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La politica "verde" 
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Orsi e lupi

Dal Südtirol una forte iniziativa politica contro il lupo

di Michele Corti

(17.03.18) Ventun mila firme in pochi giorni, 12 mila nelle prime 24 ore. Numeri che la dicono lunga su come sia sentita la minaccia della proliferazione dei lupi in südtirol. Una minaccia che non lascia indifferenti  anche il Trentino e il Veneto, anche se qui, tra il sentire popolare e le istituzioni, non c'è la stessa consonanza.

A Trento, infatti, l'eterna dc al potere è responsabile per la politica a favore della reintroduzione dell'orso (il famigerato progetto Life Ursus) e di una posizi
one ondivaga e "morbida" sul problema del lupo. Posizioni che hanno contribuito alla sconfitta epocale del centro-sinistra alle elezioni per il parlamento romano.
A Bolzano la bauernbund e la SVP hanno aggredito il problema a livello politico europeo, senza pensarci su. Nella scorsa primavera, l'europarlamentare SVP Dorfmann ha promosso - nel corso di un incontr
o a Salisburgo - una presa di posizione unitaria delle regioni alpine di lingua tedesca della UE: Baviera, Tirolo, Vorarlberg, Salisburgo e Südtirol. Il senso politico della risoluzione comune era chiaro: alla specie lupo in Europa, in grande e rapida espansione e crescita numerica, non serve che venga ricolonizzato l'arco alpino orientale, quindi LUPO NO GRAZIE.  Con buona pace del piano lupo italiano, scaduto nel 2015, che prevedeva la diffusione del predatore su tutto l'arco alpino.
Va precisato che queste decisioni, in passato, erano state prese grazie al disinteresse della parte politica, dai "tecnici" (leggi ambientalisti).
Oggi, però, le cose sono camnbuate, la presenza del lupo nella montagna veneta, in Trentino e in Südtirol è preoccupante e - in alcune situazioni come la Lessinia e Asiago
- devastante, tanto da essere diventata una questione politica di primo piani, una grana per i vari Zaia.
La Regione Veneto, che era partner principale di Wolf Alp (il progetto finanziato con fondi europei per favorire la diffusione del lupo su tutte le Alpi) e Zaia ha giocato per anni all'animalista (vedi anche la questione dei cervi del Cansiglio). Poi, quando ad essere messa in ginocchio non è stata più solo la Lessinia, ma
sonoi finite nel girone infernale delle predazioni a raffica (di grossi e piccoli animali),  anche Asiago e il bellunese, i politici veneti  si sono preoccupati di rettificare il tiro, sino a votare in consiglio regionale una mozione "platonica" per l'uscita da Wolf Alp (una pagliacciata perché il progetto scade nel 2018).
Posizione identica al Veneto aveva assunto la Regione Lombardiua dove la Lega Nord, per compiacere le lobby ambientaliste, aveva appoggiato con entusiasmo i piani di diffusione dell'orso e del lupo (vedi i vari Belotti, tertzi, Caccia, tutti leghisti bergamaschi pro orsi e lupi). Essi confidavano nell'inerzia politica dei "periferici" montanari. Ma ora chi sta con il lupo e l'orso deve prepararsi a pagare prezzi politici: la politica della botte piena e della moglie ubriaca è finita.
La rabbia, per l'espansione e la proliferazione incontrollate dei lupi e per il dover subire con le mani legate le predazioni, è cresciuta, ma anche l'informazione e la mobilitazione.  Si sono anche moltiplicate (in Veneto, in Trentino, in Südtirol) le proteste organizzate: fiere zootecniche disertate o partecipate con cartelli di protesta espliciti. 
Qualcosa è cambiato, tanto che, smentendo il suo assessore (Dallapiccola, uno strumento dei forestali e degli ambientalisti), Rossi, il presidente dellla PAT, ha deciso (questa volta senza troppi tergiversamenti)  l'abbattimento di un orsa che aveva ferito un abitante del posto che passeggiaùva nei boschi presso Trento.

 La presa di distanza dalle politiche pro lupo e orso da parte delle istituzioni trentine è proseguita lo scorso autunno con la presa di distanza (tardiva) da Wolf Alp e chiedendo a Roma la possibilità, ma solo per i forestali, di sparare pallottole... di gomma contro i lupi che si avvicinano alle abitazioni. Roma ha concesso il contentino. Ma di aderire al fronte anti-lupo capeggiato dai vicini di Bolzano a Trento non se ne parla (la musica potrebbe cambiare con le prossime elezioni provinciali in cui orsi e lupi saranno uno dei temi scottanti della campagna elettorale).
A Bolzano, anche perché vedono cosa fanno i loro vicini sotto Salorno. sanno bene che sugli italiani non si può contare. Sanne bene che, per ora, in Italia prevale la demagogia verde, il calcolo - anche a destra - sui pochi voti delle montagne e i tanti delle aree urbane.


Il lupo in pista a Folgaria, quest'inverno

A Bolzano sanno che in Italia ci vorrà il primo bambino sbranato dai lupi (dopo meno di un secolo di "tregua") per far virare, tanto repentinamente, quanto istericamente il sentimento "ambientalista" in paura, paura di non poter più fare una passeggiata in montagna, paura di non poter più farsi una sciata.
A Folgaria, stazione sciistica trentina, ai primi di febbraio di querst'anno, i lupi sono stati visti scorazzare sulle piste. Facile capire che, fino a quando sono danneggiati solo i pastori e gli allevatori di montagna, la politica (all'italiana) non si preoccupa e traccheggia.
Le associazioni che rappresentano il settore turistico-alberghiero, che sono un po' meno addomesticate della Coldiretti, hanno iniziato a lanciare segnali alla politica: hanno paura che le Dolomiti, infestate dai lupi sui sentieri e sulle piste da sci, possano diventare una Caporetto turistica. Il turista va dove si sente tranquillo, perché percorrere un sentiero con il patema d'animo di vedermi saltar fuori orsi e lupi? Si va altrove.
Intanto, però, i lupi prolificano, le cucciolate si moltiplicano e nessuno si fa illusioni circa ciò che potrà avvenire la prossima estate sulle malghe venete, trentine, sudtirolesi. In veneto si sono già viste le pagliacciate di Wolf Alp e della regione: reti alte 1,2 m per "proteggere" dai lupi. Se queste sono le "soluzioni" ci si deve preparare a nuove stragi. Quindi, in conclusione, a Bolzano si muovono da soli, senza aspettare gli italiani. E fanno bene.


Una predazione di pochi giorni fa in provincia di Bolzano a 100 m da una casa abitata sulla strada persorsa da un bambino a piedi per recarsi a scuola. L'allarme sociale tra le valli sta crescendo esponenzialmente

Südtirol: dove il ruralismo e la difesa del bauer sono parte dell'identità e della politica autonomista

In provincia di Bolzano le possibilità di un'azione politica contro i grandi predatori. in grado di arrivare a Bruxelles e di rompere la congiura del silenzio imposta da burocrati, verdi epolitici opportunisti, sono più alte che in qualsiasi altra regione della UE.
La provincia di Bolzano è piccola ma politicamente agguerrita e coesa, in grado di trascinare altre regioni alpine di lingua tedesca. Il perché è presto detto: il Südtirol è lontano da Roma, ma anche da Vienna. All'occupazione italiana nel 1918 (che ha segnato, almeno in Europa, l'ultimo episodio di conquista militare in spregio al diritto di autodeterminazione dei popoli) seguì la persecuzione etnico-culturale del popolo sudtirolese e la colonizzazione forzata (acciaierie di Bolzano e burocrazia statale). L'Italia non riuscì ad "assimilare" il Südtirol solo perché scoppiò la seconda guerra mondiale. Molte famiglie, però, per non dover cambiare il cognome e rinunciare a parlare tedesco (italiani "brava gente", come no?), erano dovute trasferisrsi da esuli in Germania.
Memori del trattamento subito dagli italiani, i sudtirolesi hanno puntato a consolidare il più possibile le proprie tradizioni, la propria identità etno-culturale, tedesca e alpina. Differenziandosi da tutto quello che sapesse di talian.  Tanto più dalla cultura italiana nelle sue espressioni più tipiche è urbanocentrica, cosmopolita, antirurale.  Così la cultura (e la politica) sudtirolesi hanno accentuato il ruralismo e hanno fatto della difesa del bauer e del maso una bandiera politica.
Certi atteggiamenti di parte ambiental-animalista, di aperto disprezzo dei "villici" (hanno riesumato anche questo lessico arcaico), richiamano la secolare tendenza della cultura italiana a marginalizzare il contadino, a assegnerli uno statuto sub-umano (il contadino nella letteratura della "satira del villano" mangia cibi adatti agli animali perché il suo è uno stomaco "rozzo" da animale). Questi atteggiamenti dei "lupisti" non rappresentano nulla di nuovo per un paese in cui le minoranze urbane hanno per secoli sfruttato ferocemente i contadini. Tanto più forte e duraturo è stato il privilegio signorile (poi borghese), tanto più in Italia i contadini sono stati oppressi (vedi la tassa del macinato introdotta dopo l'Unità d'Italia) e quanto più, per legittimarne la loro sottomissione economica e politica la cultura italiana ha elaborato, e conservato, quegli stereotipi anti-contadini che Francia e Germania avevano da tempo ribaltato in immagini positive (il contadino "base della nazione").
Non è finita. Staccato dalla madrepatria austriaca, il Südtirol, che non ha mai nascosto una sua identità specifica alpina anche nei confronti dell'Austria, ha avoto la "fortuna" di subire in forma molto attenuata l'egemonia culturale "nazionale" austriaca, dove Vienna conservava aspetti cosmopoliti e si è a lungo orientata a sinistra, all'ideologia progressista.


Cane predato quest'inverno sull'altopiano di Asiago

Cosa c'è in gioco oggi

Grazie alla sua particolarissimo ruolo geopolitico il Südtirol può contribuire in misura significativa a suscitare a livello europeo un dibattito politico serio sui grandi predatori, sulla governance degli spazi agrosilvopastorali, sulla gestione faunistica, sul ruolo dell'agricoltura di montagna.
Va tenuto presente che anche in un paese come la Francia, dove pure, a differenza dell'Italia, la rappresentanza agricola non elude il problema dei grandi predatori, dove - a maggior ragione - esso agita anche il mondo politico e intellettuale (vedi il famoso manifesto pro pastori contro il lupo di 50 ricercatori e intellettuali francesi) le pressioni della società sono neutralizzate  dal peso delle lobby più potenti, del mainstream economico e politico che aderisce all'ideologia dei grandi predatori. E la tecnocrazia francese, che impronta tradizionalmente il governo, si adegua. I pastori minacciano di far saltare il Tour de France, i ministri fanno promesse...  e non succede nulla.


Lessinia: scorso autunno: vacca sbranata presso un centro per disabili

 Per quanto piccolo il Südtirol rappresenta una regione che vede le rappresentanze istituzionali (con competenze esclusive in materia agricola e faunistica) porre, con coraggi,o alla UE il problema della revisione dell'anacronistico statuto di super protezione del lupo.
L'assessore Arnold Schuler, che ha preso l'iniziativa della petizione alla UE contro il lupo, sa bene che - con tutto il margine di autonomia della provincia di Bolzano - essa - come qualsiasi altro stato della UE, ha le mani legate dalla Direttiva Habitat e dalla Convenzione di Berna.

Così se da una parte chiede a Roma di poter applicare in autonomia le possibilità di controllo in deroga del lupo previste dalle legislazione europea vigente, dall'altra lancia la palla a Bruxelles. Sapendo che su questa linea non potrà non essere seguito da quelle regioni, da quegli stati che si rendono conto che l'impossibilità di controllare il lupo mette a rischio interi sistemi territoriali di pastoralismo e allevamento estensivo (oltre che rappresentare una minaccia per il turismo e la sicurezza di chi vive in piccoli nuclei e case isolate). A Bolzano si rendono anche conto che la proliferazione del lupo, in assenza di possibilità legali di controllo, equivale a un profondo cambiamento dell'assetto della gestione e del controllo del territorio. Un cambio di gestione che equivale ad un diverso assetto di potere: dalle autorità locali alle tecnoburocrazie e alle lobby ambiental-animaliste. Il lupo è una minaccia per l'autonomia, per l'autogoverno sudtirolese, un modo per aggirare le competenze strappate a Roma creando situazioni de facto in cui sono sistemi regolativi sovranazionali a decidere ... se puoi andare a far legna nel bosco, se puoi allevate una pecora, se puoi continuare ad abitare in un maso isolato. Se puoi vivere secondo lo stile di vita del montanaro.


Lupi presso case in provincia di Vicenza, quest'inverno

Come nel IX secolo

Il controllo della gestione della foresta e della fauna che la popolava, nel medioevo rappresentò la chiave del cambiamento degli assetti di potere, nella pianura padana ma anche in molte altre aree europee. Da una situazione in cui le comunità rurali potevano goderi di liberi diritti di pascolo, utilizzo del legname e altri prodotti, si passò ad una situazione di esclusione ed esproprio dei diritti contadini e di monopolio da parte del signore curtense (il signorotto feudale) prima, poi da parte dei comuni cittadini che imposero alle campagne un servaggio peggiore di quello dei feudatari.
Il bosco alla fine dell'alto medioevo diventava una risorsa strategica per via della crescente penuria di legname (da riscaldamento e da opera) legata all'espansione delle coltivazioni e alla crescente intensità di sfruttamento dei boschi. I signori, escludendo i contadini dall'uso del bosco, ne fecero una "riserva" signorile, dove potevano cacciare in esclusiva. Come è noto il contadino che veniva colto in flagranza di bracconaggio dai forestali (gli sgherri) veniva impiccato. Tanto per chiarire i rapporti di classe... Se l'esercizio della caccia alle fiere (cinghiale, cervo) contribuiva a rafforzare l'immagine della forza e del potere, dietro l'aspetto "faunistico" vi era quello, molto più concret,o della risorsa economica: del legname. La storia è nota: i contadini , anche per via delle invasioni degli ungari, dovettero mettersi sotto il controllo e la "protezione" dei signori (che disponevano di fortificazioni), diventare servi, prestare le corvée al signore, accontentarsi di cibo frugale dal momento che i numerosi maiali (e ovicaprini) allevati dai contadini nell'alto medioevo nei boschi non poterono essere più mantenuti. I signori banchettavano a selvaggina e i contadini si accontentavano di pappe di miglio, rape e cavoli.
Dopo 8-9 secoli la stessa musica la ritroviamo in montagna: non ci sono più i signorotti ma i borghesi capitalisti che vogliono accaparrarsi i boschi per speculare sulla legna o per far funzionare i loro forni fusori (minerale ferroso). Con secoli di ritardo, anche i contadini alpini - che avevano conservato per secoli autogoverno e gestione dei boschie  dei pascoli - vennero espropriati con vari pretesti. Si disse che i beni comuni erano lasciati incolti (si praticava il pascolo estensivo), che le comunità avrebbero distrutto i boschi (mente li distruggevano i borghesi). Nel tardo Ottocento la politica di esproprio dei diritti consuetudinari e di applicazione di vincoli che impedivano alle comunità rurali di continuare a gestire i beni silvopastorali, si ammantarono di pretesti ambientalisti (vincolo idrogeologico ecc.) anticipando quelle politiche che nel Novecento portarono alla creazione dei parchi e alla moltiplicazione degli ostacoli all'utilizzo, nelle forme tradizionali, delle risorse della montagna.
Gli esempi di queste politiche sono ben noti e vicini nel tempo: parlano di valutazioni di incidenza ambientale per il taglio di una pianta o lo spostamento di poche badilate quando le grandi società che realizzano piste da sci o altre infrastrutture, grazie a valutazioni di impatto ambientali ben congegnate disboscano e spianano intere montagne. Messe in scena che coprono solo i rapporti di forza ineguali tra ricchi (e "intelligenti") e contadini.


Piemonte, quest'inverno: numerose le segnalazioni di lupi nei paesi. In forte calo la loro "atavica paura dell'uomo" agitata dei lupisti come sedativo


La marcia trionfale del lupo incontra una resistenza non messa in conto


Il capitolo attuale rappresenta l'ultimo atto di una politica inziata nel Settecento. Allora erano le considerazioni degli economisti illuministi a legittimare un nuovo assetto di potere a vantaggio delle élite, oggi è l'illuminismo animal-ambientalista, condito di concetti tanto verbosi quanto vaghi e di fragile base scientifica ("vertice della catena alimentare", "fattore di ripristino della biodiversità"). Identico il disprezzo per i "villici".
 Il gioco delle lobby ambientaliste, parte integrante delle élite europee, è facilmente intuibile: mantenendo un regime di super-protezione del lupo, che impedisce un qualsiasi controllo della sua proliferazione, non c'è neppure bisogno di "lanciare" clandestinamente i lupi per ottenere una rapida colonizzazione di tutte le Alpi. Tutto bene quindi per le lobby? Non proprio, perché, forse, qualche errore di valutazione politica, nella loro sconfinata arroganza ed autoreferenzialità, l'hanno commesso.
Le Alpi orientali non sono le valli di Cuneo e Torino, dove - favorito dalla scarsa antropizzazione -  il lupo continua a proliferare (nonostante il controllo fai-da-te da parte dei pastori esasperati e nonostante le decine di lupi vittime di incidenti stradali e ferroviari). L'ambiente economico, sociale, politico è completamente diverso. Non c'è solo il fattore politico, che abbiamo già messo in evidenza, ma anche quello socio-ecomomico: le valli del Südtirol non sono in fase di spopolamento, ma hanno un saldo demografico positivo, l'economia - grazie al turismo, ad una politica di sostegno attivo all'agricoltura, all'artigianato - è vitale. Le comunità sono politicamente attive, la vita dei comuni è seguita. Non c'è quella rassegnazione a scomparire, quella cultura del "lassù gli ultimi", da "mondo dei vinti" che, purtroppo, è comune in Piemonte e presenta anche in qualche angolo della montagna lombarda.
In Piemonte allevatori e pastori sanno che possono solo difendersi con i bocconi avvelenati e il piombo, perché le istituzioni li lasciano soli (Chiamparino. presidente della regione Piemonte, si è messo addirittura alla testa del fronte delle regioni pro lupo). In Südtirol,  montagna veneta, valli trentine, gli allevatori sono inseriti nelle loro comunità, dialogano con altre categorie sociali, hanno (più a Bolzano, molto meno in Veneto e in Trentino) la capacità di porre alla politica e alle istituzioni le loro istanze. Gli strateghi di Wolf Alp (i fili sono tenuti a livello internazionale) non si aspettavano, dopo aver "fatto su" la Regione Veneto, di doversi misurare con la rivolta dei sindaci, non si aspettavano che a Bolzano un assessore provinciale impugnasse la bandiera del diritto delle comunità alpine a tenere fuori i lupi dal proprio territorio.
Comunque vadano le cose, nelle Alpi orientali è nato un movimento popolare consapevole della posta in gioco. La desertificazione della montagna, perseguita dalle potenti lobby internazionali con il cavallo di troia del lupo, non sarà una passeggiata. I "villici" hanno ben capito innanzitutto che il lupo, è un grimaldello usato contro di loro per consentire alla politica, ai poteri forti economici, di rifarsi a buon mercato, e a spese dei montanari, una verginità ecologica (in modo da poter continuare altrove con politiche insostenibili quali Tav, uso di pesticidi, consumo di suolo).
 Hanno capito anche che, come il signorotto feudale proteggeva la fauna dai contadini per sfruttare le risorse del bosco e affamare il popolo, così l'élite oggi vuole fare dell Alpi un grande parco naturale, dove escludere o marginalizzare le comunità locali per avere mano libera per lo sfruttamento delle risorse strategiche (acqua pulita - non solo per usi idroelettrici - biomasse).
Dire no al lupo significa fermare questa strategia di potere.









 


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