per lanci illegali ce ne sono parecchi stante il numero nutrito di recinti, zoo all'aperto, centri recupero fauna, strutture gestite da ferventi lupofili che non ci mettono molto a lasciarsi "accidentalmente" scappare un lupo, a "lavorare", nascondendo o inventando, nascite e  morti (rischio limitato perché chi deve controllare è spesso della lobby anche se ha una divisa, anche se è pubblico ufficiale).


La dentatura del lupo "incidentato" a Varese nel 2012. Non ci vuole un esperto anatomo-patologo per capire le conseguenze dell' "assaggiato" di un barboncino (ma anche di un cane più grosso) da parte di individui come questo.

Pastori e allevatori, ma anche chi abita nelle cascine e ha un cane che resta fuori nella cuccia di notte, invece, non fanno certo festa per questo "ritorno". Siamo anche certi che al primo cane sbranato non saranno pochi a guardare di traverso il Parco che, dopo essere divenuto "fabbrica di cinghiali/porcastri", adesso spera di diventare anche "fabbrica di lupi". Meglio sarebbe se fosse un bel barboncino bianco alla Dudù, del tipico animal-ambientalista da salotto, che si fa la passeggiatina nel Parco.

Il lupo era un incubo in pianura sino a meno di due secoli fa (ed era strage di fanciulli)

La presenza del lupo nella pianura lombarda è documentata sino ai primi decenni dell'Ottocento. Solo negli anni '30 di quel secolo il pericolo (non solo per gli animali domestici ma anche per l'uomo) cessò.

La scomparsa del lupo nella pianura lombarda fu dovuta a diversi fattori: l'intensificarsi delle cacce organizzate, indette ripetutamente nel periodo napoleonico ma anche nel primo periodo Lombardo-Veneto, ma ancor più dall'erogazione di  premi in denaro agli uccisori di lupi e lupicini. Aggiungasi la disponibilità di armi da fuoco più efficienti ma, soprattutto, la scompara dei grandi boschi planiziali.
Lo stato moderno (napoleonico prima, Lombardo-Veneto poi) nel mentre si faceva sempre siù esigente in termini di fisco e di regole da rispettare da parte dei sudditi, doveva in qualche modo bilanciare la crescente invadenza nella società alleviando elementi di insicurezza, disagio, paura, dimostrando così la sua capacità di imporre l'ordine e le leggi e cercando di legittimarsi. Brigantaggio, vagabondaggio, epidemie, carestie dovevano essere considerati retaggi del passato che lo stato moderno aveva sconfitto (o stava sconfiggendo). L'ultima vera carestia in Europa fu quella del 1816 mentre il brigantaggio (nel Lombardo-Veneto) venne eliminato dopo qualche anno.
I lupi vennero eliminati in pianura verso il 1830 ma solo prima della grande guerra in montagna. Per le epidemie si dovette aspettare (la "spagnola" colpì duro anche da noi ancora nel 1918). Per l'importanza politica attribuita allo sterminio dei lupi dal regime nepoleonico si veda il nostro recente articolo su Ruralpini (Lupi e politica a Bergamo e il Lombardia all'inizio del XIX secolo).


Ancora nel XIX secolo i bambini e le bambine venivano sbranati dai lupi, anche nel territorio del Parco del Ticino. Lo dicono fonti governative, atti ufficiali, supportati da testimonianze e esami autoptici di medici legali. Altro che "lupi estinti nel medioevo". Solo l'ideologia e il potere "verde" arrogante possono indurre a simili menzogne.

La scomparsa del lupo in montagna avvenne con un ritatrdo di soli 80 anni rispetto alla pianura, non "secoli dopo", come immagina un'opinione disinformata e condizionata da una decennale campagna della lobby del lupo. Essa da decenni è impegnata in una non disenteressata campagna (fruttata loro decine di milioni di euro da gestire solo di fondi LIFE europei)  tendente a far credere che: il lupo non è pericoloso per l'uomo, che il confitto tra uomo e lupo è un ricordo del passato legato a epoche e aree remote. Quante volte sentiamo dire e leggiamo dai propagandisti della lobby del lupo "sono secoli che non viene ucciso un umano in Italia" (1)
Gli ambientalisti lupofili hanno da decenni applicato religiosamente il consiglio del capo della propaganda nazional-socialista, Goebbels, che diceva: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.  Se non una verità quantomeno una percezione ma, dal punto di vista sociologico, una percezione è una realtà effettuale altrettanto della "realtà vera". Sono le percezioni a guidare atteggiamenti e scelte.
 In realtà gli storici hanno smascherato da tempo (anche in Italia) le manipolazioni degli esperti "scientifici", di matrice naturalistica, che - per sostenere le loro tesi ideologiche aprioristiche e per palesi interessi personali e di lobby - hanno finto di ignorare quanto
scrivevano i naturalisti (più onesti) dei secoli scorsi. Ovvero che i lupi erano un grave pericolo, un incubo che giustificava credenze e favole, frutto della saggezza popolare (ora censurate e rescritte in nome del politically correct, del pensiero unico buonista-ecoanimalista). Il merito dell'opera di demistificazione, documenti storici alla mano, va al francese Moriceau e al nostro Comincini (di Abbiategrasso, nel Parco del Ticino).



Sappiamo oggi che il conflitto uomo-lupo fu particolarmente acuto nella tarda età moderna, molto più che nel medioevo. L'aumento delle popolazioni umane, l'intensificazione dell'agricoltura, la distruzione dei boschi in pianura e la riduzione della selvaggina ivi presente, rappresentarono tutte circostanze che contribuirono ad aumentare il numero di vittime umane tra il Seicento e l'inizio dell'Ottocento.
Solo con riferimento ai comuni del parco diretto dal  Peja  Mario Comincini (1) ha registrato i casi (desunti da atti d'archivio) che vengono riportati nel box in fondo alla pagina. Moltissimi casi, ricostruiti da Comincini riguardano poi il Nord Milano e un po' tutte le provincie lombarde. Oltre che dal dipertimento dell'Olona (provincia di Milano, Pavia, Lodi, Varese, Monza) notizie allarmate di predazioni umane da parte del lupo arrivavano negli anni napoleonici anche da prefetti e vice-prefetti di altri dipartimenti (per esempio da un'altra zona di pianura come il Trevigliese).

Oggi il Parco si dimostra l'erede delle riserve di caccia signorili del passato (anche nelle forme ideologiche). Non pago dei danni causati dai cinghiali, reintrodotti da privati negli anni '70 del secolo scorso, ma proliferati in forza del divieto di caccia nel "sacro Parco", l'area protetta ambisce a diventare un corridoio e una fabbrica di lupi. Il problema non è nuovo. All'inizio dell'Ottocento Napoleone, sovrano del Regno d'Italia (vice-re era il figliastro, nominato a 23 anni, Eugenio di Buarnehais), volle rinverdire i fasti dell'epoca viscontea e sforzesca, introducendo molta selvaggina. Grazie all'inviolabilità della riserva (le guardie non scherzavano allora) i lupi "proliferavano" come lamentavano non solo i podestà di alcuni comuni della valle del Ticino ma lo stesso vice-prefetto di Vigevano.
Il 6 gennaio 1810. Il podestà di Vigevano chiedeva che si possa cacciare anche nella riserva reale, nei boschi della valle del Ticino poichè "una quantità straordinaria di lupi infesta le campagne circostanti, tanto che non passa giorno che siano avvistati anche presso la città; di notte divorano i cani a guardia delle cascine della periferia". Questa e molte altre notizie sono riferite da Comincini e Oriani (2). Tali testimonianze, rese da autorità pubbliche importanti, non possono essere liquidate come fantasie dai moderni lupologi; di più sono di grande interesse perché mettono in discussione l'assunto che vorrebbe il comportamento antropofago del lupo legato a contingenze particolari, nella fattispecie alla mancanza di prede selvatiche.
Nella riserva reale di caccia di Vigevano la selvaggina, specie dopo le immissioni di Napoleone, abbondava. Eppure i lupi si avvicinavano agli abitati con intenti predatori. Un fatto che induce a ritenere che, qualora il lupo avesse la possibilità di predare senza rischio gli umani (come avveniva per i bambini soli al pascolo nei secoli passati) e qualora si riabituasse a farlo in modo ricorrente, tornerebbe a diventare un serio pericolo. Avvisaglie di aggressioni alle persone (adulte), veri campanelli di allarme, sono state registrate in Italia negli ultimi anni (significativo il caso di un uomo che non lontano da Torino, a gennaio di quest'anno, è stato aggredito da un lupo mentre difendeva il suo cane vai all'articolo di Ruralpini).

 
Di seguito riportiamo le "microstorie" ricostruite da Comincini e Oriani riferite ai soli comuni dell'attuale parco del Ticino, quello diretto dal "fenomeno" Peja, che retrodata di ben 3-4 secoli la scomparsa del lupo nel "suo" parco (della serie quando l'ideologia gioca brutti scherzi, ovvero quando la "percezione" del lupo è plasmata da decenni di brainwashing dal "progetto San Francesco" del WWF in avanti con venti, dicasi venti, progetti LIFE pro lupo, ciascuno con varie milionate).

Peja percepiva (dopo questo articolo si spera non più) il lupo come un animale mitico del passato. Non molto ferrato in storia, si direbbe, ha identificato questo passato mitico e remoto, con un medioevo idealizzato (i "secolo bui"), senza documentarsi sul fatto che, in quel tempo, il lupo faceva molto meno paura che nei secoli successivi e non rappresentava un grosso problema.


Abbiategrasso.
1655. Il tenente generale delle cacce organizzò delle battute in seguito all'uccisione di 17 persone da parte dei lupi.

Besate.
13 dicembre 1787. I fratelli Brusati chiedono di incassare il premio per l'uccisione di un lupo.

Robecchetto con Induno.
4 giugno 1801. Funzionari pubblici e un chirurgo visitano il cadavere di un bambino di 9 anni attaccato da un lupo mentre rientrava dal pascolo

Besnate.
9 giugno 1809. In un avviso a stampa il prefetto di polizia del dipartimento dell'Olona segnala che un lupo ha divorato un giovinetto.

Gallarate.
1801-1805. Nella zona tra Casorate e Arsago i lupi sbranarono una bambina.
25 giugno 1812. il viceprefetto ordina ai sindaci del distretto di Gallarate una caccia generale: "al fine di esterminare i feroci lupi che anidano ne' boschi circonvicini e che infestano le campagne sbranando alcuni fanciulli".
3 agosto 1812. Il prefetto di polizia del dipartimento dell'Olona iatituisce premi straordinari e invia 50 copie di avvisi a stampa relativi dal momento che: "è infestato questo dipartimento [provincie di Milano, Monza, Pavia e Varese] e specialmente il distretto di Gallarate da lupi che attentano alla vita de' fanciulli parecchi de' quali caddero già vittima della loro voracità".

Lonate Pozzolo.
1676. I lupi hanno sbranato tre bambini rispettivamente di 9, 10 e 11 anni.

Somma lombardo.
24 luglio 1792 il magistrato politico camerale [sorta di ministro dell'economia] ordina, qui come altrove, la realizzazione di fosse per intrappolare e uccidere i lupi e, per ogni esemplare catturato, promette un premio di 150 zecchini.
5 agosto 1802. Nei boschi di Somma un lupo uccide Pasquale Oriboni di 7 anni. Il vice prefetto di Varese descrive le ferite riscontrate in sede di autopsia del cadavere e scrive che i lupi hanno attentato anche alla vita di altri fanciulli.

Vizzola Ticino.
7 febbraio 1648. Carlo Balino, di 23 anni, muore in seguito ad un attacco di lupi.
8 maggio 1650. Giovanna Pasquina, di 8 anni, viene uccisa e quasi completamente divorata dai lupi.
19 luglio 1650 Stefano de Borini, di 8 anni, viene ucciso dai lupi. La parte anteriore del corpo è divorata.
26 aprile 1655. Ambrogio de Zocchi di sei mesi viene ucciso da un lupo.
19 giugno 1808. Giuseppina Boretti di 13 anni mentre al pacolo giocava con le compagne e raccoglieva funghi lungo il Ticino viene portata via e divorata da "una bestia". Il cadavere è ispezionato dall'autorità giudiziaria.

Garlasco.
12 novembre 1809. Il podestà ritiene difficile lo sterminio dei lupi causa le limitazioni legate al regolamento sul porto d'armi e la presenza della riserva reale.
9 settembre 1813. Il podestà segnala al vice prefetto di Vigevano che sono stati avvistati tre lupi e altri lupicini.
1 ottobre 1813. Il viceprefetto di Vigevano informa il prefetto che nei boschi della riserva reale vi sono grandi quantità di lupi che di notte si spingono nelle camnpagne vicine.

Pavia.  1811.  Si ricordano "stragi fatte dai lupi" in un testo sulla fauna italiana del 1872 (E.Cornalia)

Vigevano.
28 orttobre 1808. Il viceprefetto valuta troppo dispensiosa una caccia generale poiché vi sono troppi boschi nella zona e suggerisce di puntare sui premi agli uccisori, dal momento che "robusti paesani sacrificherebbero di buon grado molte notti per guadagnarseli".
6 gennaio 1810. Il podestà chiede che si possa cacciare anche nella riserva reale, nei boschi della valle del Ticino, poichè una quantità straordinaria infesta le campagne circostanti, tanto che non passa giorno che siano avvistati anche presso la città; di notte divorano i cani a guardia delle cascine della periferia.
14 agosto 1813. Il podestà informa il prefetto che una "prodigiosa" quantità di lupi si annida nella valle del Ticino e che quasi tutti i giorni attaccano le cascine predando bestiami e pollami con il rischio che siano vittime anche i fanciulli.

Zerbolò. 10 ottobre 1807. Il vice-prefetto di Vigevano segnala la presenza dei lupi nell'alta costa e nella valle del Ticino. Ipotizza che i branchi seguano i greggi transumanti ma sostiene che si riproducono in pianura pur non potendo prolificare a causa della caccia condotta dai contadini "che in gran numero sanno bene adoperare il fucile".




Note

(1) A volte i lupofili azzardano anche: "in Europa". In realtà è documentato che ai primi dell'Ottocento furono ancora sbranati bambini in Lombardia (due secoli fa) mentre in Abruzzo e in altre parti d'Italia si registano vittime del lupo ancora nel periodo tra le due guerre mondiali (molto mneo di un secolo fa). Quanto all'Europa occidentale sono noti i casi di uccisioni di bambini d aparte dei lupi in Spagna ancora negli anno '70 del secolo scorso.

(2) M. Comincini, A.Oriani, "Microstorie", in M. Comincini (a cura di) (2002). L’uomo e la “bestia antropofaga”. Storia del lupo nell'italia settentrionale dal XV al XIX secolo, Unicopli, Milano, pp. 193-253




 

 

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