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La protesta degli allevatori della Lessinia assume forme sempre più clamorose. Quest'anno la strage ha riguardato ben 63 capi bovini. Alcuni allevatori sono stati ripetutamente colpiti. Come Moreno Riva un allevatore trentenne, che - alla quarta predazione avvenuta martedì scorso - con l'appoggio e la solidarietà di colleghi e amici che "hanno messo la faccia" ha caricato sulla pala del trattore l’ultima manzetta dilaniata in malga dai lupi martedì e l’ha scaricata in piazza, davanti al monumento ai Caduti.

(19.12.15) Piano lupo: i lupocrati vogliono dettare legge ai pastori
 Il Piano lupo conferma, se ce ne fosse bisogno, l'arroganza della lobby che - almeno sino ad oggi - ha potuto operare su un piano di totale autoreferenzialità finanziandosi con 18 progetti LIFE.  L'impostazione del Piano è molto pericolosa per i pastori e gli allevatori in quanto mira in modo ormai scoperto ad utilizzare il lupo per imporre una gestione dello spazio rurale che escluderà l'uomo

(19.12.15) La convivenza con il lupo è impossibile  
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(04.09.15) Pastori francesi prendono in ostaggio i vertici di un parco
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Una testa  di lupo mozzata sanguinante è stata appesa ad un cartello informativo dell'ex comunità montana della valle dell'alto Tanaro ad Ormea. Si tratta di una forma di protesta cruda ma che in Toscana è servita a scuotere la politica. Una protesta comprensibile ma che fornisce alibi all'ecopotere, alle potenti lobby del rewilding. Meglio le forme di protesta degli allevatori e pastori francesi

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(04.12.14) Taricco e altri deputati Pd presentano una interrogazione pro pastori anti lupi 
C'è voluto il manifesto-appello pro pastori anti lupo apparso sul quotidiano  gauchiste Liberation (firmato anche da Carlin Petrini) per dare coraggio a Taricco e soci e spingerli a presentare una interrogazione ai ministri dell'ambiente e dell'agricoltura che farà infuriare gli animalisti.  Quando era assessore all'agricoltura piemontese il nostro cercò di ottenere dal Ministero dall'ambiente l'autorizzazione ad abbattere qualche lupo. Le risposte furono elusive ma sostanzialmente negative. Basate sul gioco italico della "mancanza di dati". "Non sappiamo quanti sono i lupi, quanti sono bracconati". Un "non sappiamo" indegno di un paese civile. Ora Taricco chiede da deputato: "Quanti sono i lupi in Italia, quanti danni fanno?". Ci sarà da divertirsi.

(13.11.14) Appello di accademici e specialisti francesi di varie discipline per i pastori
La cultura e l'accademia italiana sono affette dai secolari vizi di provincialismo, conformismo, servilismo disprezzo per i contadini. Chiunque si sente un minimo acculturato in Italia deve aderire al dogna: "lupo è bello, pastore è zotico ignorante". Quindi chissenefrega se i lupi stanno mettendo in ginocchio i pastori in tani comprensori. In Francia, invece, 35 studiosi e specialisti firmano un appello a favore dei pastori denunciando che la pressione predatoria che mina la biodiversità, il paesaggio, i prodotti alimentari più autenticamente 'legati al territorio'. Tra loro Carlin Petrini, fondatore di Slow Food 

07.09.14 I lupi favoriscono l'agricoltura industriale 
In un documento diffuso in questi giorni la Confédération paysanne accusa la politica della diffusione dei grandi predatori e della loro ingiustificata super-protezione di  favorire le fabbriche zootecniche senza terra. Ma anche dal Trentino, Silvano Rauzi, presidente della para- istituzionale Federazione Allevatori della provincia di Trento denuncia come il progetto Life Ursus (con 60 orsi presenti nel Trentino occidentale) stia provocando non solo l'abbandono delle malghe ma anche la chiusura delle aziende zootecniche

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Le "esposizioni" delle carcasse dei lupi non hanno prodotto solo l'esecrazione rituale degli animal-ambientalisti e la malcelata soddisfazione degli allevatori. Hanno stimolato un dibattito tra coloro che hanno a cuore il territorio dal quale emergono molte posizioni critiche sull'introduzione del lupo in un territorio vocato all'allevamento ovino

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(17.11.2013)Imbrogli ecologici: WolfAlp
Grazie alle spudorate menzogne scientifiche "il lupo è sempre a rischio di estinzione" i cordoni della borsa per i progetti pro lupo dei parchi sono sempre aperti. Sarà bene che si sappia che 7,15 milioni di euro vanno ad ingrassare i meccanismi clientelari dei Parchi mentre sempre più pastori, produttori onesti e sostenibili che non usano concimi chimici e pesticidi, abbandonano



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Orso e lupo

Piano lupo: gli ambientalisti vittime delle loro bugie
di Michele Corti

(30.12.16) Le barricate dell'ambientalismo istituzionale hanno impedito che proseguisse il suo iter e l'approvazione entro l'anno il "Piano nazionale di conservazione del lupo", che doveva sostituire quello del 2002. Calendarizzato per il 7 luglio alla Conferennza stato-regioni il Piano non è più stato inserito all'ordine del giorno.


La paura di perdere altri SI al referendum ha fatto soprassedere, probabilmente. Dopo che il popolo del Family Day l'aveva giurata a Renzi non si voleva perdere Si anche sul fronte ambientalista. Così vanno le cose in Italia. le decisioni possono aspettare. Tanto chi ci rimette nell'inerzia? I sudditi. Così passano gli anni e il lupo diventa sempre più un problema. L'aver dipinto il canide, sempre e ovunque in Italia, come a rischio di estinzione (mentre esso si espandeva alla grande), ha reso gli ambientalisti prigionieri delle loro stesse bugie, della ideologizzazione e idealizzazione della loro inconsapevole "bandiera". E con loro la politica che ascolta cento volte più loro degli interessi diffusi delle comunità rurali.

Il lupo vittima della troppa protezione

La colonizzazione, da parte del lupo, di ambienti fortemente antropizzati (dove non era presente neppure un secolo fa), l'ha esposto al rischio di ibridazione con il cane, mentre è cresciuta la sua impopolarità presso le popolazioni rurali che, ormai, lo conoscono da vicino e non sono più ipnotizzate dal lupo delle favole ambientaliste televisive (che continuano a condizionare il pubblico delle città). Ai fini della mitigazione del conflitto sociale, sempre più esacerbato, gli stessi studiosi del lupo e gli ambientalisti si rendono conto benissimo (in camera caritatis) della necessità di introdurre un controllo legale. In assenza di esso pastori, allevatori, abitanti della montagna e delle colline, percepiscono le soppressioni del lupo come un atto indispensabile di resistenza sociale, nell'inerzia in uno stato che tutela solo gli interessi "che portano più voti", quelli - alla fine - più forti, e che si autopromuovono meglio, ovvero quelli di chi sta in città, negli uffici, ha più risorse economiche, più reti di relazioni che contano, ha più possibilità di studiare, organizzarsi e fare lobbying. La funzione riequilibratirice della "politica democratica" resta una pia finzione. La politica sta con i più forti.

Un piano ridicolo

Chiariamo subito che se il "Piano lupo" è bloccato per via dei problemi sollevati dagli ambientalisti esso non può portare nulla che venga incontro alle richieste degli allevatori. Le "aperture" al controllo sono condizionate da così tanti e tali fattori (il controllo si attuerebbe solo se l'area ha danni superiori al 40% della media, solo se è censita la popolazione di lupi e se si conosce la mortalità, solo se non nell'area non sono stati trovati bocconi avvelenati, solo se gli allevatori attuano i metodi di difesa con i cani e i recinti, solo se la popolazione nell'area non è minacciata da malattie ecc. ecc.). Basta questo per capire che non ci sara mai un solo abbattimento, almeno per anni. Esso, in ogni caso deve essere singolarmente approvato (uno per uno) dall'Ispra e dal Ministero con u proprio iter. Il lupo, nel frattempi, fa in tempo a morire di morte naturale (o per mano di qualcun altro). In ogni caso il numero di abbattimenti non potrebbe superare il 5% della popolazione. Ma, attenzione, calcolata sulla stima prudenziale. Ovvero quella "ufficiale" di 1000-2000 lupi, ovvero, su mille, ovvero cinquanta. Gli animalisti vanno in giro stracciandosi le vesti dicendo (mentendo sapendo di mentire) che il Ministero vuole abbattere 60 lupi. In tanto il Ministero autorizza e non abbatte (la competenza è delle regioni). Facciamo poi notare che, nel 2013, Mattioli et al. (lupologi) stimavano in 1600-1900 capi la popolazione lupina italiana precisando, però, che i metodi di rilevamento tendono alla sottostima e che sono applicati nel periodo dell'anno in cui la popolazione è al minimo (Mattioli L. , Forconi P. , Berzi D. , Perco F. Stima della popolazione di lupo in italia e prospettive di monitoraggio wolf population estimate in italy and monitoring pers
pectives , in Atti IX Congresso Italiano di Teriologia - Civitella Alfedena - AQ - 7-10 maggio 2014. Il piano poi prevede un apparato di investigazione del bracconaggio con squadre antiveleno, e tutta una vera e propria messa in scena, per far credere che si voglia contrastare realmente il fenomeno. Nel seguito dell'articolo aiuto a capire perché è tutta propaganda (il veleno è  solo uno dei mezzi di soppressione dei lupi. Poi  nessuno - verdi in primis - ha veramente interesse a combattere i bracconieri, utile mezzo di contenimento di una pressione predatoria e di un allarme sociale crescenti e un ottimo bersaglio retorico. Per gli altri aspetti del Piano lupo (per quanto riferiti alla vecchia bozza) si veda quanto scrivevamo un anno fa (vai al link)

Insostenibile la linea sin qui seguita

Diventa oggi sempre più difficile per lo stato sostenere la linea del :"non si tocca un pelo a un solo lupo". Il conflitto è uscito dalle "sacche" della Maremma e della montagna appenninica o e investe valli a pochi chilometri da Torino e, soprattutto, è arrivato in Lessinia, a pochi chilometri da Verona.  La Lessinia è una montagna molto particolare, dove l'allevamento bovino da latte è gestito con criteri simili alla pianura, alimenta una filiera economica importante ed è una componente fondamentale della società locale. Una differenza notevole rispetto allo stesso Piemonte, dove sono colpiti allevamenti estensivi ovicaprini e bovini da carne, realtà più "diluite" nel contesto di un territorio montano cuneese e torinese già di per sé segmentato in tante valli profonde e poco popolate. In Lessinia, un altopiano, organizzarsi è più facile, i contatti sono più frequenti. La conseguenza è che l'impatto politico del branco della Lessinia è maggiore di quello delle popolazioni di lupo di intere regioni.  Il tutto anche se, persino in Lessinia, il livello della capacità di ascolto della politica si ferma ai sindaci e a qualche esponente politico veronese o della montagna veneta. Al di sopra, nelle regioni, a Roma, a Bruxelles c'è il muro di gomma di una politica (a sinistra come a destra) che, per ragioni di calcoli elettorali, è ancora compattamente schierata con l'ambientalismo. Non parliamo della burocrazia che ha numerose, organiche e opache connessioni con le lobby ambientaliste. Anche in Veneto, dove pure c'è uno schieramento contro la presenza del lupo degli amministratori locali la Regione Veneto, molto democraticamente, ha del tutto abdicato a WolfAlp (Sonia Calderola e Semenzato) la gestione del lupo
. Si realizza così la governance del territorio auspicata dagli ambientalisti: le istituzioni rappresentative esautorate, mentre la lobby assume le reali funzioni decisionali e amministrative. Un nuovo feudalesimo.
Nonostante questo la politica inizia a provare imbarazzo per il diffuso allarme sociale e la protesta antilupo che non si riesce più a tenere del tutto nascosta.   La politica sa bene che la stessa opinione pubblica cittadina, nonostante decenni di lavaggio del cervello ambientalista televisivo, è volubile. In Trentino nella popolazione si è passata dal 70% di favorevoli all'orso al 70% di contrari. Uno spostamento rapido, dovuto ai primi segnali di danno al turismo e al fatto che i più gravi episodi di aggressione da parte di orsi all'uomo sono avvenuti in comune di Trento o a poca distanza da esso.


Nel 2017 il WWF ha promuove il tesseramento facendo leva sull'incombente minaccia di un (fantomatico) piano di abbattimento dei lupi. Demagogia a buon mercato per fare cassa. Ma in questo modo  WWF e Legambiente sono prigionieri del loro stesso estremismo perché non potranno giustificare davanti agli ingenui soci che, prima o poi, i lupi verranno abbattuti legalmente. Su altri fronti ambientali, invece, sono più che moderati, del tutto conniventi con le speculazioni contro l'ambiente.

 L'avvicinamento del lupo alle città, e la crescente insofferenza contro la burocrazia e l'Unione Europea, entrambe percepite (giustamente) pro lupo, non possono lasciar ben sperare nella durata del consenso dell'opinione pubblica alle politiche protezionistiche. L'esito del referendum costituzionale, che ha liquidato clamorosamente il disegno neoaccentratore renzista (ed è spiegabile anche con un sempre più diffuso sentimento antiglobalizzazione e antiUe) non favorisce l'ambientalismo e la sua capacità di influenzare la "governace". Una capacità che è tanto più efficace quanto più agisce a livello centrale, nelle organizzazioni internazionali non elettive, nelle opache stanze dell'Europa dei tecnocrati.
Le regioni sono uscite più forti dal referendum e anche se qualcuna (prima del referendum) come il Piemonte e il Lazio, si è associata alla demagogia ambientalista, opponendosi all'inserimento nel "Piano lupo" anche della sola possibilità teorica di ricorso agli abbattimenti, altre regioni potrebbero - nella nuova situazione - permettersi di prestare più attenzione al mondo rurale e allevatoriale. Un altro fattore che non favorisce l'ambientalismo è l'abolizione del Corpo forestale dello stato (CFS) che, in alcune situazioni, si comportava come una polizia politica ambientalista sostenendo con l'azione amministrativa la politica pro lupo. 



Segnali di un nuovo atteggiamento dei media

Da qualche anno anche la grande stampa nazionale si è "accorta" che i lupi non sono quella benedizione che gli ambientalisti vogliono far credere e, sia pure raramente, sono apparsi dei servizi che riflettevano "l'altra campana". La paura non è più ridicolizzata ma considerata un fenomeno sociale reale. Così un articolo del Fatto quotidiano dello scorso agosto che (per non urtare troppo il lettore ambientalista) tira in ballo l'ibridazione.



 Quest'anno, però, è stato un servizio delle Iene (del 16 febbraio) che ha destato scalpore. Il solo titolo è stato un pugno allo stomaco all'ambientalismo: “Quando il lupo diventa una minaccia“.
Ma come? Se il lupo è un'opportunità per il turismo, una panacea per l'ambiente che rifiorisce e si ripopola di ogni tipo di animale per la sua solo magica presenza.



Pur nella spettacolarizzazione e nella brevità del servizio, esso ha portato alla ribalta televisiva (quindi alla dimensione di fenomeno sociale che non si può più far finta di ignorare nell'arena pubblica) quello che decine, centinaia di articoli della stampa locale vanno raccontando da anni: le aziende agricole che hanno chiuso i battenti, le aziende faunistiche devastate, i cani sbranati sotto casa,  i bambini che non possono più giocare all'aperto.
Lo scandalo è consistito nel dare voce a chi ha paura del lupo, a chi ne farebbe volentieri a meno e persino a chi si, esasperato, si fa giustizia da solo, nell'inerzia dello stato. Uno stato che non sa e non vuole adempiere a quel dovere minimo e basilare che lo legittima ad estorcere ai cittadini la metà della ricchezza nazionale: difendere i cittadini, la proprietà, il lavoro, l'impresa, garantire la sicurezza.
Anche ai cittadini di serie C delle località appenniniche, quelle che i verdi non aspettano altro che si spopolino per celebrare la wilderness, la rivalsa della natura. Più prosaicamente per gestire grandi parchi e relativi business (comprese biomasse, traffici di CO2 e quant'altro) senza comunità locali "retrograde" per i piedi. 
Non importa se l'ammazza lupi intervistato dalle Iene abbia ucciso o meno i 15 lupi di cui si vanta. Il fatto è che in Italia di lupi se ne ammazzano parecchi e proprio con quei sistemi illustrati dall'anonimo. Gli ambientalisti lo sanno benissimo. Di fronte alla loro coscienza continueranno a mettere alla gogna i "bracconieri" o saranno sfiorati dal dubbio di essere loro, almeno in parte, i responsabili? Con il loro approccio ecofascista alla dimensione sociale del problema.



Cifre in libertà (ma quanti soldi sono stati spesi per studiare il lupo in Italia?)

Agli ambientalisti il servizio delle Iene non è proprio piaciuto, non perché non vogliano denunciare il "bracconaggio", ma perché lo vogliono fare a modo loro, facendo credere che i "bracconieri" siano dei sadici, dei disturbati mentali o dei pastori "culturalmente arretrati", per non dire apertamente ignoranti (il che fa emergere la vena classista e razzista dei nostri). Da una parte gli ambientalisti enfatizzano il "bracconaggio", ma dall'altra non vogliono approfondirne la realtà, perché è per loro scomoda. Il WWF, per sostenere la campagna contro l'inserimento della previsione di una limitatissima possibilità di abbattimento di lupi nel "Piano lupo" evoca uno scenario di 300 lupi "bracconati" all'anno. Da anni gli ambientalisti parlano di 10-20% di mortalità da bracconaggio (senza avere alcun elemento). Una cifra elevata frutto di pure congetture perché, come è noto, il "bracconiere" di solito fa sparire il "corpo del reato". Stranamente gli ambientalisti sono più bravi a stimare i lupi "bracconati" che non quelli vivi e vegeti. Questi ultimi sono - come abbiamo già ricordato - stimati nel numero di 1000-2000, con una encomiabile imprecisione (che torna comoda).

In Francia dove lo stato è serio il fenomeno lupo è monitorato da organi pubblici, si fornisce un numero di lupi stimato all'unità (ultimo valore 292). Alla maggiore trasparenza corrisponde un fatto molto importante: la maggior parte del budget del lupo va agli allevatori. All'opacità italiana corrisponde l'incasso da parte degli ambientalisti (e delle loro strutture, pseudopubbliche) della gran parte del budget. Nell'opacità si ripetono progetti fotocopia che consentono "margini" elevati di profitto.
In Francia vengono indennizzati non solo i capi predati (9.000) ma anche le ore di lavoro impiegate per apprestare le difese passive. La spesa è di 8 milioni di euro per lo più per il lavoro extra. Ad ogni imprenditore si rifondono 50€ al giorno, più 25
per l'aiuto pastore. In Italia gli indennizzi sono parziali, condizionati da mille cavilli, da massimali assicurativi, da compartecipazione ai premi assicurativi, da denunce e pratiche che portano via giornate, da non isolati veterinari (pubblici) che tifano lupo e mettono in dubbio la buona fede del pastore, da ritardi nelle liquidazioni.
Si dirà: "ma molti sono fondi Life". Un'aggravante!
Ricordiamoci che l'Unione Europea è un ottimo sistema per decidere non democraticamente dove devono andare le risorse, ma che è finanziata estorcendo tasse al contribuente italiano che senza controllare in alcun modo la spesa (il Parlamento europeo è un costoso soprammobile) paga 104 all'Europa per vedere tornare 100. Questi 100 sono spesi come vuole l'Europa (ovvero un governo non eletto da nessuno). Poi gli "intelligenti" (che certo non parlano disinteressatamente) si meravigliano che i sudditi della EU siano "disaffezionati", "euroscettici".  Gli ambientalisti, graziosamente, con le briciole dei progetti, regalano reti elettriche e cani agli allevatori (da qualche parte anche recinzioni fisse), ma solo a quelli "che fanno i bravi" che accettano di ripetere come tante scimmie a comando che si può convivere con i lupi ecc. Buoni da esibire ai convegni come tanti buoni selvaggi ammansiti. Utili a far montare la collera degli altri, come quelli che non hanno in regalo una recinzione fissa e sanno che il lupo mangerà più a suo carico. Divide et impera. Il Italia i danni, con 2000-2500 lupi (stima approssimativa, forse ancora per difetto, che tiene conto del fatto che i censimenti locali sottostimano le presenze), sono stimati con la solita precisione a 1-2 milioni di euro. Una frazione di quelli Francesi. Come è possibile? Quanto indennizzano parchi e regioni nessuno lo sa. Nessuna sa nulla. Eppure per sapere i Signori del lupo ricevono risorse importanti dalla mano pubblica. Nessuno chiede conto loro di tutto questo e si approvano nuovi progetti in automatico (il lupo è specie di grande importanza, ancora in pericolo e la scusa continua a funzionare). Quindi, nella completa autoreferenzialità, la policy del lupo a l'italienne procede.

Maledetti "bracconieri", anzi benedetti

In ogni caso gli ambientalisti sanno bene che, dove esiste un controllo legale, il "bracconaggio" si riduce. Per quale motivo? Perché non è bracconaggio, come fanno credere, ma è una forma di controllo esercitata dagli allevatori e dai pastori "supplendo" all'inerzia dello stato. Il bracconiere, storicamente, è un professionista della caccia di frodo, che opera per necessità economica, per sfida al potere costituito o per lucro. Un pastore con un fucile (o anche una trappola) non è un bracconiere. Le menti ambientaliste non hanno ancora capito la differenza tra "caccia" e "controllo". Eppure è una differenza chiarissima su cui si regge la normativa sulla "protezione della fauna omeoterma e l'esercizio dell'attività venatoria". Gli ammazzalupi non vanno a caccia di lupi. NFinché si resta in questi equivoci non ci sarà nessuna possibilità di dialogo... e i lupi continueranno a morire in modo atroce.
Il bracconiere emiliano alle Iene ha spiegato tecniche che vengono usate anche in altre parti d'Italia (riferite dalla stampa locale). Sono tecniche tradizionali escogitate nei secoli dalle popolazioni rurali per difendersi dai lupi. Non per cacciarli. Infatti con questi sistemi  la carcassa molto spesso non si ritrova più. Chi ammazza il lupo non lo fa per ottenere una preda ma per toglierlo di mezzo.


da: G.Todaro, La bestia del Gévaudan, 2011

Le trappole per lupi si acquistano su E-bay e basta leggere qualche libro (anche su Internet) per apprendere le tecniche per la soppresisone dei lupi. Alla necessità di operare senza rischiare di farsi prendere corrispondono, di solito, le tecniche più crudeli. Tutti sanno che quando un cacciatore esperto tira al lupo lo colpisce al cuore puntando appena dietro la scapola (in corrispondenza del cuore) e il lupo muore di colpo, senza soffrire.


Un tiro di precisione di un guardiacaccia del canton Vallese. L'esemplare si era reso responsabile della predazione di oltre 35 capi e, secondo la strategia lupo elvetico, oltrepassare quella soglia fa scattare l'ordinanza di abbattimento.

Il controllo del lupo "fai da te", motivato dall'assenza dello stato e dal  risentimento sociale contro gli ambientalisti da salotto (che fanno del lupo un business), provoca al lupo lunghe e penose agonie. Tutta colpa dell'ultimo anello della catena? Di chi appende l'amo, di chi posa il laccio, di chi mette in azione la tagliola, di chi sparge bocconi avvelenati, boccono e sangue con vetri rotti? Forse, ribadiamo, ci sarebbe da riflettere su certi "amici del lupo" più amici di sé stessi che del lupo.

Dal libro La bestia del Gévaudan di Giuseppe Todaro, che racconta la più famosa vicenda di antropofagia lupina, si legge che la trappola a uncino a ad amo sospeso - impiegata con particolare frequenza in Francia nel periodo fra il XVI e il XIX secolo - veniva utilizzata in inverno quando il lupo è meno prudente. Formata da una fune o da una catena appesa ad un ramo di un albero con all'estremità un grosso uncino nel quale veniva posta l'esca, solitamente un pezzo di carne avariata allo scopo di attirare il predatore con il forte odore. Oggi si usano i molto più  efficienti fili di acciaio. L'uncino in Francia veniva appeso a due metri di altezza. Il lupo spiccava un balzo e rimaneva agganciato. La fine del lupo non era umana. Nel XVIII secolo in francia il rozzo uncino (quello che usano oggi gli ammazza lupi) veniva sostituito da un "traquenard" con la molla che smorzava gli strappi e il peso dell'animale. Todaro illustra anche altre trappole crudeli, per esempio un lungo ago di ca 15 cm (o una lamina d'acciaio affilata ed elastica) tenuto teso ad arco da un tendine o striscia di pelle e inserito in un boccone di carne grande come un albicocca. L'acido cloridrico secreto dalla mucosa gastrica corrodevail legaccio e la molla scattava. Più semplici, ma efficaci, i bocconi di carne con inseriti aghi e frammenti di vetro che provocavano fatali tagli non solo allo stomaco e alla bocca ma anche alla lingua, e quindi il dissanguamento. Sono sistemi che risalgono anche a secoli fa come documenta la miniatura sotto dell'inizio del XV secolo (dal volume di M.Comencini, L'uomo e la bestia antropofaga, Unicopli, Milano, 2002). I lupi esperti non ci cascano facilmente, ma quelli giovani si. Oggi i lupi si servono al supermercato sotto casa, pranzi lauti offerti da pastori e allevatori con le mani legate. In definitiva questi sistemi: 1) sono inaccettabili per via delle atroci sofferenze che procurano all'animale; 2) sono parzialmente efficaci per quanto sopra ricordato; 3) sono spesso letali per altri animali, cani compresi. Ma se non si interviene in altro modo, per esempio con il "tiro di difesa" consentito in Francia nei dipertimenti più a rischio (prima il pastore spare in aria, poi mira il lupo se questo non desiste dall'attacco), gli ammazzalupi continueranno a usare gli ami e le altre terribili trappole.



Il campionario di queste trappole comprende altri sistemi, tutti crudeli (come le spugne fritte e ridotte a picole dimesnioni che si espandono nello stomaco dello sfortunato lupo e cane che le ingoia impedendogli di nutrirsi). In passato si usavano questi sistemi crudeli, ma si preferivano sistemi alla "luce del sole". Sistemi "istituzionali" come le "fosse lupaie" che erano le stesse autorità, in alcuni casi, a realizzare e mantenere in efficienza. I bocconi avvelenati o "armati" determinavano l'impossibilità di riscuotere i premi perché il lupo agonizzante si ritirava in luoghi inacessibili. E siccome per riscuotere i premi che ovunque erano concessi agli ammazzalupi era necessario esibire la pelle o quantomeno la coda (che venivano marchiate in modo che l'ammazzalupi non potesse riscuotere in un'altra località il premio).
Giova ricordare, per aiutare a capire quanto era grave il problema dei lupi che se in Italia l'attività dei "lupai" era svolta in larga misura da "operatori privati", in Francia esiste da 1200 anni un corpo paramilitare, la louveterie, che esiste tutt'oggi.



Effetto sociale e psicologico (il "bracconiere" eroe sociale o balordo?)

Se gli ambientalisti non fossero condizionati dalla loro demagogia accetterebbero senza problemi quel limitato controllo del lupo che è attuato in tutti i paesi dove sono presenti popolazioni che impattano sulle attività pastorali e zootecniche (e sul senso di insicurezza delle popolazioni delle piccole frazioni). Ma, per anni, hanno sbandierato come un successo l'interdizione efficace contro ogni “apertura” al controllo legale del lupo. Il Ministero e i comitati degli esperti (dove siedono gli stessi ambientalisti portatori dei "superiori" interessi ambientali) hanno più volte respinto – vigente il vecchio “Piano lupo” del 2002 – le richieste delle regioni tendenti all'autorizzazione di alcuni abbattimenti selettivi (il Piemonte sia con un assessore leghista che uno del PD ha chiesto a più riprese di poter abbattere dei lupi). Oggi sostengono, con scarsissima credibilità, che la legalizzazione anche di pochissimi abbattimenti incentiverebbe il "bracconaggio" (ovvero il controllo fai da te). Basterebbe, invece, capire le motivazioni dei "bracconieri" (e di chi li protegge con la solidarietà attiva o passiva) per arrivare alla conclusione che il controllo legale prosciugherebbe l'acqua in cui nuotano i pochi veri bracconieri (gente motivata da spirito di sfida per la sfida, gradassi, fanatici del  trofeo-feticcio, come quel genovese arrestato perché girava con una collana di zanne di lupo). 


Vi sarebbe da riflettere su questo  caso di ammazza lupi arrestato e condannato. Perché è stato l'unico. Gli ambientalisti a volte fanno del terrorismo evocando il "gravissimo reato penale". Ma una legge che non viene sistematicamente applicata che legge è?  Qualcuno può credere seriamente che gli organi inquirenti non sarebbero in grado di risalire, almeno in alcuni casi alle centinaia di casi? Non ci vuole molto a capire che vige, per tacito accordo tra politica, ambientalismo, forze dell'ordine, magistratura un gioco delle parti.  Lo stesso CFS, così zelante a favore del lupo, se volesse non riuscirebbe a scovare gli ammazzalupi? Vanno allora chiamate le cose con il suo nome: quello che è attuato in Italia è il "controllo del lupo all'italiana" (in assonanza con quel film di Pietro Germi del lontano 1961). La consegna è: "Fate fuori pure i lupi, che ci togliete le castagne dal fuoco, ma mi raccomando, non fatevi prendere". E per non farsi prendere i metodi sono quelli che abbiamo spiegato. Siamo "crudi" noi o chi ha istituzionalizzato questo sistema? Quando diciamo "togliere le castagne dal fuoco" intendiamo che lo stato, la politica, gli ambientalisti sono felici di lasciar fare agli ammazzalupi quello che dovrebbe fare lo stato assumendosene la responsabilità e mettendo gli ambientalisti nella scomoda posizione di non essere riusciti a evitare il controllo legale. Così, invece, la colpa ricade sui "barbari bracconieri" e gli ambientalisti incassano (non metaforicamente) due volte dagli ingenui supporter che donanono e si tesserano: la prima perché sono stati bravissimi, i più bravi d'Europa, ad impedire che lo stato ammazzi un solo lupo legalmente; la seconda per incoraggiarli e sostenerli nell'eroica lotta contro i malvagi bracconeri. Poveri ingenui. 

Disse Boitani:

... già oggi, anche in Italia, se non ci fosse il bracconaggio, avremmo i lupi dentro casa. È un animale che si moltiplica velocemente e si adatta bene ad ogni ambiente. Purtroppo, in numero eccessivo, i lupi non sono compatibili con la presenza umana: non attaccano noi, ma cervi, caprioli, cinghiali, animali domestici e d'allevamento

Su quell' "non attaccano noi" lo stesso Boitani (come gli accade spesso) smentisce sé stesso (lo vediamo tra poco). Negli incontri pubblici che tengo sul problema del lupo diverse volte quando cito Boitani, la lupomane di turno (sono sempre donne e gli spicologi sanno il perché) si alza e mi accusa di strumentalizzare e distorcere le frasi del Maestro . Per gli scettici qui c'è la fonte della citazione sopra riportata. (vai all'intervista a Boitani).

Boitani ricorda anche un'altra cosa fondamentale. Il lupo è animale sociale, che apprende attraverso la cultura del gruppo. Se nel branco si instaura un nuovo comportamento esso viene trasmesso alle generazioni successive e può passare ad altri branchi attraverso la dispersione. Il controllo del lupo, la possibilità di tirare legalmente a un certo numero di capi (in Francia sono stati prelevati nell'annata in corso - da estate a estate - già 30 lupi su una popolazione di 292), fa capire al lupo che l'uomo è pericoloso. Un fatto che serve non solo a rendere il lupo più prudente nell'avvicinarsi agli animali dell'uomo, ma anche alle case, agli umani stessi. Moltissimi episodi riferiti dalla stampa ci raccontano di situazioni in cui i lupi non scappano più quando le persone gridano, sparano a salve, agitano bastoni. C'è una scala precisa nel definire la pericolosità del lupo per l'uomo e questo comportamento precorre uno stadio in cui si innestano concreti pericoli di aggressione. La massima autorità lupologica, il già citato Boitani disse anche:

Il lupo è un animale intelligente e culturale. Il suo comportamento non sta solo iscritto nei geni ma la mamma lo insegna ai suoi cuccioli a seconda delle circostanze. Sa che un uomo con una forca è pericoloso e che uno con il fucile lo è ancor di più. In origine il lupo era diverso ed era attivo di giorno, l’attività notturna è un suo adattamento ai pericoli. Se più nessun uomo torcesse un capello ad un lupo, in una sola generazione lupina, cinque anni quindi, il lupo potrebbe nuovamente provare ad attaccare anche le persone, almeno dove se lo può permettere. Abbiamo i primi bagliori in Canada da dove ci vengono segnalati tre casi. Ma in Europa non abbiamo ancora alcun segno di questo tipo, finora".
(
http://www.pronatura-ti.ch/Rivista/06_ProNatura/Rivista_6.pdf)


Tra le vittime del branco della Lessinia (90 animali uccisi solo quest'anno tra bovini, asini, ovini) c'è stato nel 2015 anche questo cane labrador. Segnalazioni di cani sbranati sono ormai comuni in diverse regioni. 

Non c'è dialogo con gli allevatori e le popolazioni interessate, ma solo disprezzo e un rapporto di potere squilibrato 

Al posto del dialogo con gli stakeholder  l'ambientalismo istituzionale fa leva sulle sue posizioni di potere: potere di influenza sui media, potere economico, capacità di lobbying dal livello regionale all'Unione Europea (e oltre). Dovunque possono cercano, usando l'esca del denaro (alla quale parecchi allevatori - dopo decenni di deleteria coldirettizzazione - sono sensibili, a dividerli, a separare i "buoni" (ragionevoli, che accettano la convivenza con il lupo) dai "cattivi" (ignoranti, retrogradi). L'ambientalismo non cerca il diagolo con la categoria me ritiene gli allevatori (come Marx) un "sacco di patate" che si fanno su con i regali, comprandoli con un piatto di lenticchie. Nei progetti Life pagati dal contribuente spiegano le tecniche della manipolazione, sino al dettaglio ("alle riunioni fate in modo che non ci siano leader locali, attirate gli allevatori con gadget e offrite da mangiare"). Chi, al di fuori dell'ambiente allevatoriale, osa prendere la parte degli allevatori e dei pastori viene ridicolizzato, marginalizzato (un gioco sempre più difficile perché sono sempre di più le associazioni, gli scrittori, i giornalisti che, se non schierati a spada tratta con gli allevatori, vogliono quantomeno capirne le ragioni).


In Maremma non sono più solo i "pastori sardi" a contrastare la presenza dei lupi ma anche gli intellettuali

La debolezza del fronte sociale che cerca di contrastare il lupo è però confermata dall'ambiguità delle organizzazioni agricole ufficiali. Mentre in Francia esse sono schierate per il controllo del lupo senza se e senza ma (anche se con delle distinzioni, come vedremo tra poco), in Italia la Coldiretti promuove campagne deleterie. Invece che parlare di gestione del lupo e di una "par condicio" che consenta agli allevatori di sopravvivere essa "monetizza" la "passione", indotta dai lavaggi del cervello ambientalisti, dei cittadini per il lupo. Il pastore, l'allevatore viene presentato come un misero da "adottare", cui fare la carità di un sostegno economico... in nome del lupo.


Chi uccide i lupi e chi li copre lo fa anche perché si sente preso in giro, ridicolizzato, ghettizzato (a volte con venature razzistiche come quando ci si riferisce ai pastori toscani che "non vogliono convivere con il lupo in quanto di origine sarda"). Sente che non ha altri mezzi. Nella loro comunicazione gli ambientalisti (ma anche chi ha la responsabilità intellettuale e non solo della policy del lupo, in primis il “papa” della lupologia, Boitani) dipingono le posizioni di opposizione alla crescente presenza del lupo in forma rozza, senza alcun approfondimento socioantropologico serio, in  modo arrogante, utilizzando solo le trite categorie passpartout come la  “residualità culturale”, un modo "politically correct" di dare degli ignoranti, dei bifolchi, dei villici (alcuni, di seconda fila, usano anche questi termini). 

Questo atteggiamento dei detentori dei “saperi esperti” (privilegiati esperti-decisori) si conferma, agli occhi degli stakeholder (i residenti delle zone rurali), come aprioristico, autoreferenziale, ideologico. Perché? Perché le loro "analisi sociali" sono solo frasi fatte, pregiudizi. Da un'analisi anche superficiale emerge chiaramente come la radicalizzazione  dell'opposizione al lupo (e alla lupocrazia, all'ecopotere) derivi  da giovani allevatori, organizzazioni comunitarie legate alla difesa di culture minoritarie, organizzazioni rurali a forte connotato ecologista. Da posizioni autoriflessive e consapevoli. Non dall'idiotismo rurale, come gli autoproclamati intelligenti, portatori di una superiore scienza lupologica, amano credere. 

In Francia è emblematico che a sostenere le proteste antilupo sia la Confédération paysanne, il sindacato agricolo più verde e più di sinistra. José Bové, protagonista di tante battaglie ecologiste e no global (chi dimentica il démontage del McDonald di Millau?), eurodeputato verde sostiene con forza il diritto del pastore a usare il fucile per difendere  i propri animali. Lo fa perché non ha rinnegato la sua attività di allevatore di pecore. Ma anche perché in Francia la rivoluzione (per quanto da subito incanalata verso l'affermazione del potere borghese) ha  emancipato per sempre il contadino da una certa sudditanza feudale. In Italia la "rivoluzione nazionale" l'hanno fatta dall'alto,  senza attivare le masse, per conto delle potenze straniere. Il popolo, specie quello delle campagne, è stato tenuto alla larga in quanto le élites (gattopardesche) erano memori delle insorgenze popolari antigiacobine dell'inizio del XIX secolo. Che facevano ancora paura e che furono esorcizzate dalla storiografia risorgimentale e "democratica" come "tumulti reazionari".Una bella differenza quella tra Italia e Francia, che si rispecchia oggi nella policy del lupo.


Il sentimento di squilibrio e di frustrazione (“in città non capiscono niente della gestione del territorio ma vogliono insegnare a noi come fare e i politici tirano dalla parte che porta più voti”), insieme alla spudorata esibizione (in epoca di crisi) delle risorse economiche di cui dispongono i progetti pro lupo (mentre mancano i soldi per le strade e le scuole), rappresentano altrettante molle per la radicalizzazione.

Va quindi ribadito che tutto ciò comporta l'approvazione morale per gli “ammazza lupi” e l'esistenza di una cerchia protettiva di solidarietà per le loro azioni che non sono percepite come dei “gravissimi crimini” ma come atti di resistenza e protesta sociale, legittimati e giustificati dalla posizione sin qui assunta dallo stato che - sbilanciandosi a favore dell'ambientalismo - ha sin qui negato la possibilità del controllo legale del lupo. In presenza di un controllo legale lo scenario cambierebbe totalmente perché la giustificazione morale del "bracconaggio" verrenne meno.


Perché lo fanno? Il lupo è una gallina dalle uova d'oro (per loro, ovviemente)


La storiella del lupo in perenne pericolo, che non aumentava mai, è servita agli scienziati (ma sono tali quando manipolano, nel loro interesse di procacciatori di finanziamenti, la realtà fattuale?) e agli ambientalisti (spesso confusi gli uni con gli altri) a procurarsi importanti risorse.  Dopo 19 progetti Life, ciascuno di qualche milioncino l'uno, in Italia - come abbiamo già avuto modo di rilevare - non si sa quanti lupi vi siano, quanti danni facciano, quanti capi domestici siano predati. Nelle Alpi, nel 2013 è stato avviato il progetto Life WolfAlps, che si concluderà nel 2018, e che ha l’obiettivo di realizzare azioni coordinate per la conservazione a lungo termine della popolazione alpina di lupo in sette aree di intervento (leggasi favorire in tutti i modi la diffusione del lupo sulle Alpi). E' in corso Il progetto Life Medwolf sulle migliori pratiche di conservazione del Lupo nelle aree mediterranee e svolto in Italia, nella provincia di Grosseto, e in Portogallo, nei distretti del Guarda e di Castelo Branco. C'è stato Hybrid Wolf per studiare il fenomeno degli ibridi (spesso diventati il capro espiatorio adatto, in assenza di randagismo, quando i lupi le combinano più grosse de solito).  Poi c’è il progetto Life Micro, avviato nel 2015 e che terminerà nel 2020, pensato per minimizzare l’impatto del randagismo canino sulla conservazione del lupo in Italia. A Life Wolfnet (terminato nel 2013) è seguito Life Wolfnet 2.0 (la fantasia ormai non sorregge più gli autori di progetti Life). Una vera macchina dei soldi. Un mega bancomat in grande stile.  Hanno così creato, irrobustita, oliate, foraggiata, una lobby potente, moltiplicando i centri di ricerca e di studio dentro e fuori l'Università, le cattedre dei lupologi, le iniziative, le associazioni, i musei e i centri del lupo (tipo zoo o di "riabilitazione"). Una rete impressionante. Una macchina da guerra. Che ha dietro le lobby internazionali (tutto quello che gli ambientalisti e la lupologia fanno in Italia segue format mondiali). Inutile sottolineare gli agganci a Bruxelles e nelle capitali dove si decidono le sorti del mondo, inutile enumerare le poltrone su cui siede Boitani (ovunque c'è da consigliare e decidere in organi influenti a tutti i livelli). Mai il termine autoreferenzialità è stato usato in modo più appropriato per defnire la lupologia.

Il lupo è da anni una gallina dalle uova d'oro. Mentre devono essere abbandonati alpeggi troppo a rischio, mentre aziende zootecniche e pastorali chiudono per i troppi danni subiti e i costi elevati delle opere di “difesa”, una lobby astuta che ha ben fiutato le opportunità offerte dalla politica e da una cultura ipocrita e di fatto - coperta dal buonismo e dal sinistrismo - continuatrice  dell'esclusione sociale, dell'autoritarismo e del classismo, cerca di tenerdi stretta la gallina . Ma il re diventa nudo se il tabù si rompe, se il sacro lupo non è più sacro e lo stato lo abbatte. Una sola pallottola farebbe sgonfiare un castello di illusioni che hanno fruttato soldi e potere reali (e i cui effetti reali si aggiungono alle altre politiche di pulizia etnica della montagna e delle aree rurali interne). Ma tenere in piedi il castello di menzogne è sempre più difficile.




 

 

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